LEONARDO SCIASCIA OPERE I – a cura di Paolo Squillacioti – Adelphi

di Valter Vecellio

Si tratta, evidentemente, di una presunzione. Ma sia che si tratti del nome del carpentiere che la costruì, sia che derivi dalla parola greca che corrisponde a “rapida”, a sottolinearne la “leggerezza” e la linea slanciata, o derivi dal nome della città dove si suppone sia stata costruita, c’è da credere che il nome sarebbe piaciuto a Leonardo Sciascia; anche perché nella collana adelphiana “La nave Argo” Sciascia si trova in compagnia di autori amati: da Alberto Savinio ad Anna Maria Ortese, da Georges Simenon a Ennio Flaiano.

Il volume – primo di tre, un’opera che si prevede completata nel giro di due-tre anni; o almeno così ci si augura accada – poco più di duemila pagine, ottanta euro, è una di quelle ghiotte occasioni editoriali che sarebbe un crimine lasciarsi sfuggire. Curatissimo nella veste tipografica, è il risultato di un lavoro certosino di Paolo Squillacioti, che già in passato si è applicato alla cura di volumi sciasciani; Squillacioti si è potuto avvalere (saccheggiamo la nota dei “ringraziamenti”), “per la realizzazione di questo volume, e ancor più per la ricerca e la raccolta dei documenti che è a fondamento dell’impresa complessiva” di fonti e testimonianze di prima mano: la famiglia Sciascia, innanzitutto; Giuseppe Traina; gli archivi delle case editrici Einaudi e Bompiani, per i quali Sciascia ha pubblicato; la Fondazione Rizzoli-Corriere della Sera; il Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Viesseux, la Fondazione Leonardo Sciascia di Racalmuto, la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori; e, last but not least, molti amici dell’Associazione degli Amici di Leonardo Sciascia: Carlo Fiaschi, Francesco Izzo, Claude Ambroise, Nicolò Messina, Ivan Pupo, e molti altri. “L’obiettivo della presente edizione”, chiarisce il curatore, “è quello di gettare per la prima volta lo sguardo nell’officina di Sciascia…”.

 

In questo primo volume (“Narrativa, Teatro, Poesia”), sono compresi romanzi e racconti (“Favole della dittatura”; “Gli zii di Sicilia”; “Il giorno della civetta”; “Il Consiglio d’Egitto”; “A ciascuno il suo”; “Il contesto. Una parodia”; “Il mare colore del vino”; “Todo modo”; “Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia”; “Porte aperte”; “Il cavaliere e la morte”; “Una storia semplice”); una trentina di “Racconti dispersi”, scritti tra il 1947 e il 1986. La sezione “Teatro e dialoghi” comprende: “L’onorevole”; “Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D.”, con l’appendice: Dal “diario del canonico Mongitore”; “I mafiosi”. Tre “interviste impossibili”, a Maria Sofia, regina di Napoli; a Napoleone Bonaparte; al generale Jaruzelski; e il “Dialogo tra Candido e l’Inquisitore sulle cose presenti”.

Una golosità è costituita dalla sezione “Poesie e traduzioni”, che comprende lavori di Sciascia di non facile reperimento, testimonianza di una a volte sorprendente e poliedrica attività e interessi: si va dalle poesie de “La Sicilia, il suo cuore”, ai “Foglietti di Diario”, alle “Poesie inedite e disperse”, alle traduzioni poetiche: di Walt Whitman (ma Sciascia era padrone, o almeno masticava l’inglese? Nella nota, doverosamente, Squillacioti avverte che della traduzione non se ne rivendica la paternità); di Victoriano Crémer, Pedro Salinas, Jorge Guillén, Federico Garcia Lorca (del francese e dello spagnolo, Sciascia era padronissimo).

Fondamentali poi, le trecento e più fitte pagine delle “note ai testi” a cura di Squillacioti: preziose per gli spunti e le informazioni e l’opera di “sistematizzazione”. Un’edizione, annota Squillacioti, “che, se non può definirsi critica, vuole essere attenta alla dimensione filolofica e linguistica, e alla genesi del testo: occorreva d’altro canto iniziare, avviare un discorso filologico che si spera venga ripreso, approfondito e, non si dubita, corretto quando altri materiali verranno alla luce, gli epistolari ordinari e i rapporti editoriali ulteriormente chiariti e articolati”. E in queste righe Squillacioti ci fa già intendere che molto altro è in gestazione e attende di essere “scoperto”. Un “cantiere”, quello sciasciano, che ci riserverà ancora molte altre piacevoli sorprese.

(Va. Ve.)

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