Una sessione del prossimo Leonardo Sciascia Colloquium, che si terrà a Venezia il 13 e 14 novembre 2023 alla Ca’ Foscari per la direzione scientifica di Alessandro Cinquegrani, avrà come oggetto di discussione il rapporto tra didattica e saggistica sciasciana, il cui insieme costituisce il tema generale del convegno. Si tratta di un argomento che, già nella fase di preparazione dei lavori, ha suscitato un primo dibattito sull’opportunità di affrontare o meno un aspetto così arduo in un autore che per giunta si legge ancora troppo poco a scuola. Ci interroghiamo da anni sulle motivazioni dell’assenza di Sciascia nei testi scolastici e nelle programmazioni dei docenti, e a parte qualche pur significativa eccezione, non registriamo grossi cambiamenti che indichino una direzione davvero nuova. Il tentativo che ci accingiamo a sperimentare al prossimo Colloquium, dunque, si colloca su uno scenario negativo che fu già molto ben indagato attraverso un questionario rivolto a studiosi e critici letterari, apparso in Todomodo VI, 2016, intorno alla mancata o scarsa presenza di Leonardo Sciascia nei programmi scolastici, nell’ambito di un discorso più ampio intitolato Leonardo Sciascia e il canone. Anche all’epoca della pubblicazione mi colpirono in particolare due risposte, che mi parvero subito piuttosto definitive e inappellabili per via dell’impianto naturalistico, e dalle quali vorrei ripartire per aprire una nuova istruttoria. Mi riferisco alle affermazioni di Beatrice Manetti e di Giancarlo Alfano che in poche illuminanti righe circostanziano perfettamente il problema e lo pongono ancora all’attenzione dei relatori della sessione scuola di novembre. Le riporto integralmente:
«Sciascia è difficile. È difficile la sua prosa, nella quale Calvino aveva intravisto il barocco in agguato dietro la trasparenza illuministica; ed è difficile da padroneggiare la rete dei suoi riferimenti culturali. I romanzi gialli di argomento mafioso offrono un contenuto immediatamente disponibile anche prescindendo dagli elementi cui ho accennato. Che sia giusto o sbagliato prescinderne, non importa: si può fare, e lo si fa. Nei saggi e nelle “inquisizioni” questo non è possibile, il che priva gli studenti di una salutare immersione, più che nell’orizzonte piatto della contemporaneità, nella profondità, anche temporale, della cultura». [BEATRICE MAINETTI].
«Ho fatto riferimento alla dominante sintattica dello stile sciasciano. Ebbene, non vi è lettura più difficile di un’opera che lavori sulla sintassi. Si può fare una nota esplicativa di singole parole, non di un intero periodo. Bisogna inoltre considerare la difficile isolabilità di singoli brani: le opere dello scrittore siciliano lavorano sul respiro lungo del libro, non sulla misura dell’episodio. Infine, la narrazione di Sciascia lavora sul mistero, inteso come apertura alla responsabilità del lettore. Per questi motivi è, a mio avviso, difficile antologizzare i suoi libri senza che se ne perdano i principali caratteri». [GIANCARLO ALFANO]