Altri su Sciascia dalla A alla M

 

TESTIMONIANZE dalla A alla M

 

 

ELIO FILIPPO ACCROCCA
(Cori LT 1923 – Roma 1996  /  Poeta e scrittore)

Sciascia non lascia la presa
è tesa la sua mano: il giallo e nero
sono i suoi colori, quotidiano
come il pane è il mistero. Le sue “storie”
sono una tela dell’enigma: il vero
spacca la mela che nasconde il verme
dell’interrogativo, il cruciverba
ha un sottile filamento, vivo
come il pensiero, la civetta è a giorno:
corda pazza è il dintorno che Leonardo
affetta e cuce, scarta ogni contorno.
Dal cadavere emerge un che di luce
che la mano sospinge (nera e gialla)
fino alla mente. La ragione tinge
coi colori del dubbio ogni segmento.
Il tempo è fondamento senza scampo:
anche lo spazio è un lampo menzognero…

12 novembre 1990

Non ho fatto in tempo a spedirgli queste poche righe, scritte dopo l’incontro con i suoi libri più recenti. Una traccia di lettura: pochi grammi di parole che si affiancavano alla sua immagine di scrittore, a qualche foto scattata in occasione di un convegno o di un viaggio. A Roma ci eravamo visti nella mia casa remota di via Labicana, e poi per le strade della capitale, tra intuizioni critiche persino dei silenzi o del lento parlare a bassa voce. Con Leonardo – amico di poche parole – agli esordi del suo successo, m’incontravo a Lugano per il premio “Libera Stampa”: nel Canton Ticino aveva amici.

(in Il sereno pessimista, a c. di Antonio Motta, Manduria TA, Lacaita, 1991)

 
GASPARE AGNELLO
(Grotte AG 1934  /  Critico letterario)
Leonardo Sciascia non morì da cattolico, ma da cristiano. Lo conferma il fatto che disse: Non sono né ateo né credente. Ma cerco di vivere religiosamente. E poi rifacendosi ad Antonio Borgese, scrisse: “Aspiro a quando sia morto, ad una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda ad un sentimento abietto o malvagio”.


NINO AGNELLO
(Scrittore, poeta, saggista e critico letterario)
Si nutrì di pensiero, di ragione, di buonsenso, della parola esatta incisa come lama di pensiero. La disse e la scrisse con parsimonia, perché non ci fossero scorie come quelle che conosceva dello zolfo liquefatte…


PIERO AMATO
(Cattolica Eraclea AG 1929 - 2010  /  Scrittore)
Si potrebbe dire di Sciascia che egli era veramente unico: come uomo certamente, e come scrittore certamente il più interessante e significativo. A parte il fatto che era letteratissimo, e di ingegno duttile, acuto e penetrante: ironico e polemico secondo necessità, disponibile alla magnanimità che a volte si traduce in pietà. Sciascia lavorò instancabilmente e produsse moltissimo: romanzi, racconti, teatro, saggi, articoli, prefazioni, note varie e interviste. Le sue opere sono state tradotte in moltissime lingue. Queste cose si sanno, ma vanno dette perché c’è un modo solo di onorare Sciascia, e questo modo è “leggerlo”.

(in Ricordare Sciascia a c. di P. Cilona, Palermo, Publisicula 1991 - Pag. 192)


CLAUDE AMBROISE
(Parigi 1935 - Sonvico, Canton Ticino, Svizzera 2014  /  Professore emerito dell’Università Stendhal di Grenoble, critico letterario, curatore delle “Opere” di Sciascia edite da Bompiani)
Visse, scrisse e amò, è l’epitaffio superbo e romantico di Stendhal. Anche in Sciascia, seppure in modo diverso che nello scrittore francese a lui particolarmente caro, si dialetticizzano la vita e la scrittura. Ma la pratica della scrittura identificata con l’esercizio della ragione è per Sciascia la scelta di una vita.

(in Il sereno pessimista, a c. di Antonio Motta, Manduria TA, Lacaita, 1991)

ALFONSO AMENDOLA
(1961 - Professore di sociologia all’Università di Salerno)

L’opera è la personalità di Leonardo Sciascia costituiscono uno spazio immenso di indagine e sembra proprio che a dispetto della foltissima bibliografia critica che lo riguarda, sia sempre possibile aggiungere qualche tessera al variegato mosaico finora composto da voci diversissime, che hanno trattato la sua letteratura. Quella di Sciascia è un’opera che riesce a dialogare come poche con quasi tutti i generi espressivi esistenti nel Novecento. Un dialogo impervio, non esente da incomprensioni, contraddizioni, difficoltà, e che tuttavia ha visto l’autore siciliano sempre disposto al confronto, anche a rischio di apparire isolato, conservatore o fuori moda. Sciascia ha saputo avvicinare, il più delle volte le scontate derive italiche del dilettantismo e del narcisismo intellettuale, i campi più eterogenei della comunicazione e dell’arte, dimostrando di possedere una chiara consapevolezza dell’uso dei linguaggi, anche quelli più avanzati e insidiosi, e addirittura assumendo il ruolo, talvolta, di profeta di una situazione sociale e politica che negli ultimi decenni si è rivelata sempre più ostica e opaca.

(In Il tenace concetto - Rogas Edizioni - Roma 2021 - pagg. 90/91)


MARIO ANDREOSE
(Venezia 1934 / Giornalista e editore)
Mi fa piacere pensare che i pochi anni in cui ho avuto il privilegio di lavorare con Sciascia gli siano serviti a colmare almeno in parte il grande vuoto causato da tre avvenimenti precedenti. La scomparsa di Erich Linder, l’agente che aveva dato un contributo importante al suo successo e alla sua fama internazionale. Uno dei dissesti ricorrenti dell’Einaudi di allora, che l’aveva costretto lui che viveva di scrittura, a emigrare. La rottura per “amara delusione” con la Sellerio dopo 15 anni di assolutamente disinteressato lavoro.

(in Panta n. 27, Milano, Bompiani 2009)


GIAN MARCO ANTIGNANI
(Critico letterario)
La leggerezza della prosa di Sciascia nasconde l’attenta riflessione intorno al nucleo problematico del pensiero moderno e soltanto da alcune fessure, lasciate con intenzione nella levigatezza dei testi, è possibile scorgere gli snodi essenziali di un discorso letterario capace di ricollocare categorie e concetti all’interno di un omogeneo disegno interpretativo.


JUAN ARIAS
(Arboleas, Spagna 1932  /  Giornalista e scrittore)
Sciascia era uno spietato analista della nostra società. Diceva di non trovarsi bene in essa perché “non amo”, spiegava,  “né il potere né il denaro”.  Odiava soprattutto la meschinità.

(El Pais, 21 novembre 1989, poi in  Nuove Effemeridi n. 9, Giugno 1990)

 

PINO ARLACCHI
(Gioia Tauro RC 1951  /  Sociologo e politico)

“... quella noticina che compare nel Giorno della civetta... è un messaggio di una codardia civile spaventosa.”

(La Repubblica, 11 dicembre 1993, intervista di Simonetta Fiori ad Arlacchi, titolo “Quel Cigno non deve morire”)

 

“Non ho messo in discussione il valore artistico delle opere di Sciascia. Ho solo dichiarato di avere riletto Il Giorno della civetta e A ciascuno il suo e di non averne gustato l’impegno civile. Anzi, di non averlo proprio trovato. E di avere, semmai rinvenuto il suo contrario, e cioè delle robuste tracce di qualunquismo e di vigliaccheria, riassunte nella pagina che chiude Il Giorno della civetta.”

(La Repubblica, 14 dicembre 1993, articolo di Arlacchi, titolo “Perchè non amo Sciascia”)

 

“... ammetto senza vergogna né pentimento di avere fatto anche, nella medesima occasione, la seguente fatale dichiarazione: la rilettura del Giorno della civetta e di A ciascuno il suo – e cioè dei romanzi di Sciascia dedicati al tema della mafia – mi ha deluso. Non vi ho trovato il tanto celebrato ‘impegno civile’ dello scrittore trasfuso in opere immortali, ecc. ecc. a cui avevo creduto da ragazzo, bensì un messaggio di diverso tenore. Anzi, in una pagina del Giorno della civetta – in cui Sciascia scrive di avere reso irriconoscibili personaggi e fatti per evitare incriminazioni di oltraggio, data la precaria libertà di espressione vigente in Italia a quel tempo, e per non urtare ‘suscettibilità’ che potessero ritenersi colpite dal suo racconto – ho trovato segni di qualunquismo e codardia civile.”

(La Repubblica,  23 dicembre 1993, articolo di Arlacchi, titolo “Stregato dalla mafia”)

 

“... ho scritto due lunghi articoli su questo giornale, usando argomenti che reputo razionali nonché date e circostanze verificabili, a sostegno di una mia interpretazione circa Sciascia narratore e personalità pubblica. (Ho chiarito, tra l’altro, di non avergli dato del ‘codardo’).”

(La Repubblica, 20 gennaio 1994, lettera di Arlacchi, “Replica su Sciascia”)

 

“In un’intervista ho solo dichiarato che, rileggendo il Giorno della civetta, ho trovato alcune parti datate, superate dal tempo. Non ho mai accusato Sciascia di essere un vigliacco... Io non ho mai insultato Sciascia per il quale nutro un profondissimo rispetto ed una grande ammirazione. Sono cresciuto nel culto dei lavori di Sciascia...”

(Corriere della Sera, 21 dicembre 1995, articolo intitolato “Su Sciascia, Arlacchi voltagabbana”)

 

Associazione “AMICI DI LEONARDO SCIASCIA”
(Associazione fondata il 26 giugno 1993)
Di Leonardo Sciascia rimpiangiamo la coscienza critica dell’intellettuale disorganico che non temette di contraddire e di contraddirsi, che tese alla verità, nutrendosi del dubbio che è il migliore antidoto al dogmatismo; che fu capace non solo di polemizzare ma di dialogare con tutti; che non negò soltanto, ma costruì.  Ricordiamo, ancora, perché ci manca, l'autorevolezza del suo giudizio critico, nella letteratura e nelle arti figurative: il piacere della sua scrittura affilata e tagliente come una spada. Ci manca infine la sua generosità, che seppe scoprire e valorizzare nuovi talenti. Ci manca in definitiva, l’esempio del maestro.

 

ADRIANO SOFRI
(Trieste, 1 agosto 1942- scrittore, opinionista, attivista italiano)

La verità, vi prego, su Joseph Beuys: “Nazista”, l’accusa che ritorna. Ma già una biografia aveva sconfessato la mitologia costruita dall’artista tedesco e intorno a lui. Un ricordo romano del 1981, quando da una linotype nacque un’opera d’arte per salvare un giornale di sinistra

Il pretesto di questa pagina è uno strafalcione di Paolo Berizzi. Berizzi, inviato della Repubblica, si occupa da tempo di fascismo e neofascismo contemporanei. Questo impegno, che ha consigliato da quattro anni di tutelarlo con una scorta, gli merita una franca solidarietà. Nella sua rubrica, “Pietre”, ha denunciato una frase detta da Alessandro Giuli, direttore del Maxxi, a un intervistatore della rivista di Trenitalia che lo interrogava sulla funzione attuale di un museo: “La stessa dell’arte, una funzione sociale, come diceva Joseph Beuys”. E qui Berizzi: “Joseph Beuys, pittore, scultore e performance artist tedesco morto nel 1986, è noto per il concetto di scultura sociale. Ex nazista della Hitlerjugend, la gioventù hitleriana, e volontario nella Luftwaffe, nel 1976 Beuys si candidò con la formazione di estrema destra Comunità d’azione dei tedeschi indipendenti, e si circondò di ex nazisti e ufficiali delle SS, da Georg Haverbeck a Karl Fastabend”. Fine.

“Una funzione sociale, come diceva Beuys” – e viene giù una simile folgore. Ora, l’Italia specialmente, e buona parte del mondo, brulicano di opere di Beuys custodite nei musei più prestigiosi e mostrate in gallerie pubbliche e private. Che la più generica delle citazioni di Beuys suoni come una compromissione col nazismo è un’estensione insensata del compito di sentinella antifascista. Temo che Berizzi abbia orecchiato qualche scampolo di una discussione dirompente su Beuys, in Germania soprattutto, arrivato in Italia a suo tempo attraverso una cronaca sulla Stampa e qualche articolo sulle riviste d’arte. Cosa singolare, perché l’Italia, specialmente nel suo meridione, è stata prediletta da Beuys, e l’ha ricambiato. Forse proprio questa predilezione, e magari gli interessi mercantili che l’hanno accompagnata, spiegano la disattenzione. La quale a sua volta spiega la faciloneria di una sentenza come quella emessa da Berizzi a carico dell’incolpevole Giuli.

Al centro della “questione Beuys” sta la imponente biografia – tre volumi, per complessive 1.100 pagine – che gli ha dedicato Hans-Peter Riegel nel 2013. Riegel (Düsseldorf 1959), pittore e studioso di comunicazione, ha frequentato Beuys, e ha meticolosamente sconfessato l’intera mitologia costruita da lui e attorno a lui: amico di nazisti, bugiardo sistematico sulle proprie vicissitudini, seguace pedissequo dell’antroposofia di Rudolf Steiner, e probabilmente clinicamente matto. Buona parte di questo poderoso smantellamento era nota da tempo. Beuys (nato nel 1921, morto nel 1986) era cresciuto nella Gioventù Hitleriana e si era arruolato volontario nella Luftwaffe. Aveva raccontato una storia della propria parte in guerra un po’ arrangiata, molto inventata: nel 1944, a bordo di uno Stuka – come pilota, no, come mitragliere, no, come marconista – era precipitato in Crimea. Gravemente ferito, era stato soccorso dai nomadi tartari e per giorni curato da loro, riscaldato dal feltro, medicato dal grasso animale – gli ingredienti fondamentali delle sue istallazioni e sculture – e insomma salvato. Una leggenda oltretutto ben trovata a riguardarla oggi, quando l’epopea dei tartari di Crimea deportati ferocemente due volte, da Caterina II e poi da Stalin, proprio in quel 1944, è tornata così attuale. Leggenda probabile anche la piastra metallica al posto della calotta cranica, da allora coperta dal cappello di feltro che, assieme al giubbotto da pescatore e agli scarponi connotava la sua figura carismatica – e la faccia bella, di un Jacques Brel affinato e dalla chiostra di denti meno affacciata. E poi l’invenzione delle decorazioni di guerra, fino alla Croce di Ferro. Altrettante notizie da sempre accompagnate da un alone di verosimiglianza artistica così suggestiva da prevalere sulla verità. L’antica aspirazione a fare della propria vita la propria principale opera d’arte era rinnovata in Beuys dalla proposta provocante di un modo di vita che mescolava la tradizione, conservatrice o peggio, del romanticismo della natura tedesco al nuovo sentimento ecologista e a una sobrietà spinta all’ascesi. E quel modo di vita riguardava tutti: ognuno è un artista – dichiarazione che per un verso fa intravvedere il vicoletto cieco dell’uno vale uno (Beuys propugnò la “democrazia diretta attraverso il referendum”), ma per l’altro ripete Novalis: ogni persona dovrebbe essere un artista, ogni cosa dovrebbe essere una bella arte.

Insomma, le bugie di Beuys, anche una volta documentate scrupolosamente (e con qualche concessione al pettegolezzo) non smettono di essere parte della sua personale performance. La diagnosi clinica, che pure gli si è cercata, decreta che “aveva due facce”, ciò che è irrisorio per i suoi ammiratori, che di facce gliene trovano molte di più, e se ne rallegrano. Molto di tutto ciò era stato detto prima di Riegel, in particolare nel 1980 da Benjamin Buchloh (1941) storico dell’arte a Harvard, insofferente dello sciamanesimo di Beuys. Riegel certifica che Beuys ha mentito sullo stesso luogo di nascita, sostituendo a Krefeld la Kleve di Lohengrin, il Cavaliere del cigno. Ha mentito sul diploma. (Può servire il giudizio di Berdiaev su Rudolf Steiner: “Persuadeva ed ipnotizzava non solamente gli altri, ma anche se stesso”).

Le relazioni con personaggi che, come lui del resto, ma ben più in affari di lui, erano stati nazisti, sono problematiche. Ci sono critici che hanno visto nell’opera di Beuys un riconoscimento decisivo del significato di Auschwitz. Gene Ray, 2001: “La sua decisione di diventare artista era dipesa, disse, ‘dalla consapevolezza che un’arte così legata alla lingua tedesca e al popolo che la parla era anche l’unico modo per superare tutte le macchinazioni ancora di matrice razziale, i peccati terribili, e le indicibili macchie nere, senza perderle di vista per un attimo’”. Altri hanno denunciato, al contrario, un’incomprensione ostinata. A vantaggio dei secondi sta la frase riferita da un assistente, pronunciata nel 1967: “In fondo questa società è anche peggiore del Terzo Reich. Hitler mandava ai forni solo i corpi…”.

Sono arrivato fin qui senza dire del rapporto di Lotta continua, e mio personale, con Joseph Beuys. Beuys non è mai stato marxista perché era nemico del materialismo. Ha simpatizzato col movimento studentesco tedesco nel ‘68. E’ stato tra i fondatori dei Grünen, che non voleva dire essere di sinistra, “verdi fuori e rossi dentro”, che forse è la ragione principale della riuscita dei verdi tedeschi e dell’asfissia degli italiani. Con Lotta continua ebbe a che fare da quando fuorusciti italiani, a Francoforte e altrove, si legarono a militanti come Dany Cohn-Bendit e Joschka Fisher. Uno, Francesco-Checco Zotti, diventò suo amico. Numerosi musei serbano testimonianze della simpatia di Beuys per il titolo “Lotta continua”. Nel 1981, chiusa da anni l’organizzazione, si trattava di salvare il giornale, e Beuys venne a Roma con sua moglie Eva e i figli Jessyka e Wenzel, pronto a fare qualcosa a nostro beneficio. La storia è stata raccontata, ma vale sempre la pena, perché è generosa, divertente, e losca. Era maggio, arrivò senza avere la minima idea di che cosa fare, e lo chiese a noi. Era stato designato lo spazio magnifico di Palazzo Braschi. Noi eravamo falliti, incombeva la fotocomposizione, avevamo appena svenduto i macchinari ai nostri tipografi per un prezzo simbolico. Avevo sempre venerato la bellezza della linotype, la pesantezza e la grazia dei caratteri fusi e composti a mano – i veri anni del piombo. La proposi a Beuys, accettò con entusiasmo. Era notte, la vigilia, mandammo a casa di Giovannone, il nostro capo tipografo, a ricomprare a prezzo moltiplicato la linotype e caricarla dalla sua cantina su un camion. Il giorno dopo, in mezzo a un pubblico appassionato, fu tramutata in un monumento: la bandiera, opuscoli, un volantino, parecchio burro... Tano D’Amico fotografò. Beuys aveva chiesto lavagne che avrebbero completato l’istallazione, posate per terra o appese alla parete, riempite dai suoi testi e disegni: cosmologici, sapienziali, con una prevalenza dei presocratici. Eravamo così squattrinati, e d’altra parte non avremmo chiesto a lui di sobbarcarsi per giunta alle spese, che alcune lavagne erano tavole verniciate di nero, in particolare una più grande, con la dedica, che sarebbe rimasta a Checco e a me. Checco fu l’interprete di Beuys che accompagnava il lavoro con la spiegazione. Volle una pausa per restare solo – ma con Tano: s’intendevano. Io ero indaffarato a seguire un’asta apparente fra i due mercanti maggiori di Beuys in Italia, alla fine della giornata l’opera era già venduta a un prezzo che ci rianimava, e che sarà stato un settantesimo del prezzo al quale, dopo un giro del mondo, la linotype finì al Guggenheim. Ho raccontato altrove della cerimonia serale, con la partecipazione metafisica di Federico Zeri, Renato Nicolini, Achille Bonito Oliva, Renato Guttuso – che si scusò di lasciare prima della fine, perché aveva “gli astronauti russi”: c’erano spesso astronauti russi per gli appuntamenti serali di Guttuso – e non so chi altri, me ne scuso. L’opera si intitolava “Lotta continua”, strada facendo prese il nome di “Terremoto”, non so per quale manina (Petra Richter l’ha studiata). Ho raccontato anche della cena con la famiglia Beuys, noi, io, Checco ed Enrico Deaglio, e Leonardo Sciascia, cui Beuys spiegava la democrazia diretta e la piantagione di milioni di alberi, e lui ascoltava più impenetrabile di un mandarino della Cina.

Tanti anni dopo, morto così presto, nel 1990, Checco Zotti – l’inventore del paginone centrale per la cultura, con un secolo d’anticipo su Repubblica – avevo bisogno di dare a suo figlio la metà della lavagna di Beuys. Venivo da anni di assenza, dovetti andarla a cercare. Era dove mi aspettavo che fosse, in una casa di campagna, però posata, alla rovescia, su due cavalletti, e adibita a tavolo da ping pong. Come nel principe e il povero, quando il povero usava il sigillo reale per schiacciare le noci. Quando trovai un acquirente, gli eredi di Beuys non autenticarono la tavola, ritenendola un falso. Ebbi dalla mia parecchi testimoni, quello cui fui più grato era Arturo Schwartz. Soprattutto di quella tavola-lavagna non sarebbe mai apparso un presunto originale. C’era un altro piccolo originale: una lettera manoscritta lunga e calorosa che Beuys indirizzò al suo amico Andy Warhol per raccomandargli di accoglierci e starci a sentire: l’idea era di fare una gran cosa a Pompei l’anno prossimo, una replica dei Pink Floyd con la presenza di Beuys e Warhol, della Madonna e così via, che avrebbe fatto epoca e cassetta. Lucio Amelio mi chiese di prestargli la lettera, io ero uno così, facemmo una fotocopia e gliela prestai, non me la restituì. Lucio è morto, gli altri sono vivi. Anch’io, e aspetto.

Berizzi, dunque. Riassumendo la questione Beuys per il Tagespiegel, Bernhard Schulz scriveva: “Sarebbe certo errato denunciare Beuys come un nazista, per irritanti che siano alcune delle sue relazioni”. Schulz disse qualcosa di più penetrante: che l’opera di Beuys faceva tutt’uno con la sua presenza, e che poi ne risulta come esanime. La mia linotype, nel suo sontuoso museo, come una natura morta! (Ma che cosa sarà allora di Marina Abramovich, senza di lei?)

Il Riegel dissacratore di Beuys ha detto: “Ha aperto le porte all’arte. L’ha messa sulla scena pubblica. L’ha resa mediatica. Come San Sebastiano, ha attratto sul suo corpo tutte le frecce. Ha de-accademizzato l’arte accademica. E’ stato il maestro di una intera generazione. Penso che la sua opera sia decisamente unica. Bisogna che la sua arte sia messa nel suo contesto... e questo è il problema”. Ha detto anche: “Devo a Beuys la mia incoercibile volontà di realizzare qualcosa...”.

( Il Foglio 18 settembre 2023)

 

LUIGI BALDACCI
(Firenze 1930 - 2002  /  Critico letterario)
In un quadro, qual è quello attuale delle lettere italiane, scompare, con Leonardo Sciascia, non solo un grande scrittore, ma prima di tutto un uomo che, come pochi altri nel nostro secolo, ha creduto che lo scrittore debba avere una sua funzione, un rapporto intrinseco con la società, debba insomma esercitare il suo ruolo di intellettuale, essendo quel ruolo a giustificarlo, ma – qui sta il punto di serietà di Sciascia – rifiutando al tempo stesso ogni sorta di organicità in favore di questo o quel gruppo. In altre parole, Sciascia ha creduto che la funzione dello scrittore fosse quella del solista che, mostrandoci tutte le facce della verità, a rischio di scoprire che la verità non ha faccia, ci stimoli alla critica, all’originalità magari all’individualità nei confronti delle idee trionfanti.

(La Nazione, 21 novembre 1989)


ANGIOLO BANDINELLI
(Chianciano Terme SI 1927  /  Poeta, scrittore e saggista)
Sciascia, questo sconosciuto? Non è una battuta, potrebbe succedere tra poco, se continuerà l’erosione della sua memoria, della sua immagine. I sintomi ci sono, e preoccupanti. Vedremo, intanto lo scrittore siciliano è messo al bando anche da certe storie letterarie (indovinate quali?) che a lui, l’eretico, il volterriano, l’illuminista, preferiscono Calvino, posto a conclusione e fastigio della grande linea De Sanctis-Croce-Gramsci, su cui viene fatta procedere la letteratura e la coscienza civile del nostro Novecento.


MAURIZIO BARBATO
(Palermo 1952  /  Docente di Storia e Filosofia in un liceo della sua città)
“Ce ne ricorderemo di questo pianeta”. La frase non è sua ma di Villiers de l’Isle-Adam. Ma l’averla scelta per il suo sepolcro, l’averla cioè saldata alla sua vita e ai suoi tempi, al senso finito di questi e di quella, è un’opera bellissima del suo ingegno. Tanta è l’ironia, tante sono le allusioni, tanti i fili di pensiero che si intrecciano intorno a quella frase se unita a quello che scrisse e che disse, e ai tempi in cui lo scrisse e lo disse. E forse intendeva dire quello che ogni grande pessimista direbbe: che questo mondo lo ha molto divertito perciò non potrà dimenticarlo.
Ed è bello quindi ricordarsi di lui, mediante ciò che lui più faceva per divertimento. L’editore.


OLIVIA BARBELLA
(Monza 1970  /  Dottoranda in Storia della Lingua e Letteratura Italiana)
L’insieme delle opere di Sciascia è costituito da una quarantina di volumi (spesso volumetti), che a partire dal 1950 hanno scandito al ritmo in media di uno per anno, un intero quarantennio di questo secondo Novecento: un vasto “corpus” di testi ispirati a criteri strutturali, formali, creativi fra loro eterogenei. Cercare di delineare le coordinate significa anche ricostruire la fisionomia intellettuale di un autore che si è dedicato a un ideale estetico fortemente condizionato da intenzioni extraletterarie di critica e di denuncia della realtà politico-sociale dell’Italia contemporanea. A questo senso di responsabilità Sciascia si è costantemente attenuto, esprimendosi attraverso una voce mai neutrale, e anzi sempre intellettualmente, culturalmente, ideologicamente anticonformista e avversa all’omologazione massificante che connoterebbe l’attualità.

(Sciascia, Palermo-Firenze, Palumbo 1999)

GIUSEPPE BARCELLONA
(Torino 1975  /  Scrittore e giornalista)
Sciascia è un’icona delle letteratura nostrana conosciuto in tutto il mondo, un intellettuale socialmente e politicamente impegnato per la Sicilia.
Visse tra la Sicilia e la capitale dove ebbe anche incarichi politici, la sua intransigenza  gli procurò polemiche e tanti nemici.
Fu tra i primi a denunciare nei suoi racconti il modus operandi della mafia siciliana, molto prima che lo facessero i pentiti, in un periodo, i primi anni sessanta, in cui cosa nostra era ancora avvolta in un impenetrabile muro fatto di silenzio e omertà.

(In Leonardo Sciascia cronista di scomode realtà, a cura di Martino Ciano, PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino FI 2015, Pag. 76)


LUIGI BARZINI
(Milano 1908 - Roma 1984  /  Giornalista, scrittore, politico liberale)
Per me non c’è dubbio che oggi uno dei pochi bravi romanzieri, forse il più bravo di tutti, sia Leonardo Sciascia… Si ha la sensazione che possegga almeno alcune delle qualità del grande scrittore. Anzitutto scrive straordinariamente bene… La sua lingua è concisa, vigorosa, tersa e intensa. Sa controllare le proprie emozioni. I suoi libri sono invenzioni originali, costruite con solidità e concepite come un’armonica unità dalla quale è quasi impossibile eliminare una pagina, un capoverso o anche soltanto una parola… Devo ammettere che il mio giudizio su Leonardo Sciascia (che non ho mai conosciuto di persona) non è condiviso dai critici di professione. Solo se bloccato in un colloquio personale a quattr’occhi, un eminente critico romano ammetterà con riluttanza che effettivamente, in un certo senso, isolandolo dal contesto contemporaneo come se fosse già morto, Sciascia dovrebbe essere considerato uno dei tre o quattro scrittori più importanti e comunque uno di quelli destinati a durare, forse addirittura il numero uno della sua generazione. Ma pubblicamente  e ufficialmente lo stesso critico eminente lo porrà soltanto tra i primi venti o trenta…

(L’antropometro italiano, Milano, Mondadori 1973)


SALVATORE BATTAGLIA
(Catania 1904 - Napoli 1971  /  Filologo, linguista e critico letterario)
Sciascia è uno dei rari scrittori che costruisce l’opera al di là e al di sopra della letterarietà,  pur essendo intimamente convinto che l’attendibilità e l’attualità della storia e dell’esistenza sia possibile conseguirle in forme durature mercé il tramite del suo stile.
Nell’Italia di oggi si avverte fortissima l’esigenza di ricordare la personalità e l’opera di Leonardo Sciascia. Sciascia è stato un grande scrittore che ha saputo inserire un profondo impegno civile in un’opera dal respiro europeo. La figura di intellettuale di Leonardo Sciascia è quella di uno dei maggiori del nostro secolo, avendo rappresentato un importante riferimento sia per lucidità di pensiero sia per una profondità ed uno spessore culturale di straordinario livello. La sua grande passione civile non è mai stata partigiana. È uno scrittore adorabile. I suoi libri si leggono ad una sola mano.

(in Panta n. 27, Milano, Bompiani 2009)

 

SALVO BATTAGLIA
(Palermo 1984  /  Avvocato penalista)
… Sciascia non fu soltanto uno scrittore, ancorché di romanzi cosiddetti “gialli” o “polizieschi”, ma un intellettuale animato dalla spasmodica ricerca della giustizia come sinonimo di verità e autore di storie che appaiono più un pretesto per svolgere riflessioni sulla giustizia (e segnatamente sulla giustizia penale) che sulle vicende umane isolate.
Se si è disposti ad accettare la tesi sopra esposta, allora risulterà di tutta evidenza l’importanza che assume il procedimento penale nella pagina sciasciana, dall’inizio (indagini sui sospettati) sino al culmine di esso (la sentenza).

(Del delitto e della pena nel pensiero di Leonardo Sciascia, Palermo, La Zisa 2013)


MARCO BELPOLITI
(Reggio Emilia 1954 / Scrittore e critico letterario)
Dal punto di vista dei generi letterari, Leonardo Sciascia è uno scrittore impuro, sospeso tra racconto e saggio, tra tragedia e commedia, tra saggio e articolo di giornale, tra aforisma e racconto, tra proverbio e poesia. Questa sua ambiguità trae la sua origine nella complicata vocazione letteraria di Sciascia, che nasce poeta e insieme saggista, che diviene narratore e poi si trasforma in polemista, che segue contemporaneamente un’ispirazione morale e un’aspirazione religiosa, che è contraddetto e si contraddice.

(“L’Affaire Moro: anatomia di un testo” in L’uomo solo. L’Affaire Moro di Leonardo Sciascia, a c. di Valter Vecellio, Quaderni Leonardo Sciascia 7, Milano, La Vita Felice 2002)


MARCELLO BENFANTE
(Palermo 1955  /  Narratore e giornalista)
Sciascia non amava riscrivere e si affidava quasi interamente alla segreta “alchimia” della prima stesura. Ma i suoi libri nascevano con sistematica puntualità nella quiete estiva della sua campagna racamultese dopo lunghe e meticolose ricerche preparatorie nel corso del resto dell’anno. Il testo definivo era il risultato di una vera e propria distillazione, ossia un processo di sottrazione di impurità, di elementi non necessari.

(Leonardo Sciascia, Appunti su uno scrittore eretico, GR, Besana in Brianza MI 2009 - Pag. 67)


ENZO BIAGI (1975)
(Pianaccio di Lizzano in Belvedere BO 1920 - Milano 2007  /  Scrittore, giornalista e conduttore televisivo)
Leonardo Sciascia mi piace come scrittore e come persona. Anche la sua vita è rispettabile. Faceva il maestro elementare, ma senza passione. È difficile insegnare a un bambino che ha fame la grammatica e le moltiplicazioni. Adesso vive coi diritti d’autore e con qualche articolo. Le due ragazze sono sposate. La signora Maria non ha mai avuto bisogno della domestica. Qualche volta va lui a fare la spesa. Hanno poche necessità: accendono la televisione soltanto quando si elegge il presidente della repubblica, e non funziona. Sono andato a trovarlo nella casa di campagna, a Racalmuto: un ettaro di terra, che è sempre stato dei suoi. Sciascia ha tirato su i muri nuovi, perché ormai ci vuole l’acqua e la luce, ma il paesaggio è immutato: la trazzera piena di buche, gli ulivi drammatici, il vento che ribalta le erbe secche. Questo è il suo orizzonte: il pastore che gli regala la ricotta, i bottegai, i contadini, un professore che ogni tanto viene a trovarlo e gli porta frutta e vino. Sciascia ama la solitudine: non sa guidare l’automobile, sul caminetto ci sono dei libri, alle undici di sera già riposa, e l’ultimo pensiero è sempre per la morte; vorrebbe affrontarla da sveglio, forse per giudicarsi un’ultima volta.

(in Panta n. 27, Milano, Bompiani 2009)


HECTOR BIANCIOTTI
(Cordoba, Argentina 1930 - Parigi 2012 / Romanziere e drammaturgo)
Leonardo Sciascia è il maggiore scrittore della grande periferia di Palermo, l’Italia.

(Le Monde,  24 novembre 1989,  poi in Nuove Effemeridi n. 9, Giugno 1990) 


CARLO BO
(Sestri Levante GE 1911 - Genova 2001  /  Critico letterario, senatore a vita)
Sciascia un “Maestro” da non dimenticare. Un grande disegno di Leonardo Sciascia è stato quello di scoprire la verità o almeno di avvicinarsi il più possibile ad un vero possibile.

(Gente, novembre 1989)


MARCO BOATO
(Venezia 1944  /  Giornalista e docente universitario)
Per quello che Leonardo Sciascia è stato e ha costituito nella storia, nella cultura, nella politica italiana (nel senso più nobile della parola), siamo di fronte ad uno scandalo di proporzioni gigantesche. A parte la meritoria attività dell’“Associazione Amici di Leonardo Sciascia”, a cui anch’io sono iscritto, a parte qualche critico che continua a parlarne e a scriverne, si assiste a una grande, gigantesca rimozione.


ARNALDO BOCELLI (1962)
(Roma 1900 - 1974 / Critico letterario, giornalista)
Il modo con cui Sciascia tratta la materia dei suoi racconti è di un realismo risentito, satirico, spinto fino al grottesco là dove della vita siciliana è colto l’esterno configurarsi, o, dei vari personaggi, il gesticolato parlare, con quelle cadenze dialettali, specie di sintassi, che danno a certe scene quasi un sapore di mimo.


GIUSEPPE BONAVIRI
(Mineo CT 1924 - Frosinone 2009  /  Medico, poeta e scrittore)
Ma la lezione che questo scrittore tramanderà ai posteri, resterà quella del pudore espressivo, cioè una tecnica di scrittura originale e nuova.

(Il Messaggero, 21 novembre 1989)


ARCHIMEDE BONTEMPI
(1945-2010 / Consigliere per la Lega Nord del CGIE - Consiglio Generale degli Italiani all’Estero)
Tutta l’opera di Sciascia è un’opera letteraria che, descrivendone i meccanismi umani, demolisce la mafia come forma di potere politico deviato legato alla malavita. I suoi libri sono da leggere nelle scuole e da tenere sul comodino, sempre, anche se ciò dispiace ai nuovi codini di “La Repubblica” che una rivoluzione borghese non la vogliono, né la vorranno mai, perché minaccia i loro meschini privilegi.

(l’Indipendente, 12 gennaio 1994)


GIUSEPPE BONURA
(Fano AN 1933 - Milano 2009  /  Scrittore e critico letterario)
La morte di Sciascia, che aveva 68 anni, spalanca un grande vuoto nella letteratura, nella cultura e anche nella politica italiana, anzi europea. Un vuoto che non sarà facile colmare, data la eccezionalità e la singolarità dello scrittore siciliano. Sciascia non è stato soltanto un sagace narratore e un impareggiabile saggista. È stato anche e forse sopratutto, una coscienza civile di primissimo ordine, un moralista nel senso classico della parola. E non è un caso che talvolta il suo nome sia stato accostato a quello di Manzoni, non per affinità di poetica, che non ce ne sono, ma per la medesima passione nei confronti della giustizia umana, anzi dell’ingiustizia.

(LAvvenire, 21 novembre 1989)


MARIA BRANDON ALBINI
(Robbiate LC 1904 - Parigi 1995  /  Scrittrice italiana, naturalizzata francese)
Nel 1958 io mi occupavo, per la rivista di Sartre, “Les Temps modernes”, della sezione “Italia”. Fra i vari miei articoli di presentazione dei nostri giovani autori, fu pubblicato allora un mio breve testo sulle “Parrocchie di Regalpetra” dell’allora esordiente Leonardo Sciascia: tradussi nello stesso tempo per quella rivista alcune pagine di tale libro sul paese natale, Racalmuto, diventato nel volumetto pubblicato dall’editore Laterza, Regalpetra. L’autore, ancora maestro di una scuola elementare del suo villaggio, ma già promesso a un ottimo avvenire letterario, evocava i costumi tradizionali di quel paesetto che, al pubblico francese dei “Temps modernes”, rivelava un “fenomeno di esotismo meridionale”. Tra gli altri episodi da me tradotti, ricordo il seguente: ogni anno un mulo doveva entrare nella chiesa per deporre, dinanzi all’altare maggiore, il dono delle primizie (grano e frutta). Il vescovo tentò di proibire quel costume tradizionale, ma dovette rinunciare al suo gesto troppo moralistico per l’ambiente siciliano “paganizzante”. Infatti, i contadini scioperarono, rifiutando le consuete offerte rituali alla Madonna. E il vescovo capitolò.

(in Il sereno pessimista, a c. di Antonio Motta, Manduria TA, Lacaita, 1991)

 

GESUALDO BUFALINO
(Comiso 1920 - 1996 / Scrittore)
Mi vengono in mente mille tratti di umanità perché l’uomo Sciascia non era meno nobile dello scrittore, il suo cuore e la sua mente erano una sola armoniosa macchina di conoscenza e di vita. Spenti l’uno e l’altra, non ci rimane che cercarli sullo scaffale. È il solo conforto, ma non mi basta, non ci basta. Ci resterà la sua lezione di unire alle ragioni della ragione le ragioni del cuore: umanità e giustizia.

(in Malgrado tutto; poi in Ricordare Sciascia, a c. di P. Cilona, Palermo, Publisicula 1991, pag. 372)


ANTONIO  BUTTITTA
(Palermo 1933 / Docente di Antropologia nell’Università di Palermo)
Dagli insegnamenti che ho ricevuto da Leonardo Sciascia, essere parco nell’uso degli aggettivi e degli avverbi resta uno dei più decisivi. Mi è perciò difficile parlare di lui uomo e della sua opera, impedito in certo modo nell’uso degli aggettivi pur necessari.

(in Ricordare Sciascia, a c. di P. Cilona, Palermo, Publisicula 1991, pag.116)

 

DOMENICO CACOPARDO
(Rivoli TO 1936  /  Magistrato e scrittore)
Le storie di Sciascia rompono i limiti di ogni classificazione e sembrando gialle, raccontano la Storia.  I suoi romanzi storici, nel raccontarci la Storia, ci dicono l’Italia contemporanea.


ITALO CALVINO
(Cuba 1923 - Siena 1985)
“Sono stato il primo”, scrive Calvino alla redazione de L'Arc, “a leggere tutti i libri di Sciascia che me li inviava manoscritti: io li leggevo come lettore delle Edizioni Einaudi e come amico, per poi dirgli cosa ne pensavo. Rivedendo queste lettere tutte assieme, mi accorgo di avere quasi scritto un ‘Tutto Sciascia’ ”.

Nella prima lettera, del settembre 1957, Calvino esprime a Sciascia la propria opinione su una serie di racconti: Cronache Scolastiche, La Zia d’America, e La morte di Stalin. Dei tre racconti il migliore gli sembra La Zia d’America, pur annotando che si tratta di un prodotto di “scuola” e non di prima mano, derivando scopertamente da Brancati; ma è riuscito bene ed è divertente. In quanto a La morte di Stalin, è del parere che si tratti di un lavoro un po’ deludente.

La seconda lettera, del settembre 1960, è relativa al Giorno della Civetta. Sciascia ha ormai maturato quel suo stile che gli assicurerà il gradimento di critici e lettori. Calvino gli scrive: “Tu sai fare qualcosa che nessuno sa fare in Italia: il racconto documentario su un problema, fornendo un’informazione completa su quel problema con vivacità visuale, finezza letteraria, abilità, scrittura controllatissima, gusto dell’esperimento quel tanto che serve e non di più, colore locale quel tanto che serve e non di più, inquadratura storica e nazionale e del mondo intero tutto attorno che ti salva da un asfittico regionalismo e un’energia morale mai carente. Si legge d’un fiato”.

La terza lettera, datata ottobre 1962, è relativa al Consiglio d'Egitto. Il giudizio di Calvino è entusiasta. “Ho letto con grande piacere Il Consiglio d'Egitto. Tu hai saputo animare la ricostruzione di un clima e il caso di una mistificazione filologica rendendo vivi tutti i personaggi, conferendo loro realtà di esseri umani, ognuno col proprio mondo lirico-psicologico e soprattutto, rendendo  la complessità delle motivazioni di storia politica e di storia culturale. Hai saputo fondere la tua passione per l’esplorazione della storia locale col tuo gusto per la commedia satirica in un racconto costruito con grande talento, sia per la narrazione che per la rappresentazione didattica. Debbo muoverti, in maniera del tutto marginale, un solo appunto letterario. A un dato momento, tu cominci ad usare immagini moderne: l’attore di Broadway, Malraux,  Chaplin. Una nota falsa delle peggiori. Togli queste immagini moderne, insisto, che abbassano il livello della tua prosa, sempre controllata”.

La quarta lettera, datata ottobre 1964, è relativa al testo teatrale L'Onorevole: la storia di un professore di storia e letteratura che si lascia convincere dai politicanti e diventa onorevole della Democrazia cristiana, suscitando, però, l’indignata reazione della moglie che non sopporta i compromessi via via accettati dal marito sul piano morale. Il giudizio di Calvino è positivo, specialmente per quanto concerne la figura e il ruolo della moglie.
“Questa brava signora Assunta, che ci hai quasi nascosto per i primi due atti, deve adesso farsi portavoce delle tue proposte di saggista letterario sociologico della società di massa di riformatore giansenista. Un grave errore? Di sicuro; ma è proprio per questo errore che il pezzo vive e segna – al di là di ogni sacrosanta polemica civile – un progresso nella tua storia di scrittore e nella nostra comune ricerca. Tu sei un ‘philosophe’ più rigoroso di me, le tue opere hanno un carattere di battaglia civile che le mie non hanno mai avuto, esse hanno una loro propria univocità sul piano del pamphlet, così come sul piano favolistico, come tutte le opere di poesia, non possono essere ridotte ad un'unica forma di lettura.”

La quinta lettera, del novembre 1965, concerne il romanzo A ciascuno il suo. Il giudizio di Calvino è lusinghiero.
“Caro Leonardo, ho letto il tuo giallo che non è un giallo, con la passione con cui si leggono  i gialli, e in più il divertimento di vedere come il giallo viene smontato, anzi, come viene dimostrata l’impossibilita del romanzo giallo nell'ambiente siciliano. È insomma un ottimo Sciascia, che prende posto a fianco de Il Giorno della civetta e lo supera, perché ha in più l’ironia, perché la presenza del nume tutelare Pirandello non è affatto marginale. Perché si vede che viene dopo Il Consiglio d'Egitto. Sarà un libro che piacerà, e di cui si discuterà.”

L’ultima lettera è dell’ottobre 1974 ed è scritta da Parigi. Calvino esprime il suo giudizio su un nuovo lavoro di Sciascia.
“Caro Leonardo, ieri ho letto Todo Modo, todo modo, todo modo, dapprima un po’ irritato da questi preti da queste messe e da questa teologia, poi con passione, per il giallo e per il lato poliziesco e per la visione infernale dell’Italia democratica-cristiana che è la cosa più forte che sia stata scritta sull’argomento.  Questo è proprio il romanzo che occorreva  per dire che cosa è stata e che cos’è l'Italia democristiana, e nessuno è stato capace di scriverne prima di te. Anche questa volta, mi sono appassionato a ricostruire quello che tu lasci nell’ombra, cioè la soluzione dell’enigma poliziesco ed ho seguito con attenzione e divertimento l’intreccio delle citazioni letterarie e filosofiche (e col piacere supplementare di trovarmi quasi interlocutore diretto del rapporto Voltaire-Pascal) che, ancor di più che nel Contesto, mi sembra racchiuda la chiave decisiva.”

(Segno mensile, direttore Nino Fasullo n.209 , L. Sciascia luomo che non si stancò di ragionare, Palermo 1999, pag. 232)


FERDINANDO CAMON
(Montagnana PD 1935  /  Giornalista e scrittore)
Dimentico di sé: Leonardo Sciascia ci ha detto pochissimo sull’uomo Sciascia, lo ha rimosso, lo ha annullato. Con l’uomo, ha annullato anche la sua malattia, in pochi si sapeva che era entrato in clinica, che si faceva filtrare il sangue, che non ci vedeva più, che non riusciva a camminare.
Questo annullamento di sé era il lato eroico ma anche arcaico di Sciascia. Era isolato. Ma questa solitudine farà risaltare ancora di più la sua grandezza.

(Il Mattino di Padova, 21 novembre 1989)


FEDERICO CAMPBELL
(Tijuana, Messico 1941 - Città del Messico 2014  /  Scrittore e giornalista)
Leonardo Sciascia apparteneva a una specie di scrittori – nella tradizione di Voltaire – praticamente in via di estinzione. Riteneva che gli scrittori non avevano motivo di aggirarsi eccitati nel circo del potere e reputava salutare non frequentare la mensa del principe. Per questo, secondo Sciascia, gli intellettuali di regime, coloro che si prostituiscono al potere, sono “lo sterco della politica”, ossia il concime il fertilizzante che alimenta ogni  discorso.

(in Panta n. 27, Milano, Bompiani 2009)


MANLIO CANCOGNI
(Bologna 1916  /  Scrittore e giornalista)
“… Pasolini era piuttosto estetizzante. Nei ‘Ragazzi di vita’ non appariva questo aspetto morale. […] Quanto a Sciascia, mi stava antipatico. Ha scritto un paio di bei libri e poi si è messo a fare il moralista. Forse una scelta letteraria: non credo a un siciliano così indipendente e così giudicante”.

(Intervista di Gigi Riva intitolata “Sostiene Cancogni” in L’espresso, 19 agosto 2010)

 


MARCO CARAPEZZA
(Ricercatore nell’Università di Palermo)
C’è in Sciascia una forma di adesione a una religione civile che crede nella responsabilità verso le parole che si usano. E con responsabilità intendo qui il fatto che le parole usate, i discorsi proferiti, hanno delle conseguenze; dicendo qualcosa ci si impegna verso il mondo in cui si vive.


BRUNO CARUSO
(Palermo 1927  /  Pittore)
Di Sciascia si sente la mancanza tanto più ora, perché sui fatti di oggi, sul grande cambiamento, su “Mani pulite”, sui corrotti, un uomo della sua integrità, fortemente contrario ad ogni forma di carcerazione preventiva o di estorsione della confessione, avrebbe trovato parole e argomenti che ci avrebbero certamente illuminato.


RAFFAELLA CASTAGNOLA
(Lugano 1960  /  Critica letteraria)
Prima di morire Leonardo Sciascia riuscirà ancora a scrivere “Una Storia Semplice”, aperta da una citazione di Dürrenmatt, che assume il valore di una massima testamentaria: “Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia”.

 

FERDINANDO CASTELLI  S.J.
(S. Pietro di Carida RC 1920 - Roma 2013  /  Docente di letteratura e cristianesimo presso l’Istituto di scienze religiose della Pontificia Università Gregoriana)
È un libello (Todo modo,  N.d.R.) che, in sé, non meriterebbe una trattazione particolare, né stilisticamente né contenutisticamente aggiunge qualche cosa alla personalità dell'autore.
Crediamo opportuno parlarne [...] perché il libello rappresenta una sintesi del mondo di Sciascia [...], sia perché è atto di doverosa onestà critica denunziare le intemperanze e i qualunquismi e additare, infine, venature d’ordine religioso che possono essere significative in uno scrittore d’ispirazione illuministica. [...] Sarebbe ingiusto negare a quest’ultimo lavoro di Sciascia brillio d’intelligenza, capacità d’infondere ad avvenimenti di cronaca ampiezza di significati, sapore di stile e genialità di inventiva. [...] Ma l’elemento che maggiormente guasta il racconto è la mania d’una denunzia radicalizzata e sistematica che gli fa perdere ogni credibilità e serietà e gli conferisce una patina di presunzione che offusca la sua vena di humour e svilisce i suoi obbiettivi. C’è modo e modo di portare avanti una denunzia e una polemica. Quello di Sciascia sa di dilettantismo, di apriorismo e di battute ad effetto.

(In La Civiltà Cattolica - 1975 - poi in La profezia di Sciascia di Nico Perrone, Archinto, Milano 2015 - Pag. 53)


I suoi racconti  non sono certamente di vasto respiro, ma rivelano incisività e linearità di dettato, vivacità di struttura narrativa, gustosa caratterizzazione dei personaggi, stile incisivo, asciutto, colorito, classico. Il tutto esprime una vena di fresca libertà e un sottile senso ironico e umoristico. [...] Vivo e attuale perché ha concepito la letteratura come vita, in chiave etica, nella ricerca della verità e della giustizia sociale.

(In La Civiltà Cattolica - 1989 – “Post mortem” di Sciascia - poi in La profezia di Sciascia di N. Perrone, cit., Pag. 54)

 

ROSARIO CASTELLI
(Giarre CT 1964  /  Professore associato di Letteratura Italiana presso lUniversità di Catania)
La letteratura costituì per Leonardo Sciascia “la più assoluta forma che la verità possa assumere”, senza essere mai “innocente”, nel senso che può avere un valore civile, ma anche orientarci verso territori disagevoli, abissi interiori che spetta alle capacità maieutiche e demiurgiche dello scrittore portare alla luce.
Il suo scrivere non compromissorio dice della singolare capacità che ebbe di opporsi al conformismo, rinunciando puntualmente al balsamo delle certezze accomodanti, ribadisce l'attitudine a smascherare le imposture del Potere, denunciando le funamboliche piroette del trasformismo. È questa prerogativa che accomuna il maestro di Racalmuto a una vasta famiglia di personaggi reali e immaginari con cui sconterà, soprattutto negli ultimi anni di vita, il destino di essere un uomo “solo”, disposto a contraddire ma anche a contraddirsi perché mai assoggettato al Potere, capace di valutare le cose nella loro immediata e semplice evidenza, interamente scevra dal pregiudizio ideologico.

Contraddisse e si contraddisse - Franco Cesati editore, 2016

 


CALOGERO CASTIGLIONE
(Racalmuto 1927 - 2012  /  Medico, amico di Leonardo Sciascia)
Una sera durante una nostra breve telefonata, fatta per lo più da silenzi, Nanà, capendo che la fine era vicina mi disse: «Alla Noce è tutto come allora, vero? Se puoi fai una passeggiata fingendo che io sia accanto a te. Chissà, magari ci torno davvero in campagna». Io restai in silenzio a lungo, avrei voluto dirgli che stavo tentando di predisporre ogni cosa ma temevo di illuderlo e a quel punto lui disse ancora: «Ma dai scherzo. O si passeggia insieme oppure non se ne fa nulla. Al momento dovremo accontentarci del telefono e delle nostre lettere, amico mio».

(in Amici per sempre di Daniela Spalanca, Mazara del Vallo, Libridine 2013 - Pag. 64)

 

FABRIZIO CATALANO
(Palermo 1975 - regista, autore - nipote di Leonardo Sciascia)

[…] E tante risposte possiamo scovare nei libri di Leonardo Sciascia: LE PARROCCHIE DI REGALPETRA ci ricorda quanto l’indigenza ci sia storicamente vicina, NERO SU NERO ci offre una guida per schivare le mille bassezze del quotidiano, IL CONTESTO, TODO MODO e i PUGNALATORI ci inducono a riflettere sulle derive del potere e le strategie della tensione, IL CAVALIERE E LA MORTE sulla volontà di lottare sino all’ultimo, anche se in solitudine, anche se tra atroci sofferenze, anche se della nostra battaglia, non vedremo l’esito. Ogni pagina ci spinge e ci invita a ragionare sulla verità. Questo è il centro di tutto: e nulla è più dimenticato, nella società in cui viviamo, della verità. Perchè non tutto è relativo, non tutto è opinabile. Perchè non sempre la verità ha molte facce.

(In Il tenace concetto - Rogas Edizioni - Roma 2021 - pag.86)


LUIGI CATTANEI (1978)
(Critico letterario)
Lucidità, intuizione, prontezza nel cogliere (e fin nel precedere) il senso della nostra vita nazionale e del suo malessere, dal remoto osservatorio della provincia agrigentina, mi sembrano tratti rari e degni, tali cioè da proporre una lettura meditata delle sue opere, che non possono essere avvicinate, soltanto sulla spinta  della “fortuna” editoriale. Ma al di là del coraggio e dell’onestà intellettuale resta a mio avviso per buona parte ancora da scoprire più di un risvolto umano, letterario, siciliano, culturale di Sciascia.

(Leonardo Sciascia, Firenze, Le Monnier 1980)

 

FELICE CAVALLARO
(Grotte AG 1949  /  Giornalista, scrittore)
Si è sempre battuto da “eretico” per far prevalere la ragione e il diritto in un Paese che ha spesso preferito le scorciatoie e i gattopardismi.  Leonardo Sciascia con le sue invettive e ossessioni ha anticipato temi cruciali della vita pubblica, nodi rimasti drammaticamente irrisolti, dalla lotta alla mafia alla corruzione, dagli errori della macchina della giustizia a quelli dello Stato, dal caso Moro al travaglio di Enzo Tortora, passando da forti intese a grandi contese, da Calvino a Guttuso. Con qualche rimpianto, come nel caso di Pier Paolo Pasolini e del “ritorno delle lucciole”.

(Sciascia l’eretico. Storia e profezie di un siciliano scomodo, Milano, Solferino 2019. Risvolto di copertina)

 

ROSALIA CENTINARO SAVATTERI
Crediamo che nell’imminenza dell’involontario esilio da questa Terra quando lo scrittore lasciò capire ai suoi familiari quale epigrafe avrebbe voluto si apponesse sulla sua lapide, e cioè “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta” il suo ricordo andasse alla Sicilia e, isola nell’isola, al suo paese, alla campagna della Noce, al mondo della zolfara, all’aula scolastica, al circolo della Concordia, laddove aveva avuto inizio la sua avventura di uomo e di scrittore. Questo amore per il suo paese, per la sua terra lo testimonia ancora la Fondazione che egli ha voluto a Racalmuto e che raccoglie quanto di più caro egli avesse: i suoi libri, quelli da lui scritti, e quelli da lui comprati e letti per amore di sapienza e conoscenza.


VINCENZO CERAMI
(Roma 1940 - 2013  /  Scrittore, drammaturgo, sceneggiatore)
La Sicilia ha perso la sua voce più casta, il cui tono appena sussurrato, quasi scettico, nascondeva un’ansia e una pazienza che solo i poveri conoscono. Leonardo Sciascia ha sempre fatto della povertà la sua poetica. E al contrario di molti scrittori siciliani, che alla miseria della loro terra oppongono una scrittura accademica, stentorea, o piaciuta, fatta di marmi e addobbi funebri, Sciascia scriveva con semplicità e chiarezza, in uno stile cristallino. Le sue pagine, luminose, acute, puntigliose, stavano sulle cose concrete, cercavano pretesto nella cronaca, nei fatti esemplari nei delitti comuni e politici, in quella parte terrena dell’esistenza dove l’uomo facilmente si sporca le mani. Sciascia cercava soluzioni ai misteri. Non certo per trovarla ma per raccontare un’iniziazione, il tragitto di un uomo nel suo viaggio più avventuroso, dentro la conoscenza.

(Il Messaggero, 21 novembre 1989)

MARTINO CIANO
(Tortora CS 1982  /  Scrittore e giornalista)
Allegramente recuperiamo e rileggiamo un grande della nostra cultura: Leonardo Sciascia, un illuminista, non un illuminato, che fa del sapere un'arma di denuncia, riscatto, di volontà di potenza e non di onnipotenza.

(In Leonardo Sciascia cronista di scomode verità, a cura di Martino Ciano,  Introduzione, PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino FI 2015, Pag. 4)


GIAN ANTONIO CIBOTTO
(Rovigo 1925  /  Giornalista)
Non era tanto “l’umor liberale e giustizialista” sottolineato dai suoi interpreti che mi piaceva, quanto lo spazio concesso ai sussulti della coscienza, ed il coraggio di attaccare senza reticenze i padroni d’ogni genere e tipo. Inoltre m’incantava lo stile della sua amicizia, sempre discreta, riservata, che per certi aspetti mi ricordava alla lontana Vitaliano Brancati, e si faceva viva nei momenti più impensati. Con un biglietto, una lettera asciutta, magari una telefonata durante gli approdi romani.

(Il Gazzettino, 21 novembre 1989) 


RITA CIRIO
(Autrice e critico teatrale)
In Sciascia trovai una persona amica straordinaria e poi, intorno a lui, una famiglia amica, a cominciare da Maria, sua moglie, una presenza discreta e fondamentale, colta senza bisogno di ostentarlo; affettuosa, attenta ai ricordi, nella calma della casa di Palermo, piena di libri, disegni, incisioni, conserva ancora, in un angolo del balcone di cucina un vecchio frigorifero panciuto, cimelio degli anni Cinquanta, cui è affezionata come a un vetusto animale domestico perché comprato con i primi diritti delle “Parrocchie di Regalpetra”.

(in Panta n. 27, Milano, Bompiani 2009)


ANDREA COCCIA
(Milano 1982  /  Laureato in letteratura italiana)
Vent’anni fa, a Palermo, si spegneva Leonardo Sciascia, una delle voci più limpide e precise del mondo intellettuale italiano dell’intero Novecento. Scrittore, giornalista e grande analizzatore di fatti. Sciascia è stato l’esempio, e per qualcuno lo è tuttora, dell’impegno civile dell’intelligenza umana alla ricerca e alla difesa del valore supremo della verità. Oggi, a vent’anni dalla sua morte, continuiamo vivere in un mondo dal sapore sempre più edulcorato, sempre più lontano dal gusto sapido che caratterizza la verità, è proprio per questo che ricordare il grande scrittore siciliano, oggi, vuol dire non solo rileggere le sue parole, le sue analisi, i suoi racconti, ma vuol dire prima di tutto, l’esigenza e la fedeltà al vero che ha sempre caratterizzato la sua vita, la sua professione.


MASSIMO COLESANTI
(Roma 1926  /  Docente di letteratura francese, stendhalista, scrittore, critico letterario, saggista)
… Sciascia non è uno scrittore che si adagi facilmente su luoghi comuni, su idées reçues, su vecchie impalcature storiografiche, ma verifica, seleziona, distingue, chiarisce a se stesso (ed anche questo è molto francese). Non accetta o mitizza in blocco, né si rifugia nel compromesso, ma accoglie o respinge, prende partito. Ama, adora, fino all’identificazione, e compiacendosi di questa identificazione o ammira, ma senza amore, o condanna senza appello, nel suo specialissimo e parzialissimo tribunale. Abbiamo tutti a mente quello che rispose ad una domanda di Ambroise su Dostoevskij: “Grande scrittore, ma non lo amo. Piccolo o grande che sia, uno scrittore deve essere fazioso. Chi ama Tolstoj non può amare Dostoeveskij, chi ama Stendhal non può amare Proust, chi ama Dante non può amare Petrarca”.

(“Testimonianza su Sciascia e Stendhal”, in Leonardo Sciascia. La memoria, il futuro - Almanacco Bompiani 1999, a c. di Matteo Collura,  Milano, Bompiani 1998)


MATTEO COLLURA
(Agrigento 1945 / Giornalista, scrittore, biografo di Leonardo Sciascia)
[Sciascia è stato] un “moralista” tra i più grandi che questo secolo abbia avuto in Europa.
Ma Sciascia – non dimentichiamolo – al di là di questa sua dimensione civile, è stato soprattutto uno scrittore. Capace, con la sua sapienza narrativa, di restituire il primato alla letteratura: come unica forma  di verità possibile. Con i suoi romanzi e racconti, con le sue “riscritture”, Sciascia ha detto più cose dell’Italia e degli italiani che non biblioteche di saggi messi insieme.

(Il Maestro di Regalpetra, Longanesi, Milano 1996)


VINCENZO CONSOLO
(Sant’Agata di Militello ME 1933 - Milano 2012 / Scrittore e giornalista)
Se ne va ora con lui, col nostro amato, grande Leonardo, prima che lo scrittore, l’uomo cristallino, onesto, coscienziale, l’uomo generoso; se ne va l’intelligenza più fulgida, la  volontà più forte. Ha lottato da sempre contro se stesso, contro la sua voglia di deporre la penna per scoramento, per disillusione, per pena, per dolore; deporre la penna di fronte all’imbarbarimento, la degradazione, lo spegnersi progressivo del senso dell’umano e della ragione. Ha lottato fino alla fine contro la realtà. Realtà che sempre più lo feriva, lo offendeva. Si è fermata ora la sua laboriosissima mano, il calore del suo generosissimo cuore, la vivida luce della sua straordinaria intelligenza. Restiamo oggi diminuiti, impoveriti. Ma ci restano in eredità, noi fortunati, le sue parole i suoi libri. Il suo Libro. Rileggiamolo sempre noi che l’abbiamo già letto; per trovare in esso nutrimento, insegnamento, forza, fiducia nel valore, nella dignità dell’uomo. Insegniamolo a leggere alle nuove generazioni se vogliamo che esse abbiano un futuro di civiltà, di dignità. Siamo più poveri, sì. E noi che malamente facciamo questo mestiere di scrivere, ci sentiamo oggi più caricati di responsabilità, più inadeguati.

(L’Ora, 20 novembre 1989)


RAFAEL CONTE
(Giornalista spagnolo)
Più di trent’anni fa – nel 1956 – apparve in libreria la prima opera di Leonardo Sciascia, uno sconosciuto maestro di scuola siciliana che già l’anno seguente non sarebbe rimasto tale. “Le parrocchie di Regalpetra”. S’iscriveva nella scuola del grande neorealismo italiano del dopoguerra, e integrava abbondanti dati autobiografici di un’infanzia sotto il fascismo e nel contesto sociale e culturale – e persino delittuoso, giacché faceva la sua comparsa la mafia – della grande isola mediterranea. Uno stile secco e vibrante e una rara capacità di sintesi davano al nuovo scrittore una voce così personale che non avrebbe tardato a imporsi del tutto. Trentatré anni dopo, Sciascia scompare forse con troppa rapidità nei confronti della buona salute della letteratura universale che ha tanto bisogno dell’eterno alito di indipendenza per poter continuare a significare ancora qualcosa per l’uomo contemporaneo. La lezione di Sciascia è che il linguaggio è eterno, e che i problemi dell’uomo anch’essi eterni possono continuare a raccontarsi al di sopra di tutto, al di sopra di quel linguaggio tanto brillante e decadente come corrotto e minacciato che sembra parlare più per se stesso che per gli altri.


GRAZIELLA CORSINOVI
(Ricercatore, Laboratorio di scrittura creativa)
Scrittore non integrato, e per ciò stesso scomodo, con la sua scomparsa Leonardo Sciascia ha determinato una perdita gravissima non solo per il mondo della cultura, ma soprattutto per la coscienza civile italiana.

 

ROBERTO COTRONEO
(Alessandria 1961  /  Giornalista, scrittore e critico letterario)
Un’altra conferma, un altro punto fermo, un altro libro (Leonardo Sciascia scrittore editore ovvero La felicità di far libri, a cura di Salvatore Silvano Nigro, Palermo, Sellerio 2003, ndr) che certifica, con una limpidezza illuminista assai rara, che genere di intellettuale e scrittore fosse Leonardo Sciascia. Un intellettuale europeo, curioso, coltissimo e spiazzante. Fu oggetto di continue polemiche in vita: per le sue opinioni sulla Sicilia e sulla letteratura. È oggetto oggi di un rispetto e di una considerazione che nonostante tutto non gli rendono giustizia. La sua estraneità a ogni ideologia imperante, il suo isolazionismo culturale, il suo gusto per il paradosso, il suo essere più vicino a Parigi piuttosto che a Roma o Milano lo hanno tenuto, nel bene come nel male, lontano dalla mappa più accreditata dei grandi scrittori del secondo Novecento letterario. Invece, sarebbe il caso di farsi una domanda. Ovvero se Sciascia non sia forse il più grande tra gli scrittori italiani di questo dopoguerra, e con Pier Paolo Pasolini la figura intellettuale più incisiva e irrinunciabile di questi decenni. La risposta non è facile. Lui silenziosamente si schermirebbe da simili domande. E la rilettura persino esagerata di Italo Calvino che in questi anni ha dominato storie letterarie e produzione critica ha rischiato di porre in secondo piano la figura di Sciascia…

(L’espresso, 25 aprile 2003)


BETTINO CRAXI
(Milano 1934 - Hammamet 2000  /  Politico)
Sciascia amava la verità, la ricercava la scriveva, era una coscienza libera che avversava il fanatismo e l’intolleranza. Aveva sentito il bisogno di scrivere la prefazione alla “Colonna Infame” di Manzoni. Ho avuto la fortuna, di avere Sciascia al mio fianco in alcuni momenti difficili della mia lotta politica.


JUAN CRUZ
(Giornalista spagnolo)
Leonardo Sciascia. […] si è spento domenica notte nella sua casa di Palermo posseduto dalla convinzione di Montaigne che egli stesso adoperò in alcune sue opere: «Vivere è prepararsi a morire». Il male incurabile di Sciascia, che passò «attraverso il calvario degli ospedali, e a che scopo». come disse egli stesso lo scorso maggio a Milano, portò alle estreme conseguenze la sua convinzione che «non è giusto prolungare l’agonia, e' meglio lasciate che le cose seguano il loro corso». Persino quando la medicina avrebbe potuto mantenerlo in vita, egli stesso era consapevole che i giorni non potevano essere infiniti, e forse fu questo profondo pessimismo ad accelerare in maniera implacabile la sua scomparsa.

(Nuove Effemeridi n. 9, Giugno 1990)


DAVIDE D’ALESSANDRO
(Casalbordino CH 1966 / Giornalista, dottore di ricerca)
Sciascia non ha mai lasciato la Sicilia se non per brevi periodi. La sigaretta perennemente tra le dita della sinistra, la biro tra quelle di destra, il quaderno su un tavolino scarno, ne ha raccontato le trame più oscure con una scrittura lucida, essenziale, ma piena di sapore esaltandone le ombre e i dolori, gli inganni e i disinganni, svelando i volti e le maschere degli uomini di potere, così ben dipinti con quel gusto amaro che attraversa le sue pagine, come la vita.


GUIDO DAVICO BONINO
(Torino 1938  /  Critico letterario, storico e docente universitario)
Leonardo Sciascia fu un intellettuale a tutto tondo, letterato estremamente colto e di respiro europeo, si sentiva un discepolo degli illuministi francesi del ‘700.


ORESTE DEL BUONO
(Marciana LI 1923 - Roma 2003 / Scrittore e critico letterario)
È il più grande che se ne va, un maestro per tutti noi. E lascia un vuoto molto più grande di quello lasciato da Pasolini. Sciascia non apprezzava molto Vittorini, eppure gli assomigliava molto, nel senso che ha insegnato a tutti noi una cosa a un tempo semplice e difficilissima: a decidere con la propria testa.

(Il Giornale di Sicilia, 21 novembre 1989)

 

RAFFAELE DELLA VALLE
(Aqui Terme AL 1939  /  Avvocato, politico)
Nel 1984 dopo “l’esplosione” del caso Tortora, Sciascia decide di entrare in politica ed entrando in politica comprende meglio quelli che erano prima soltanto delle idee e dei concetti o comunque dei principi, capisce in concreto come il problema della giustizia sia un problema essenziale per la società e comincia a comprendere come l’ordinamento giudiziario stia diventando non più ordinamento ma potere politico, o meglio contropotere politico perché tendente a colmare quei vuoti che si verificano talvolta in politica. Sciascia anticipa, esattamente di dieci anni, quello che poi si è verificato nel 1993 quando una parte del mondo giudiziario, trasformatasi in autentico potere, invade quello spazio che il potere politico aveva abbandonato; è il periodo parlamentare di Sciascia, in cui a proposito degli interventi più urgenti di cui il paese ha bisogno egli mette in evidenza proprio il problema della giustizia.


VINCENZO DE MARTINES (1966)
(Volturino FG 1923 / Gesuita, critico letterario)
Sotto il profilo letterario l’opera di Sciascia ha aspetti e pregi notevoli, i suoi racconti, è vero, non sono di respiro ampio, ma la incisività e la linearità del dettato, la vivacità con cui è portata avanti la narrazione, la caratterizzazione dei personaggi e, sopratutto, dell’ambiente siciliano valgono a collocarlo tra gli scrittori migliori e più rappresentativi di questi ultimi anni.

(in Leonardo Sciascia di L. Cattanei, Firenze, Le Monnier 1980, pag. 174)


ANNA DE ROSE MALZONE
Il primo profilo di Sciascia che viene fuori dalla lettura dei suoi articoli è quello di uno scrittore che crede nella libertà e nella giustizia, ma vuole essere anche un moralista, che inquietamente fruga nelle pieghe dell’anima alla ricerca di motivazioni dell’umano agire e sentire e arriva alla conclusione che, anche se tutto sembra essere bloccato, sigillato in una sua ancestrale immodificabilità, tuttavia è essenziale la fiducia nell’attitudine dell’uomo a comprendere e giudicare, a condannare la corruzione, la violenza e lo sfruttamento, come veri nemici, contro i quali ribellarsi e battersi sempre, in favore del progresso della giustizia e della verità. Il suo incoraggiamento è rivolto soprattutto a quanti lottano contro le sopraffazioni, le ingiustizie sociali e la mafia, mali di fronte ai quali Sciascia non smentisce mai le sue doti di osservatore lucido nella diagnosi e fermo nella condanna.

(Conoscere Sciascia, Salerno, Edilsud 1992, pag. 38)


ANTONIO DI GRADO
(Direttore letterario della Fondazione Sciascia)
Quello che mi ha sorpreso nei commenti “a caldo”, all’indomani della scomparsa di Leonardo Sciascia, è stata la prevalenza dell’elogio a denti stretti, conditi di italianissimi  “distinguo”, ruminato a malincuore da critici di pronto intervento e gazzettieri tuttofare che, diciamolo pure, non lo amavano affatto.

(L’Ora, 19 dicembre 1989)


GIANFRANCO DIOGUARDI
(Bari 1938  /  Docente del Politecnico di Bari, Presidente della Fondazione Dioguardi, giornalista)
Leonardo Sciascia l’illuminista cristiano. Tutti i suoi libri sono grandi opere letterarie, ma anche testimonianza della sua coscienza di uomo civile espressa sempre senza titubanze, per riproporre comportamenti di profonda saggezza agli uomini di buona volontà. I libri che scrisse, resi accattivanti dalle trame spesso “poliziesche”, si leggono d’un fiato per la loro perfetta orchestrazione e il lettore è trascinato verso le conclusioni quasi senza avere il tempo di respirare. Ma dopo aver chiuso il libro si ha immediatamente la voglia di riprenderlo per avviare quell’opera di rimeditazione e di interpretazione anche semantica che, leggendo Sciascia, viene talora spontanea e impellente.


VALENTINA FASCIA
(Dottore di ricerca in Italianistica all’Università di Napoli, autrice de La memoria di carta. Bibliografia delle opere di Leonardo Sciascia”, 1998 - Docente alla Scuola Militare Nunziatella di Napoli)
È straordinario accorgersi come il saggista Sciascia, oltre che il romanziere, sin dal suo primo capolavoro di ricostruzione storica (“Morte dell'Inquisitore”), sempre sul limitare della “verosimiglianza” di manzoniana memoria, riponga in ogni pagina, in ogni parola, in ogni concetto quella tensione verso la verità, verso la verità, alla luce abbagliante della dignità umana.

(in  Segno mensile, n. 209 Luomo che non si stancò di ragionare,  Palermo 1999 - Pag.92)

 

DOMINIQUE FERNANDEZ
(Neuilly-Sur-Seine, Francia 1929  /  Scrittore, saggista, membro dell’Academie Française)
«Questa specie di nave corsara che è stata la Sicilia, col suo bel gattopardo che rampa a prua, coi colori di Guttuso nel suo gran pavese, coi suoi più decorativi “pezzi da novanta” cui i politici hanno delegato l’onore del sacrificio, coi suoi scrittori impegnati, coi suoi Malavoglia, coi suoi Percolla, coi suoi loici cornuti, coi suoi folli, coi suoi demoni meridiani e notturni, con le sue arance, il suo zolfo e i suoi cadaveri nella stiva: affonda amico mio, affonda…» L’autore di questa definizione, Leonardo Sciascia, nato nel 1921 a Racalmuto un villaggio dell'interno della Sicilia, regge a meraviglia il confronto con un’illustre schiatta di scrittori, di cui è l’ultimo rappresentante. Verga, Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Brancati, Vittorini.

(Nuove Effemeridi n. 9, Giugno 1990)

 

GIULIO FERRONI
(Roma 1943  /  Docente universitario, critico letterario e storico della letteratura italiana)
Nel suo impegno a trarre in piena luce le vicende anche più oscure e intricate, egli si è avvalso di una scrittura dalla precisione estrema, capace di illuminare la realtà, senza perdere il proprio equilibrio razionale: una scrittura di tipo "classico", dietro la quale si avvertono sia i modello della grande letteratura illuministica, che le suggestioni del più vicino classicismo della "Ronda", che ha agito fortemente sulla formazione giovanile di Sciascia, sviluppando in lui una cura per la pagina "ben fatta", per la parola perfettamente squadrata e definita.

(Storia della letteratura italiana, Ed. Elemond, Milano 1997, Vol. 4,  pag. 466)

 

CARLO FIASCHI
(Membro della direzione editoriale della rivista di studi sciasciani TODOMODO; già Segretario dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia)
Un tema (quello del “sentimento e della coscienza religiosi” in Sciascia, ndr) arduo, per certi versi scomodo, passibile di dividere la critica più acuta, defilato rispetto ai temi individuali da sempre nell’opus sciasciano: verità, giustizia, potere, ragione… Un tema suggerito dalla considerazione che lo scrittore moralista Sciascia è stato codificato un po’ frettolosamente come ‘illuminista’ tout court, avendo eletto a numi tutelari Voltaire e Diderot, padri nobili di quella cultura. Un modello di riferimento che ha indirizzato lo scrittore a riprendere e a riportare nel suo tempo alcuni dei temi che hanno contraddistinto la spiritualità del movimento settecentesco: la lotta contro il fanatismo e l’intolleranza religiosa, il categorico rifiuto di ogni presupposto metafisico che mortifica la ragione e impedisce all’uomo di raggiungere libertà e dignità. Uno Sciascia ostile alla Chiesa concepita come istituzione, di cui detestava primariamente le manifestazioni ‘politiche’, refrattario alle verità dogmatiche, apportatrici di forme di oppressione, avverso ai riti religiosi che rasentano la superstizione e la magia. Uno Sciascia affascinato, è vero, dalla figura di Cristo, ma vissuto più come un Cristo «culturale , oltre che estetico e letterario», non il Cristo della Redenzione e della Salvezza.

(Dall’Introduzione  agli Atti del III Leonardo Sciascia Colloquium “Come al cancello della preghiera” - Sentimento e coscienza religiosi in Leonardo Sciascia”, in TODOMODO - Anno III - 2013)


Un classico ancora in fermento – tale è Sciascia – non può essere abbandonato come se il canone interpretativo fosse del tutto svelato. Nel progettare numero per numero le pagine di questo annuario, rileviamo continuamente quante scoperte emergono dalle ricognizioni di fogli semi sconosciuti, di testate di stampa praticamente ignote – ed ignorate – ampiamente utilizzati dallo scrittore fin dalle prime prove giovanili, con pagine di grande interesse disperse nel corso degli anni. Scoperte che procurano non solo nuove piacevoli letture, ma che stimolano e sollecitano reinterpretazioni ed approfondimenti critici.

(Dall’Editoriale di apertura di TODOMODO Anno III - 2013)


VITTORE FIORE (1955)
(Gallipoli LE 1920 - Capurso BA 1999  /  Giornalista e scrittore)
– Ho scoperto un nuovo scrittore (Sciascia, ndr)) –  Un altro? – Un grande scrittore – E chi è? – Fammi entrare e te lo dico.
Questo scambio di battute tra lo scopritore e lo scettico si svolgeva alle quattro del pomeriggio di non ricordo più quale mese dell’anno 1955 sull’uscio di casa di un giovane editore di Bari (lo scettico Vito Laterza).

(in Il sereno pessimista, a c. di Antonio Motta, Manduria TA, Lacaita, 1991)


LUCIANO FOÀ
(Milano 1915 - 2005  /  Critico letterario)
Leonardo Sciascia era una persona di una delicatezza, d’una gentilezza che raramente accade di incontrare. E l’amicizia crebbe grazie a questa sua facilità di rapporto, impareggiabile.

 
ENZO FORCELLA
(Roma 1921-1999  /  Scrittore, giornalista, storico)
Sciascia come romanziere, saggista, drammaturgo di fama e levatura internazionali. Ma Sciascia anche come uomo di grandi passioni politiche. Polemista, uomo di parte pronto a intervenire (e quasi sempre controcorrente in maniera da spiazzare gli avversari) su tutti i grandi temi della vita pubblica e insomma, come si diceva un tempo “intellettuale impegnato”. So bene che Sciascia avrebbe rifiutato una tale qualifica. Non negava, ovviamente, il suo impegno civile. Ma era fermamente convinto che esso non andava confuso con la politica. La politica non gli piaceva. Nei suoi riguardi provava addirittura disgusto.

(La Repubblica, 21 novembre 1989)


GIUSEPPE FRANGI
(Milano 1955  /  Giornalista)
Che avesse proprio ragione Leonardo Sciascia a puntare il dito contro l'intolleranza, male oscuro dell’“Italia felix” degli anni 80? Pare di sì, se un giudice, (Corrado Carnevale) colpevole di aver annullato sentenze nel pieno rispetto delle leggi, è sottoposto a un linciaggio morale e costretto di fatto al silenzio. Del resto Sciascia parlava a ragion veduta. Anche a lui, scrittore osannato, Nobel potenziale, era toccato da qualcosa di molto simile. Ripercorriamo quella storia. Gennaio 1987: sul “Corriere della Sera” appare un lungo “j’accuse” dell’intellettuale siciliano dal titolo “I professionisti dell’antimafia”. Nell’articolo Sciascia denuncia il ricatto permanente di chi, in nome di una patente antimafia, poteva permettersi di governare male una città o di amministrare indiscriminatamente la giustizia. Sciascia scrive, come suo costume, a ragion veduta: nell’articolo porta prove, nomi, circostanze precise. Il giorno successivo si scatena l’uragano. Gli insulti si sprecano, senza nessun problema di rispettare l’interlocutore, considerata quanto meno la sua autorità. “La Repubblica” titola in prima pagina: “Sciascia combatte ancora la mafia?” È un’insinuazione, pesante come un macigno. Ed è il “la” per il coro: l’articolo di Sciascia “ha il vago sapore di una delle più sofisticate forme di avvertimento mafioso”,  Sciascia è diventato “un quaquaraqua”, un uomo di “screanzata rozzezza” (comunicato del coordinamento antimafia), che fa “una gran pena” (Pansa). “Quel mafioso di Sciascia”  (è un il titolo de “L’Ora”, quotidiano filo Pci di Palermo). Conclusione logica: Sciascia è da “collocare ai margini della società civile”. Il sindaco Orlando, più platonicamente propone di rinchiuderlo nell’accademia “della lingua italiana”, là dove non ha più diritto di parola sul civile.

(Il Sabato, 25 novembre 1989)


FRANKFURTER RUNDSCHAU
(Giornale tedesco)
Questo siciliano è stato un severo moralista della giustizia negata, una incoraggiante voce ribelle che si levava contro la corruzione generale e la luce cattivante delle menzogne, nella letteratura e nella società. L’intelligenza europea ha perso una delle teste più brillanti, più caparbie, più disincantate.


MELO FRENI
(Barcellona Pozzo di Gotto ME 1934  /  Giornalista e scrittore)
Sciascia si è salvato, e ci ha salvato, dai deliri di Strindberg, dall’esistenzialismo di Sartre, dalla paranoia di Pavese, dal pessimismo di Camus, dalle gabbie di Bergman, Sciascia scrittore europeo, è scrittore laico del recupero religioso; e senza bisogno che si faccia il segno della croce, è il più grande scrittore moderno della pietà, come contraltare della sua rabbia.


VITTORIO FROSINI (1970)
(Catania 1922 - Roma 2001  /  Docente di filosofia del diritto e di informatica giuridica)
… Leonardo Sciascia, scrittore nato a Racalmuto, in provincia di Agrigento, nel 1921, e rimasto radicato nella sua terra natia, e costantemente fedele ad una sua tematica d’ispirazione locale tanto negli scritti d’invenzione fantastica quanto quelli di riflessione critica; ma che pure ha raggiunto vasta e solida fama nazionale, ed ha conseguito riconoscimenti critici di notevole importanza. L’opera di Sciascia può essere considerata, sotto l’aspetto che ci interessa, addirittura esemplare, giacché essa rappresenta come un processo di scavo, compiuto con tenacia, certo anche con sacrificio, nel sottosuolo della coscienza sociale della Sicilia contemporanea, per trarne alla luce le ragioni che la compongono, il nascosto minerale dell’anima, che si è venuto sedimentando e cristallizzando per generazioni, e che costituisce ora il sottofondo comune, tradizionale, solidificato della coscienza collettiva.


MARIO FUSCO
(Parigi 1935 - 2015  /  Italianista francese; traduttore, critico letterario, curatore di alcune delle più rilevanti edizioni o riedizioni di autori italiani in Francia; professore emerito di letteratura italiana presso l’Università Sorbonne Nouvelle Paris III; curatore dei tre volumi delle “Œuvres complètes” di Leonardo Sciascia pubblicate da Fayard; membro del Collegio di Direzione e Lettura di Todomodo, rivista internazionale di studi sciasciani dell'Associazione Amici di Leonardo Sciascia edita da Leo S. Olshki Editore)
Leonardo Sciascia, romanziere di talento aveva una predilezione per il racconto poliziesco, per il romanzo storico e per la ricerca erudita, non era un letterato confinato nella sua torre d’avorio. Sciascia è stato e rimane un maestro di riflessione, e la lezione del suo scetticismo è inesauribile. Ed è forse questo motivo che infatti disturbava, che continua a disturbare.

(in Leonardo Sciascia. La memoria, il futuro - Almanacco Bompiani 1999, a c. di Matteo Collura,  Milano, Bompiani 1998)

PASQUALE GAMBINO
(Assessore alla cultura al Comune di Agrigento nel 1990)
Sciascia è stato una parte della nostra coscienza, ci ha fatto capire come uno scrittore da solo possa operare compiutamente e efficacemente nella realtà storica del proprio tempo per modificarla, denunciandone le contraddizioni e le arretratezze.
Un libro, un articolo di Sciascia venivano accolti con grande interesse e da parte di tutti, perché nella sua proposta e nella sua denuncia si scopriva netta e delineata una forte ed inflessibile coscienza morale e civile.
Sciascia era a conoscenza di questo orizzonte di attesa e sapeva soddisfarlo, perché alla fine non voleva ingannare il suo lettore, ma al contrario, desiderava che proprio il suo lettore diventasse giudice inflessibile del grado di tensione morale e civile che lo scrittore aveva profuso nelle sue opere.
“Io stesso sono spesso assalito dal dubbio che i miei libri siano serviti a qualcosa, tanto la realtà italiana sembra svolgersi al di fuori della coscienza critica”.
Questa frase che Leonardo Sciascia usò con una punta di profondo pessimismo sulla sua stessa funzione di scrittore, credo che noi la dobbiamo assumere per ribaltarla, per sostenere cioè che è possibile costruire una realtà nuova per la società italiana che in qualche modo possa essere riconducibile alle opere ed al magistero umano e civile di Leonardo Sciascia.

(In Omaggio a Leonardo Sciascia, Edizioni Industria grafica Agrigento, 1991, pp. 6 e 7)


ALEJANDRO GANDARA
(Santander, Spagna 1957  /  Professore di storia, scrittore, giornalista)
Sciascia non aveva paura della morte, ma temette altre cose. In particolare, il deterioramento della cultura umana e della vita individuale. Sulla prima gravava la mancanza di memoria e l’impero dell’omogeneità, sull’altra il processo irreversibile del ridimensionamento della libertà e dei diritti. Questa visione del mondo, assediata da un sentimento di impossibilità e decadenza, fece sì che molti lo considerassero uno scrittore profondamente pessimista e realista. Non lo era. I pessimisti a oltranza non lottano, e i realisti giocano con le carte che gli altri distribuiscono. La pelle di Leonardo Sciascia non si adattava facilmente alle regole temporali del mondo. Andava contro di esse, amava la vita e sentiva solo la mancanza di un poco di senso in questo pozzo di confusione contemporaneo.

(Nuove Effemeridi n. 9, Giugno 1990)


GABRIEL GARCIA MÀRQUEZ
(Aracataca, Colombia 1927 – Città del Messico 2014  /  Premio Nobel 1982)
Il metodo che ho usato (in Cronaca di una morte annunciata, ndr), da investigatore del “giallo” della società, da ricostruttore di storie, è simile a quello di Sciascia: l’aneddoto è soltanto il pretesto per radiografare un microcosmo sociale.

(In “Márquez: in un delitto d’onore ho ritrovato il destino della mia terra”, intervista a cura di Lietta Tornabuoni, in Tuttolibri, supplemento di La Stampa, 15 maggio 1982)


FERNANDO GIOVIALE

(Catania 1947  /  Insegna storia del teatro e dello spettacolo all’Università  di Catania)
Uomo schivo e riservato, Leonardo Sciascia si è conquistato un posto di primo piano nella cultura italiana del secondo novecento per il rigore  con cui ha analizzato le contraddizioni della società e le inefficienze della classe politica dominante. Ma un posto ancor più significativo e duraturo Sciascia se l'è conquistato nel panorama della letteratura. I suoi romanzi e le sue brevi storie sono esemplari per l’essenzialità della loro intelaiatura narrativa e per la scrittura asciutta razionale, arguta.

(In Conoscere i protagonisti. Leonardo Sciascia, Giunti Lisciani editori, Teramo 1993)


GASPARE GIUDICE
(Canicattì AG 1943 - Palermo 2009  /  Politico e parlamentare)
Si muoveva fuori e contro l’arroganza. Non amava parlare male degli altri, e se lo faceva, lo faceva sornionamente, scherzando. Non conosceva la venalità né l’amore per il denaro. Professava l’onestà ed era onesto, amava la vita semplice e praticava, all’interno di un successo rumoroso, una specie di romitaggio caratteriale che lo teneva lontano da una società che non fosse fatta di amici, pochi alla volta.


FRANCESCO ALBERTO GIUNTA
(Paternò CT 1925  /  Poeta, scrittore, saggista e giornalista)
Ecco l’uomo che a qualcuno poté apparire anche di parte, ma in verità di grande spazio mentale. Era un realista pratico che poco concedeva alla retorica. Certo aveva le sue idee e le manifestava, ma non era gretto e poco gli interessava della critica e delle eventuali “stroncature” da parte di critici e letterati. Andava per la sua strada imbastendo storie tra il paradosso e l’invenzione. Sapeva raccontare, era un narratore fine e astuto.


ESTELA GONZÁLEZ  DE SANDE
(Docente di Lingua e Letteratura Italiana nell’Università di Oviedo)
Attraverso i libri, primi fra tutti quelli di Ortega y Gasset, (Leonardo Sciascia, ndr) inizia un viaggio intellettuale di avvicinamento verso la realtà ontologica, letteraria, storica e persino etnica, verso una cultura come quella spagnola, nella quale ravvisa una comunione di intenti, atteggiamenti, sintonia con il modo di concepire la letteratura, consonanze intellettuali, analogia di circostanze storiche, in definitiva, numerose affinità tra la Spagna e la Sicilia.

(Leonardo Sciascia e la cultura spagnola, Catania, La Cantinella  2009)


EMILIO GRECO
(Catania 1913 - Roma 1995  /  Scultore)
Esprimere un giudizio sulla sua grandezza di scrittore non è mio compito, ma forse non tutti conoscono abbastanza la sua dimensione umana: si può dire che grondi antica saggezza ed eccezionale sapienza. Vive nel suo alveo di Racalmuto, con qualche puntata in Francia, così schivo, e sembra incredibile che, in questo mondo frivolo e salottiero di lotte ed intrallazzi, abbia potuto raggiungere quella considerazione e quella fama nel mondo.

(Il Tempo, 10 novembre 1989 - poi in Il sereno pessimista a c. di Antonio Motta, Manduria TA, Lacaita, 1991 - Pag.88)

GUCCIONE, PIERO - (Pittore, incisore - Scicli 1935 - Modica 2018)

Aver conosciuto Leonardo Sciascia è stata una delle cose belle della mia vita. Essere tornato a vivere in Sicilia, inoltre, mi ha consentito anche un rapporto di amicizia e di frequentazione di cui ho potuto godere: un bel bagaglio di affettuosi ricordi.

(In Cento anni di Sciascia in sei parole - Casa editrice Leo S. Olschki -FI - 2021 - pag. 33)


TANO GULLO
(Giornalista)
Un giorno Sciascia, come ogni giorno, passeggiando con il suo amico di sempre Stefano Vilardo, poeta di razza, gli riferì un colloquio avuto con Toto Bellomo, medico comunista. “Mi ha detto - raccontò lo scrittore - di stringere i denti e stare aggrappato alla vita, perché quello che esiste è tutto su questa terra, che dopo la morte non c’è nulla. E io gli chiesi: ma a te chi te lo ha detto? Può essere, e forse  così è. Ma potrebbe pure essere il contrario. Che ne sappiamo noi.”


OTTORINO GURGO
(Napoli 1940  /  Scrittore e giornalista)
Si spegneva con Sciascia, sul finire di quel 1989 così ricco di memorabili eventi, la voce di una grande coscienza civile, di un intellettuale autentico e “disorganico” capace di “contraddirsi”.  In tempi di transizione e d’incertezza, come quelli che viviamo, è proprio a uomini come Sciascia che bisognerebbe richiamarsi per ritrovare un punto di riferimento. Ma di Sciascia si parla poco.

(Sciascia, l’illuminista cristiano, Sulmona, Fondazione Ignazio Silone 2000)


LEONARDO GUZZO
(Giornalista, redattore della rivista mensile di cultura, costume e politica 50 & PIÙ)
Per chi riesce a coglierne tutte le sfumature, l’opera di Sciascia rappresenta un formidabile condensato dell’esperienza umana. Un viaggio dal particolare al generale, dalla Sicilia al mondo, dalle circostanze della storia alle pieghe dell’anima. Lo Sciascia dell’impegno civile e del rigore morale, dell’intransigenza e della vis polemica, dell’accuratezza formale e della perfezione stilistica. Celebrato all’estero, protetto dai compaesani, amato e odiato dai siciliani, perché della Sicilia mostrava le bellezze dietro le brutture, sapeva cogliere con precisione quasi infallibile il  carattere  il taglio di luce, il profumo dell’aria. Sciascia che visse da ateo (o almeno da scettico) e in punto di morte decide di partecipare alla “scommessa” di Pascal che alla sua adorata ragione segno e presidio dell’umanità più profonda volle infine riconoscere un fondamento divino.

 

GUSTAW HERLING
(Kielce, Polonia 1919 - Napoli 2000  /  Scrittore polacco)
27 novembre [1979]
[…]
Leonardo Sciascia, a mio parere il più interessante fra gli scrittori italiani d’oggi, ha recentemente pubblicato il suo diario, abbastanza prossimo al mio per presupposti e per stile: annotazioni di tipo cronachistico accompagnate da commenti e riflessioni, in cui l’autore evita le tentazioni e i manierismi del diario personale “intimo” che, se destinato alle stampe, di solito consiste nel fare delle smorfie davanti allo specchio, in questo confessionale al tempo stesso egotico e pubblico, sotto la prepotente pressione del dilemma: “Questo mi dona o non mi dona?”. Sciascia ha intitolato il suo diario Nero su nero. “Il titolo vuole essere una parodistica risposta all’accusa di pessimismo che di solito mi si rivolge: la nera scrittura sulla nera pagina della realtà.” Un titolo molto appropriato per un diario dei nostri tempi radiosi.

(Diario scritto di notte in Etica e letteratura. Testimonianze, diario, racconti, Meridiani Mondadori, 2019, pp. 510-11)

 

CARLA HORAT ALBIERO
(Pittrice. Nata a Basilea, dal 1981 risiede a Palermo dove è docente di Tecniche dell’incisione presso l’Accademia di Belle Arti)
Con Lui vivo mi sentivo, a Palermo, di nuovo come a casa mia. E con la Sua morte “sola, perduta abbandonata - in landa desolata”, come piange Manon Lescaut nell’ultimo atto dell’omonima opera di Puccini. Indagare, scavare tra le minime pieghe della Sua espressione mi è stato di grande consolazione. Mi sembra di farlo rivivere nei miei occhi e negli occhi degli altri.


PAOLO ISOTTA
(Napoli 1950  /  Storico della musica e critico musicale)
Che genere di lettore ritiene di essere?
Totale, del resto non farei distinzione tra ascolto, lettura e visione. Amo il cinema come la letteratura. Per quest'ultima sono in debito con mia madre che è stata una grande lettrice di romanzi.
Quali quelli che l'hanno formata?
Ovviamente i classici e poi da Manzoni a Flaubert non c'è pista narrativa ottocentesca che non abbia percorso. I più grandi del Novecento sono stati Céline e Gadda. Il più sopravvalutato, da noi, Calvino. Ho amato lo stile di Croce e quello di Sciascia che ho cercato in qualche modo di imitare.

(Intervista di Antonio Gnoli a Paolo Isotta, in Robinson, suppl. de la Repubblica, 5 gennaio 2018)

 

Fanno cent’anni dalla nascita di Leonardo Sciascia; e la circostanza imbarazza un po’ tutti. Egli non può essere celebrato da destra, perchè a destra hanno paura di tutto; dal centro, perchè non vogliono - e sempre che sappiano chi sia stato e chi sia; da sinistra, sebbene dal P.C.I. fosse partito, perchè lo odiano. […] Ebbi il privilegio di conoscerlo: Sciascia, non Fedez. Si trovava spesso a Milano per tentare di curarsi della malattia che l’avrebbe portato a morte. A tavola, in compagnia di Mimmo Porzio e in presenza della moglie, parlava pochissimo, gli occhi pieni d’un’insondabile tristezza. A fianco del piatto, una ceneriera. Un boccone, una boccata. Il suo disprezzo andava, più che ai criminali, ai cretini.

(su Libero, 21 gennaio 2021, articolo intitolato “Lo scandalo del Nobel dato a Fo e non a Sciascia”)

 


FRANCESCO IZZO
(Segretario dell’Associazione “Amici di Leonardo  Sciascia”)
Prolifico autore di articoli su quotidiani, testi, presentazioni, prefazioni, postfazioni, a corredo di cataloghi d’arte, cartelle di grafica, libri d’arte o edizioni con incisioni originali, Sciascia ha lasciato una mole considerevole di fogli sparsi che restituiscono un profilo sconosciuto al vasto pubblico come pure agli esegeti della sua opera letteraria.

(La memoria di carta. Bibliografia delle opere di Leonardo Sciascia, a c. di Valentina Fascia con scritti di Francesco Izzo e Andrea Maori, Milano, Edizioni Otto/Nocevento 1998)


GIOVANNA JACKSON
(Italianista americana)
Ai giorni d’oggi, mentre attraversiamo questa epoca soffocata da menzogne, da inganni, da travestimenti sul piano sociale, politico e morale, abbiamo sempre più bisogno di un uomo e scrittore che possa fare da guida. Abbiamo bisogno di rileggere tutte le pagine di Sciascia per tornare alla verità che il nuovo linguaggio, occulta e deforma. Leggere Sciascia è tornare alla concretezza, posare i piedi sulla terra ferma, dove la dialettica tra verità e menzogna rimane sempre chiara.  Rileggere Sciascia permette anche di trovare nuove strade per il futuro. Poiché Sciascia è inesauribile.

(Nel Labirinto di Sciascia, Milano, Edizioni La Vita Felice 2008, Collana Porte Aperte 10)


LINO JANNUZZI
(Grottella AV 1928  /  Giornalista, politico)
Ci sono molti modi per ricordare Leonardo Sciascia. Il modo più facile, ma anche il più banale e il più ovvio, è ricordare che era uno scrittore, un grande scrittore. Questo modo ce lo possiamo risparmiare: centinaia di migliaia di lettori, in Italia e fuori, lo sanno da un pezzo, e i più giovani e quelli che verranno dopo, lo scopriranno da sé senza bisogno di critici e di commemorazioni. C’è poi l’altro modo, quello impegnato degli “impegnati”, che si sono sprecati nell’appiccicare a Sciascia, da morto, le etichette che Sciascia ha sempre rifiutato da vivo: Sciascia illuminista, Sciascia garantista, Sciascia pessimista.
Il cosiddetto illuminismo, consistendo semplicemente nell’ostinato tentativo di Sciascia di ragionare e far ragionare, scontrandosi con i cretini e con i fanatici «che sono tanti e godono di una così buona salute non mentale che permette loro di passare da un fanatismo all'altro con perfetta coerenza, sostanzialmente restando immobili nell’eterno fascismo italiano». E il garantismo, parola ormai oscena e oscenamente usata per commemorarlo, consistendo per Sciascia nel suo disperato richiamo, rivolto a tutti e innanzi tutto a coloro che dovrebbero applicarle, al rispetto delle leggi. Quanto al preteso pessimismo di Sciascia, è qui che le commemorazioni si sono fatte più ipocrite e mistificatorie: non è che le cose sono pessime, hanno voluto dirci, ma era lui, poveretto, che le vedeva così. Ma per gli ottimisti o almeno per quelli di loro che non sono né cretini né fanatici, ci ha pensato lo stesso Sciascia a decidere come vuole essere ricordato (e non commemorato) e lo ha scritto nel testamento. È l’ultima cosa che ha fatto, gli ultimi giorni, con grande pena, e non solo per il male che era all’ultimo stadio. Ha raccolto sotto il titolo, appunto, “A futura memoria”, quel che negli ultimi anni ha scritto sui “delitti della giustizia”. Ed è stato rigoroso, come al solito e insolitamente duro nelle istruzioni lasciate agli esecutori testamentari: questi scritti, “questi e non altri”, ha lasciato nel testamento, vanno raccolti nel mio ultimo libro. Questi, ha scritto, e per questo voglio essere ricordato.

(Il Giornale di Sicilia, 21 dicembre 1989)


FRANK KERMODE
(Isola di Man 1919 - Cambridge 2010  /  Critico letterario e accademico britannico)
Leonardo Sciascia, è ora famoso in Italia e in Francia; consensi per la sua opera nel mondo anglofono sono tardati a venire, ma sono destinati a crescere. Come Faulkner o Lampedusa non si può pensare a Sciascia come romanziere di una sola regione limitata.

(in Il sereno pessimista, a c. di Antonio Motta, Manduria TA, Lacaita, 1991)


CECILIA KIN
(Mogiliov, attuale Bielorussia 1906 - Mosca 1992  /  Scrittrice russa)
Uno dei tratti a me più caro dello scrittore Sciascia, è la sua schiettezza morale, che si manifestava nel disprezzo per le mode e i salotti di un certo mondo culturale italiano. Schiettezza morale che ha fatto di lui un antifascista convinto ed un autentico democratico.

(La Stampa, 22 novembre 1989)


FRANCESCO LA LICATA
(Palermo 1957  /  Giornalista)
Leonardo Sciascia studiava e scriveva nella sua casa di contrada Noce nella campagna di Racalmuto che grazie al grande scrittore si è conquistata l’identificazione di “luogo della ragione”. Non aveva il telefono, e rifiutava la televisione. Eppure capiva di più di altri che frequentavano le metropoli europee.

 

CAMILLO LANGONE
(Potenza 1962  /  Giornalista)
La ricomparsa di Sciascia. Il grande scrittore siciliano è tornato: era morto, morto anche nel senso che i suoi libri giacevano inerti sugli scaffali, mentre adesso è vivo, le sue pagine si rianimano, nuovamente urgono. La prova di resurrezione è stata l’elezione di Mattarella figlio e fratello, Sergio: alla campagna di beatificazione di un uomo, di una famiglia, di una dinastia, si è opposto quasi solo un morto, però improvvisamente più vivo dei vivi, ovvero Sciascia che del Mattarella padre, Bernardo, si è scoperto che dubitava alquanto. La resurrezione completa, l’uscita dal sepolcro, è avvenuta con le novità giudiziarie su Ettore Majorana, lo scienziato inghiottito nel nulla nel 1938. Quindi mi sono andato a leggere (non a rileggere, non fingo di aver letto tutti i libri: a leggere per la prima volta) “La scomparsa di Majorana”, nei Classici Bompiani. Ho perso qualche ora di sonno e ho guadagnato grandi piaceri intellettuali: Sciascia è un gigante della scrittura, mette i brividi con una sola virgola. È talmente bravo che mi ha prodotto due reazioni opposte: voglia di rimettermi in letteratura, per emularlo, voglia di riaprire una vineria, per non disturbarlo (vorrei che pure Carofiglio leggesse Sciascia, che pure lui fosse tentato dal ripiegare sull’enologia). Grazie a Sciascia ho scoperto che Majorana era un genio, molto più genio di Fermi e pertanto il massimo genio scientifico di cui l’Italia anni Trenta disponesse. Majorana era uno che spiegava ai premi Nobel come fare certi calcoli, e poi buttava il foglietto perché a lui l’idea di vincere un Nobel giustamente faceva senso. Majorana era un giovane uomo religioso. Sciascia, sebbene poco mistico, individua nella fede cristiana del fisico nucleare la ragione della sua scomparsa: non voleva avere sulla coscienza Hiroshima, che già, grazie ai suoi calcoli, annusava. Alla fine del piccolo libro non si sa da che parte inchinarsi: verso lo scrittore ricomparso, o verso lo scienziato svelato? Comunque, inchinarsi.

(Il Foglio, 7 febbraio 2015)


SILVANA LA SPINA
(Galliera Veneta PD  /  Scrittrice)
Leonardo Sciascia, era integro e senza rancori, pronto a rischiare tutto per l’idea di verità (o la sua idea di verità) fedele di una unica religione, quella della giustizia. Che dunque visse e morì da laico, ma affascinato dalla fede di Pascal, per cui tutto è rischio. Anche Dio.


PIER FRANCESCO LISTRI
(Livorno / Giornalista, scrittore e regista radiofonico)
È facile, per geografia letteraria, inserire questo meridionale senza meridionalismi, nella tradizione colta italiana. Ma oltre Pirandello per trovargli dei padri, bisogna forse scavalcare i tempi e approdare alla “clarté” francese (di quegli scrittori tanto si nutri) e soprattutto all’illuminismo. Ma, solitario e originale senza volerlo, Sciascia era un illuminista amaro un uomo dei lumi animato di quella fortissima passionalità che si leggeva sul suo volto terreo, intransigente e sconsolato.

(La Nazione, 21 novembre 1989)


ONOFRIO LO DICO
(Joppolo Giancaxio AG 1939 - Agrigento 2007  /  Scrittore, poeta)
L’occhio dell’ultimo Sciascia ha l’altezza distaccata e critica dell’occhio di Dante, che, da un’altezza inattendibile, ci fa passare innanzi allo sguardo i movimenti degli uomini, e le ragioni di tali movimenti orientati tutti verso il “basso”.


FRANCO LOI
(Genova 1930  /  Poeta e scrittore - Genovese e milanese insieme)
Parlare di Leonardo Sciascia mi è difficile e mi è facile. Difficile perché l’ho incontrato una sola volta. […] L’incontro è avvenuto a Milano, in Borgospesso, propiziato da Domenico Porzio. Stranamente, la prima cosa che mi ha colpito è stata la fragilità.
Ne avevo un’immagine diversa dalle fotografie, e persino dai libri, in cui semmai ritrovavo l’intelligenza, l’ansia ragionativa, persino una freddezza del tutto estranea all’uomo che mi stava davanti. Subito rammentai un’osservazione di Tolstoj su Anton Cechov: «Quell’uomo ha un’intelligenza di cuore.». Ecco, questa specie di fragilità e di intelligenza mi hanno avvinto e stupito: un altro da te che senti profondamente come tuo prossimo, dunque, si può ancora amare l’uomo.

(Il Sole 24 Ore, 26 novembre 1989)

IURI LOMBARDI
(Firenze 1979  /  Fondatore e membro dei PoetiKanten Edizioni)
L'avventura letteraria di Leonardo Sciascia nel panorama culturale italiano ed europeo deve essere considerata una delle migliori prove di stampo liberale che l'Italia abbia mai avuto. È da intendersi che liberale qui si associa come sinonimo di illuminista, nel senso che il buon Leonardo guardava a certi autori francesi ed a una certa cultura settecentesca dal  gruppo dei Ideologues sino a Voltaire (di quest'ultimo in particolare) con assidua attenzione. Una attenzione sicuramente atipica che fa dello scrittore agrigentino da una parte uno dei capostipiti di un certo meridionalismo, dall'altra un apogeo, un esponente, uno dei pochi se non l'unico, ad essere definito europeo. Sta di fatto che le due matrici, sia quella meridionalistica sia quella europea convivono in Sciascia e danno equilibrio alla sua poetica.

(In Leonardo Sciascia cronista di scomode verità, a cura di Martino Ciano, PoetiKanten Edizioni, Sesto Fiorentino FI 2015, Pag. 92)


GIOVANNA LOMBARDO
(Docente presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, saggista)
L’autorità e il prestigio di Sciascia negli ambienti editoriali crescono progressivamente, e tuttavia lo scrittore non diventa mai un funzionario di casa editrice, e non collabora mai con un solo editore o con un solo marchio. In questo modo, evita i compromessi cui intellettuali-funzionari hanno dovuto adeguarsi, non è costretto a mediare la propria idea di letteratura con gli orientamenti dell’editore e del mercato, e quando si presenta una situazione di conflitto, semplicemente esprime il suo disaccordo e si allontana.

(Il critico collaterale. Leonardo Sciascia e i suoi editori, Milano, Edizioni La Vita Felice 2008, Collana Porte Aperte 13)


LUCREZIA LORENZINI
(Docente di Letteratura e Filologia nell’Università degli studi di Messina)
La militanza nel PCI prima nel Partito Radicale poi, l’essersi occupato del fenomeno mafia aprendo un dibattito non ancora spento, la denuncia delle aberrazioni del sistema giudiziario di Enzo Tortora incriminato come “camorrista”, l’aver posto all’attenzione dell’opinione pubblica notizie scomode o scottanti, che il conformismo delle coscienze cercava di rimuovere, dimostrano l’impegno che il narratore, il saggista e il giornalista fanno emergere per la difesa dei valori umani e civili.

(La ‘ragione’ di un intellettuale libero.  Leonardo Sciascia, Soveria Mannelli CZ, Rubbettino 1992)


ANGELO LO VERME
(Zurigo 1964)
Sciascia ripercorre in questo romanzo (“Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia”) le delusioni del suo rapporto con il partito comunista, e in generale del suo rapporto di intellettuale in conflitto con quel mondo politico sempre più compromesso con gli inganni e le menzogne del potere.

(La mafia, la Sicilia e Leonardo Sciascia, Empoli, Ibiskos-Ulivier 2011)


EMANUELE MACALUSO
(Caltanissetta 1924  /  Politico, sindacalista, giornalista)
Sapevo che questo giorno (la morte di Sciascia) sarebbe arrivato presto. Avevo visto Leonardo Sciascia l’ultima volta, a casa sua, dieci giorni fa e l'ombra cupa della morte lambiva un uomo vivissimo, lucido, con una mente vigorosa e un’aggressività critica intatta. Con me c’era Antonello Trombadori, l’amico più caro degli ultimi anni, e quando ci ha visti ha avuto un momento di intensa commozione, singhiozzando. Alcune settimane addietro ero andato a trovarlo a Milano avevo notato la stessa commozione ma c'era, in lui, ancora la speranza di vincere il male, di continuare a combattere anche se veniva sempre meno la fiducia nei medici e nelle medicine. A Palermo, nella sua casa, con tutti i suoi cari e le sue cose, forse avvertiva più acutamente un distacco ormai inevitabile. Stentava ad alzarsi dalla poltrona, faticava nel fare ogni movimento essenziale e ci disse che ormai era stanco e non ce la faceva a continuare. Aveva ancora tante cose da dire. E sento già oggi che qualcosa mi manca e mancherà a tanti che con lui si sono incontrati e scontrati.

(L’Unità, 21 novembre 1989)


ANDREA MAORI
(Perugia 1960  /  Archivista, saggista)
L’intera opera di Leonardo Sciascia, di cui gli interventi politici sono parte integrante (purtroppo mai abbastanza in esame) sta lì a dimostrare, senza tema di smentite, come lo smascheramento della mafia, del palazzo, del potere siano una questione di metodo. Questo metodo consiste nell’applicazione del diritto in tutti i singoli, difficili, urgenti casi.

(Leonardo Sciascia. Elogio dell’eresia, Milano, Edizioni La Vita Felice 1995, Collana Porte Aperte 1)


CLAUDIO MARABINI
(Faenza RA 1930 - 2010  /  Scrittore, giornalista, critico letterario)
Sciascia non è stato soltanto uno dei maggiori scrittori dal dopoguerra ad oggi, ma anche una voce civile di notevole efficacia e acume. C’è stato un periodo, sino ad alcuni anni fa, che Sciascia interveniva spesso sull’attualità politica, ogni volta equilibrato e penetrante, coraggioso nel puntare sempre alla verità (o a ciò che ai suoi occhi appariva tale).

Con Leonardo Sciascia non è scomparso soltanto uno dei maggiori scrittori dal dopoguerra ad oggi, ma anche una voce “civile” di notevole efficacia e acume. C’è stato un periodo, sino ad alcuni anni fa, che Sciascia interveniva spesso sull'attualità politica, ogni volta equilibrato e penetrante, coraggioso nel puntare sempre alla verità (o a ciò che ai suoi occhi appariva tale). C’è stato, tutti lo ricordiamo, un momento politico preciso nella biografia dello scrittore di Racalmuto, coincidente con l’elezione nel consiglio comunale di Palermo a fianco del Pci e nelle file dei radicali in Parlamento; dopodiché il distacco dalla politica attiva si è fatto sempre più sensibile. E tuttavia la natura del moralista con precise opinioni ha seguitato a prendere voce. I temi generali della politica italiana, quello a tutti noto della mafia, che lo toccava così da vicino, lui siciliano e attaccatissimo alla storia e alle tradizioni dell’isola; in particolare i temi legati all’amministrazione della giustizia (magari intrecciati proprio al dramma ormai storico della mafia), così vivi nella sua recente narrativa: questi temi suscitavano i suoi interventi pubblici allo stesso modo che ispiravano la sua letteratura. Perciò dobbiamo affermare, nel momento della scomparsa, tanto più dolorosa che prematura […] che è stato un testimone, in qualche misura un nostrano profeta, a lasciarci.

(Gazzetta del Sud, 21 novembre 1989)

MATTEO MARCHESINI (Critico letterario. - Castelfranco Emilia - 1979)

Nella ricorrenza del centenario della nascita, Leonardo Sciascia ci appare più che mai nostro contemporaneo. Le parti ancora attuali sono molte; e forse proprio quelle che potevano sembrare troppo legate alla cronaca si stanno rivelando le più vive. È impossibile scindere in lui il narratore dal saggista, e il saggista dall’intellettuale che interviene tempestivamente sulle questioni del giorno. Scrittore iperletterario, Sciascia insegue però una verità che oltrepassa la letteratura.

(In Cento anni di Sciascia in sei parole - Casa editrice Leo S. Olschki -FI- 2021- pag.43)

 

RENATO MARTINONI
(Canton Ticino, Svizzera 1952  /  Ordinario di letteratura italiana all’Università di San Gallo)
Qualcuno potrebbe chiedersi come mai Sciascia, e altri prima di lui, e altri dopo di lui, scelga il Ticino (viaggiando in treno perché, diceva, l’aereo ti fa precipitare da una civiltà all’altra, senza mediazioni). Le risposte possono essere e sono molteplici. Per la sua fama di terra ospitale. Per la sua vicinanza all'Italia: Milano, dove lo scrittore soggiornava spesso e volentieri, è a un tiro di schioppo, quaranta minuti di ferrovia bastano per attraversare la frontiera.

(in Troppo poco pazzi. Leonardo Sciascia nella libera e laica Svizzera, a c. di Renato Martinoni, Firenze, Leo S. Olschki Editore 2011, Collana Sciascia Scrittore Europe 1)


PAOLO MATTEI
(Cronista letterario)
«Il “giallo” presuppone l’esistenza di Dio. E l’esistenza di Dio… Ma fermiamoci qui.»
Chissà quanti si saranno riproposti d’interrogare Leonardo Sciascia sul seguito di quella frase, sul senso d’una sfida lanciata ad esplorare i limiti metafisici di quel genere letterario che proprio lui in Italia ha portato ai livelli più alti e raffinati della letteratura “tout court”. Non ce n’è stato il tempo. Sciascia se n’è andato, lasciandoci però i suoi libri, le moltissime pagine polemiche e pessimistiche di un “ottimista della cultura” che ha creduto sino in fondo all’utilità sociale del raccontare.

(Avanti!, 21 novembre 1989)


MAURO MAZZA
(Roma 1955 - giornalista e scrittore
)

Riflettendo sul presente, quel che oggi manca di Leonardo Sciascia è sopratutto….
Sciascia. Perchè, dopo di lui, nessuno ha più saputo assolvere al medesimo compito di denuncia e di allarme per le regole violate, sempre più spesso, brutalmente, nel
silenzio pressochè generale. Non è arbitrario ipotizzare quale sarebbe stata la sua reazione quando - dopo le Torri Gemelle, di fronte alla minaccia del terrorismo islamista - nel nome  della sicurezza sono state sacrificate quote importamnti delle libertà personali. Avrebbe accusato il potere di approfittare dell’emergenza per calpestare regole e diritti, instillando paura e limitando sempre più i diritti dei cittadini. E sulla pandemia? Difficile credere che avrebbe accettato  (meno che mai sostenuto) lo stato d’emergenza, la clausura imposta a tutti, il coprifuoco, la proibizione di trasgredire quelle regole dell’ ultim’ora che, a loro volta, hanno cancellato (provvisoriamente ?) leggi e principi cardine di un sistema democratico. E sulla giustizia? cosa avrebbe detto e scritto Sciascia, di fronte allo spettacolo indecoroso di un ordine giudiziario infangato dalle stesse degenerazioni della politica, prigioniero della propria brama di potere, dell’ esasperato correntismo delle carriere facili, della corruzione? La magistratura pare oggi colpita da malattie serie e gravi che sarebbe chiamata a contrastare. E non c’è, sui giornali o in tv, in Parlamento o nel paese, uno Sciascia in grado di lanciare un grido dall’allarme, oltre il rumore di ricorrenti scandali che alzano polvere, ma non risolvono nulla.

(In Nient’atro che la verità - Nemapress edizioni 2021 - pagg. 112/113)


GIUSEPPE MAZZAGLIA
(Catania 1926  /  Scrittore)
Leonardo Sciascia mi ha lasciato buone cose. La sua scrittura sobria e intensa, il suo fare riservato, tutti gli episodi romani (il profumo di antiche trattorie), quella sua “grandezza” di essere umile, e affetto e ricordi. Ma sì, nel mio tempo conobbi Leonardo Sciascia, un maestro di stile, di coerenza e di orgoglio civile.

(in Panta n. 27, Milano, Bompiani 2009)

 

GIANLUIGI MELEGA
(Milano 1935 - 2014  /  Giornalista)
Sciascia non voleva essere un documentatore, voleva essere qualcuno che capiva che cosa era successo. Era come se vedesse in controluce che cosa era accaduto e di questo scriveva, parlava e questa è stata una azione civile e politica importantissima.

 


FRANÇOIS MITTERRAND
(Jarnac 1916 - Parigi 1996  /  Politico, Presidente della Repubblica Francese dal 1981 al 1995)
Ho appreso con infinita tristezza la notizia della morte di Leonardo Sciascia. Egli visse pienamente, senza risparmiarsi, la sua epoca, lottando ostinatamente per una certa idea dell’uomo.

(in Ricordare Sciascia, a c. di P. Cilona, Palermo, Publisicula 1991, pag. 65)


LORENZO MONDO
(Torino 1931  /  Critico letterario, scrittore, giornalista)
Leonardo Sciascia ci mancherà molto: i suoi lampi di ironia sul fondo severo e aggrottato del volto, le parole che si staccano lente, terrose, tra gli anelli di fumo della sigaretta. La sua vigile presenza di moralista tagliente, appassionato, intorno ai temi centrali della nostra vita associata (soltanto Pasolini seppe uguagliarlo), il lavoro di animatore culturale, e si pensi ai titoli incalzanti della collana “La memoria” nelle edizioni Sellerio. Soprattutto ci mancherà lo scrittore, quello che nasce nel 1956 con “Le parrocchie di Regalpetra”, il suo primo libro accettato.

(La Stampa, 21 novembre 1989)


INDRO MONTANELLI (1974)
(Fucecchio FI 1909 - Milano 2001  /  Giornalista e scrittore)
I suoi meriti letterari sono i soliti di Sciascia: acutissima penetrazione psicologica, scrittura asciutta, stringata, senz’adipe né cellulite, giudizi taglienti a bersaglio su uomini e cose, spietate diagnosi illuminate da lampeggiamenti di ironia. Io lo considero l’ultimo cui convenga il titolo di “Grande”.

(Il Giornale, 21 novembre 1989)


ALBERTO MORAVIA
(pseud. di Alberto Pincherle, Roma 1907-1990 / Scrittore e giornalista)
L’inchiesta del Vice (“Il cavaliere e la morte”) permette a Sciascia di darci una volta in più uno scorcio di descrizione della società siciliana, in pagine graffianti e ambigue, tra le sue migliori da ultimo. Ne viene fuori una piccola galleria di ritratti la cui fermezza moralistica lascia trasparire un’ironia sorniona tipicamente siciliana, in apparenza bonaria, in fondo micidiale, che ricorda un poco temi analoghi alle pagine di Lampedusa e Brancati. Certo c’è un crudele e compiaciuto pessimismo in Sciascia. Ma l’ottimismo, come sempre, va cercato nella scrittura.

(Corriere della Sera, 21 novembre 1989)


MARTA MORAZZONI
(Milano 1950  /  Scrittrice)
Quando i miei studenti di prima ragioneria, dopo aver letto loro in classe il racconto “Una storia semplice”, di Leonardo Sciascia mi hanno chiesto qualcosa di più preciso sull’autore, ho detto loro che Leonardo Sciascia, morto nel 1989, è amico di Alessandro Manzoni. Mi hanno guardato con curiosità, per quanto incerti delle mie parole. Anche nella loro imprecisa dislocazione temporale degli autori, nell’assenza di profondità storica in cui spesso si muovono, qualcosa non tornava nel computo delle date, e poi cos’è l’amicizia di due uomini divisi da un secolo? Ho spiegato loro che questi due uomini hanno condiviso lo stesso senso amaro della vita e un profondo amore per la verità, la giustizia e la ragione.

(in Panta n. 27, Milano, Bompiani 2009)


ANTONIO MOTTA
(Direttore Centro Documentazione Leonardo Sciascia)
Quando mi accade ora (e mi accade sempre più spesso) di pensare a Leonardo Sciascia, la mente corre ad un racconto: “Il cavaliere e la morte”, quasi che in quel libro vi fosse consegnato il mistero della vita e della morte.  Ed ogni volta ne ho una sensazione di serenità e di leggerezza.

(in Il sereno pessimista, a c. di Antonio Motta, Manduria TA, Lacaita, 1991)


CARMELO MUSUMARRA
(Catania 1918 - 2011  /  Professore di letteratura italiana)
Le verità di Sciascia sembrano lapalissiane, ma ciò è dovuto soprattutto al fatto che le sue storie sono quasi sempre vere, realmente accadute, e tra queste egli sceglie sempre quelle che, a suo giudizio, sono emblematiche per rappresentare un costume o un carattere della storia.  Dunque è un verista?  O un sociologo? O uno storico? È soprattutto un grande narratore, che comprende tutte queste cose insieme.

(La Sicilia, 28 dicembre 1989)

 

 

 


(a cura di Giampiero Brembilla)