Euclide Lo Giudice - Protagonisti e cronologia de "Il Consiglio d'Egitto"

 
AVVERTENZA


La mia ricostruzione della cronologia de Il Consiglio d’Egitto si basa soprattutto sulle opere di Domenico Scinà, Adelaide Baviera Albanese e Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabianca.

 

Scinà, nel suo Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, riferisce ampiamente della vicenda dell’abate Vella. La parte che la riguarda, con il titolo Del falso codice arabico, è stata pubblicata, insieme al saggio Il problema dell’arabica impostura dell’abate Vella di Adelaide Baviera Albanese, nel volume L’arabica impostura (Sellerio, Palermo 1978).
Il testo del marchese di Villabianca, inserito, con il titolo Una congiura giacobina, nell’antologia Narratori di Sicilia curata da Leonardo Sciascia e Salvatore Guglielmino (Mursia, Milano 1967, nuova edizione 1991), è la cronaca della congiura di Francesco Paolo Di Blasi.
Ho scritto questo lavoro durante un periodo di ferie, nell’estate 1998, e l’ho integrato nel corso degli anni, aggiungendo le notizie che trovavo nei libri che mi capitava di leggere.
Mi rendo conto che la base documentaria è molto ridotta e che il lavoro, di conseguenza, presenta inevitabili lacune. Vorrei precisare che il mio è stato il divertimento di un dilettante, e che mi sono avvalso soltanto dei miei libri. Non ho tempo, purtroppo, per condurre ricerche in archivi o biblioteche.

E.L.G.
Aprile 2009

I

I PROTAGONISTI

 

Il Consiglio d’Egitto ha due protagonisti, Giuseppe Vella e Francesco Paolo Di Blasi, le cui vicende si sviluppano autonomamente ma finiscono per sovrapporsi, intersecarsi e concludersi insieme. Dal punto di vista narrativo, la prima parte del romanzo è dominata dall’impostura del Vella, mentre la terza e ultima è dedicata in gran parte al Di Blasi e alla sua congiura.1  

Nel romanzo non è dato rilievo all’età dei due personaggi. In un solo punto è menzionata quella di Giuseppe Vella: “Così, nell’æquinotium vernum del 1795, [...] l’abate Vella apriva le finestre alla dolce aria del mattino. […] Quarantaquattro anni: una salute di ferro, una mente pronta [...]”. 2  
Sebbene non vi siano indicazioni sull’età di Francesco Paolo Di Blasi – che in più occasioni è comunque definito “giovane”3
  – l’impressione complessiva che si ricava dalla lettura è che l’abate sia alquanto più anziano del giureconsulto. In un passo, in particolare, l’accento posto sulla giovinezza del Di Blasi sembra distanziarlo dal Vella prima di tutto sotto l’aspetto anagrafico: “ […] il giovane Di Blasi, che aveva in simpatia per la giovinezza appunto e per quel che di diverso, di altro da sé, di ardore, di onestà, di chiarezza, riconosceva in lui: quasi una possibilità, remota e irrealizzata, della propria vita […]” 4      
Nella realtà i due sono quasi coetanei: il Vella, infatti, ha soltanto quattro anni più del Di Blasi.

 

Giuseppe Vella

Giuseppe Vella nasce a Malta nel 1749. Nella voce a lui dedicata dall’Enciclopedia Italiana nessun accenno è fatto alla data di nascita, mentre il Dizionario Enciclopedico Italiano indica erroneamente l’anno 1740. Da quanto scrivono Baviera Albanese e Scinà5   l’anno di nascita più probabile sembra, infatti, essere il 1749.6   
Nel 1763, il quattordicenne Vella chiede e ottiene “di essere ammesso alla sacra Religione con il grado di fra’ cappellano di ubbidienza magistrale...”.7
Nella primavera del 1780 si trasferisce definitivamente da Malta a Palermo. Lo segue, subito o successivamente, la sorella Maria, che in seguito sposerà un Pietro Cutrera.8   Mentre cerca di introdursi negli ambienti nobiliari, le modeste condizioni economiche lo spingono ad arrotondare le sue entrate come “pronosticatore […] de’ numeri, che al lotto traevansi”.9   Di lui esiste un ritratto del 1767, riprodotto sulla copertina dell’edizione Adelphi del romanzo.10    
La svolta nella sua vita è determinata dalla casuale e fortunosa presenza a Palermo, tra il dicembre 1782 e il gennaio 1783, di Abdallah Mohamed ben Olman, ambasciatore del Marocco presso la corte di Napoli. Ritenuto conoscitore della lingua araba, Giuseppe Vella viene, infatti, incaricato di assistere il diplomatico fino alla sua partenza. Dall’episodio prende il via l’avventura che, tra il 1783 e il 1795, farà diventare il fra’ cappellano famoso in tutta Europa: la creazione dei due falsi codici arabi, il Consiglio di Sicilia e il Consiglio di Egitto, che traggono in inganno numerosi studiosi di varie nazionalità.
L’impostura viene definitivamente smascherata all’inizio del 1795, e il 2 maggio Vella viene arrestato. Dopo più di un anno, il 29 agosto 1796 l’abate viene condannato a quindici anni da scontare nel castello di Palermo.11
   
L’ultima parte della sua vita è così raccontata da Domenico Scinà: “Di fatto in esecuzione di questa sentenza fu racchiuso nel castello di Palermo. Ma nel 1798 cominciò egli a domandare, che per cagione di salute fosse altrove trasferito in una delle vicine campagne. Per lo che monsignore Airoldi rimostrò che si potea per due mesi condurre nel convento de’ pp. Cappuccini o in quello de’ Buonfratelli per villeggiare con dar prima cauzione di once 400. E come di ciò non fu il Vella contento, tornò a supplicare che lo stato di sua salute non gli permettea di restar chiuso in un convento, e le sue circostanze non l’abilitavano a prestar quella cauzione. In tale termine eran le cose, quando giunse nel 1799 la real corte in Palermo; e il Vella profittando della presenza del re prese coraggio, e dandosi ad innocente e a calunniato domandò la sua liberazione. Fu allora che il conte Italiski ministro delle Russie, ch’era versato nella lingua arabica, volle esaminare il codice martiniano, e fattone l’esame venne a conoscere e confermare l’impostura del Vella. Per lo che il re non volle liberarlo, com’ei desiderava, ma gli permise di stare in luogo di carcere, data prima la cauzione, nel casino, ch’ei avea nella campagna di Mezzomorreale, dove restò finché terminato fosse il tempo di 15 anni. Nel 1803 a 4 gennajo gli furono restituiti i beni incorporati, e a 16 giugno il suo monetario. Finalmente nel maggio del 1814 finì di vivere di anni 65”.12
   
Nel 1811, in una lettera indirizzata ad alcuni studiosi tedeschi, Giuseppe Vella aveva scritto: “Bisogna dunque convenire che se io non avessi fatto altro se non indovinare non si poteva indovinare più giusto e che l’inventore di una produzione così singolare sarebbe, mi si permetta il dirlo, di ben tutt’altro merito che il traduttore di una raccolta di lettere arabe...”13
   
Condannato a quindici anni di prigione, ne scontò effettivamente non più di quattro o cinque. Gli altri li trascorse agli arresti domiciliari e, si può immaginare, non disagevolmente: considerato che gli furono anche restituiti i beni sequestrati. Ed è divertente scoprire che, secondo l’Enciclopedia Italiana, “i suoi falsi scampati al sequestro o, come sembra, continuati durante la prigionia, continuano ad affiorare: nel 1905 furono portati innanzi alla Società di storia patria di Palermo due enormi volumi manoscritti in arabo che avrebbero dovuto esser parte del Libro del Consiglio d’Egitto, e uno d’essi venne offerto in vendita nel 1908 a New York come prezioso codice autentico”.


Francesco Paolo Di Blasi

Il futuro giurista Francesco Paolo Di Blasi nasce a Palermo da nobile famiglia “verso il 1753”,14   circa quattro anni dopo il Vella.
Nel 1778 pubblica la sua prima opera, Sopra l’egualità e la disuguaglianza degli uomini in riguardo alla loro felicità.15
  In questa dissertazione “volle dimostrare che gli uomini sono o uguali o poco differenti tra loro, o almeno tutti eguali rispetto alla felicità”. E sembra di sentire l’eco della jeffersoniana dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, precedente di appena due anni.16   
L’anno successivo viene pubblicata la sua seconda opera, Sulla legislazione della Sicilia, in cui sostiene tra l’altro l’abolizione della pena di morte.17
 
Per incarico del re Ferdinando18
  e del viceré Caracciolo, Di Blasi intraprende quindi la raccolta delle Regiae pragmaticae regni Siciliae, che porta avanti soltanto fino al secondo volume. Preceduta da un discorso De ortu et progresso iuris siculi, la raccolta inizia dal 1339 e comprende le prammatiche pubblicate fino al 1579, includendo anche quelle non più in vigore, “da servire a monumento per la storia e la legislazione della Sicilia nei vari secoli”. Nella prefazione dell’opera, pubblicata tra il 1791 e il 1793, Di Blasi cita “il codice di San Martino (ossia uno dei falsi del Vella, ndr) come fonte di diritto”.19   Il viceré Caracciolo, richiamato a Napoli all’inizio del 1786 per assumere l’incarico di primo ministro, non vedrà l’opera: muore infatti nel 1789, due giorni dopo la presa della Bastiglia.
Secondo il Villabianca, che farà la cronaca degli ultimi mesi di vita del Di Blasi, i meriti acquisiti grazie alla raccolta delle prammatiche avrebbero portato al giovane giureconsulto, se non avesse scelto la strada dell’insurrezione, “la toga di giudice del Concistoro”.20
    
La tragedia di Di Blasi si compie in meno di due mesi, tra la fine di marzo, quando viene arrestato, e il 20 maggio 1795, giorno in cui viene decapitato. Il Di Blasi di Sciascia, guardando dal palco coloro che assistono alla sua esecuzione, pensa: “Questa gente vuol sapere tutto, vedere tutto: ma finisce col non vedere le cose essenziali, le cose che veramente contano… Racconterà nel suo diario la mia decapitazione, ma non scriverà una parola sulle ragioni per cui mi stanno decapitando”.21
  
Qualcosa, in effetti, fu scritto. Tra gli spettatori che attorniavano il patibolo, “ben vestito, roseo e pettinato spiccava il dottor Hager”,22
  colui che aveva smascherato l’impostura del Vella. Lo studioso, nelle sue Impressioni da Palermo, scrive che “il giurista Blasi […] aveva cercato di provocare una rivoluzione in Sicilia. […] Poco dopo però rimasi colpito leggendo alla biblioteca un trattato, nel quale questo giurista, come il Beccaria, ricusava la pena di morte, precisando quindi le pene da imporre ai traditori dello stato. Blasi certamente a quel tempo non immaginava di esprimere un parere sul proprio futuro destino”.23   Il marchese di Villabianca, nei suoi Diari, dà qualche cenno sugli obiettivi della congiura: “Pensarono quindi in sostanza far seguire in Palermo detti forsennati l’istesso orrendo fatto della Francia con fondarvi la sua particolare assemblea e governar la Sicilia con nuove di pianta istituende leggi”.24   
Il marchese non può certo essere accusato di simpatie verso i “forsennati”, francesi o palermitani che fossero. Ma, oltre a far la cronaca degli avvenimenti, nei suoi Diari non riesce a nascondere un certo rispetto verso Di Blasi. E Leonardo Sciascia, più di un secolo e mezzo dopo i fatti, si baserà anche su quanto da lui scritto per dar vita al suo Francesco Paolo Di Blasi. Il quale, facendo risorgere l’Accademia siciliana degli Oretei, “di cui suo padre era stato un tempo promotore”, si proponeva di realizzare gli “scopi politici che segretamente perseguiva: di dare, attraverso la poesia in dialetto e la ricerca di una più integrale dialettalità, un senso concreto e democratico alla sicilianità, alla nazionalità siciliana di cui i più avevano astratto culto; e al tempo stesso svolgere cautamente un lavoro di comunicazione e propagazione di idee, di proselitismo. Un lungo travaglio aveva portato Di Blasi a vagheggiare una repubblica siciliana […]”.25
   
Alla fine, quindi, Di Blasi ha trovato chi ha saputo spiegare le ragioni per cui fu decapitato. Forse né il marchese di Villabianca né il dottor Hager avrebbero immaginato un simile epilogo.

 

II

L'ARCO TEMPORALE

1782 - 1795 

 

Contrariamente a quanto avviene nei capolavori di Manzoni e Stendhal, non è possibile stabilire con esattezza il giorno in cui si svolge la scena iniziale del romanzo di Leonardo Sciascia.26    La si può soltanto collocare nella seconda metà del dicembre 1782.
Nel primo capitolo si legge, infatti, che “Abdallah Mohamed ben Olman, ambasciatore del Marocco alla corte di Napoli, si trovava a Palermo, in quel dicembre del 1782, per causa di un fortunale che aveva spinto il vascello, sul quale verso il Marocco navigava, a sfasciarsi sulle coste siciliane”.27
 
Scrive lo Scinà che “[..] cominciò a sonare il nome di lui (del Vella, ndr), allorché l’ambasciadore inviato da Marocco alla nostra corte, partendo da Napoli fu da fortuna di tempo sospinto in Palermo a 17 dicembre del 1782. […] Andò poi lo stesso ambasciadore insieme col Vella nel monastero casinese di S. Martino, e gli vennero colà molti codici arabici mostrati, di cui fece gran festa, e di alcuni in particolare, che al riferir del Vella grandi e belle cose diceano. […] Partì dopo 23 giorni, o sia al cominciare del 1783…”.28
  
Se non è possibile individuare il giorno in cui Il Consiglio d’Egitto prende avvio, è invece storicamente accertato, a differenza degli epiloghi de I Promessi Sposi e de La Chartreuse de Parme,29
  quando si conclude: il giorno in cui Francesco Paolo Di Blasi viene decapitato, mercoledì 20 maggio 1795.30  
Il romanzo, diviso in tre parti, copre quindi un periodo di circa dodici anni e mezzo. La prima parte, composta da undici capitoli, si snoda per poco più di tre anni, dal dicembre 1782 al gennaio 1786, ed è interamente dedicata a Giuseppe Vella e alla sua impostura. I fatti storici che la delimitano sono il fortunoso arrivo da Napoli e la presenza a Palermo dell’ambasciatore del Marocco, e la partenza, da Palermo per Napoli, del viceré Caracciolo.
La seconda parte31
  consiste nella lettera di presentazione al re del Libro del Consiglio di Egitto tradotto da Giuseppe Vella cappellano del sacro ordine gerosolimitano, abate di S. Pancrazio. Palermo dalla reale stamperia, 1793, tom. I in-fol.32      
La terza parte, strutturata in diciannove capitoli, inizia nel gennaio 1795 con la morte del viceré Caramanico e prosegue, con ritmo incalzante, fino a concludersi tragicamente circa quattro mesi più tardi. In questo brevissimo periodo, mentre viene smascherata l’impostura del Vella, quasi contemporaneamente nasce, e si conclude sul patibolo, l’avventura politica del Di Blasi.
Quando ha inizio la vicenda, nel 1782, la Sicilia è governata dal viceré Domenico Caracciolo, che ha assunto l’incarico da appena un anno, dopo essere stato ambasciatore a Parigi per dieci anni.33
  In Prussia regna Federico II, in Austria Giuseppe II, in Francia Luigi XVI, in Russia Caterina II: moriranno rispettivamente nel 1786, nel 1790, nel 1793 e nel 1796. La sovrana russa, amica di Diderot e Voltaire, sarà l’unica a vivere abbastanza a lungo per vedere la fine della vicenda dell’abate Vella, di cui si era interessata l’Europa colta del tempo.34   Sull’altra sponda dell’Atlantico, nel settembre 1787 era stata votata la costituzione degli Stati Uniti d’America, la cui indipendenza dall’Inghilterra era stata riconosciuta con il trattato di Versailles di quattro anni prima.
Quando Il Consiglio d’Egitto si conclude, nel maggio 1795, la testa di Luigi XVI è caduta da più di due anni e quella di Robespierre da quasi uno. All’entrata a Milano del generale Bonaparte “à la tête de cette jeune armée qui venait de passer le pont de Lodi” manca, giorno più giorno meno, soltanto un anno.
Ma, sebbene la Sicilia del XVIII secolo – quella, almeno, della sua élite culturale – fosse meno isolata dal resto dell’Europa di quanto si possa supporre,35
  non si può fare a meno di ricordare quanto Leonardo Sciascia fu costretto a scrivere nell’introduzione alla prima edizione de Le parrocchie di Regalpetra, pubblicata all’inizio del 1956, più di un secolo e mezzo dopo la morte di Di Blasi: “[…] comunque si cominci l’importante è cominciare. Ma è un greve cominciare, è come se la meridiana della Matrice segnasse un’ora del 13 luglio 1789, domani passerà sulla meridiana l’ombra della Rivoluzione francese, poi Napoleone il Risorgimento la rivoluzione russa la Resistenza, chissà quando la meridiana segnerà l’ora di oggi, quella che è per tanti altri uomini nel mondo l’ora giusta”.36

 

III

CRONOLOGIA DEL ROMANZO

 
Quella che segue, basata su quanto narrato nel romanzo e sulle notizie contenute in altre opere37   (e con i relativi riferimenti riportati tra parentesi), è la ricostruzione cronologica delle vicende di Giuseppe Vella e di Francesco Paolo Di Blasi.

La Storia  Il Romanzo
 1782
 Il 17 dicembre, nel viaggio di ritorno da Napoli al suo paese, l’ambasciatore del Marocco Abdallah Mohamed ben Olman “fu da fortuna di tempo sospinto in Palermo”. Viene affidato alle cure del Vella, che ha fama di conoscere l’arabo, e in compagnia di questi visita il monastero di San Martino a Monreale, dove gli vengono mostrati numerosi codici arabi.
(DS, 13)
1783
Dopo una permanenza a Palermo di ventitré giorni, Abdallah Mohamed ben Olman parte per far ritorno in Marocco.
(DS, 13)
Il 12 gennaio, Abdallah Mohamed ben Olman parte per far ritorno in Marocco.
(LS, I, 497)
Dal 5 al 7 febbraio “la città di Messina fu devastata da violente ondate di terremoto.”
(Feste religiose in Sicilia, LS, I, 1146)
 
“Da Napoli gli vennero (al viceré Caracciolo, ndr) pochi aiuti. Lo si vide con chiarezza nel 1783 quando, dopo il tremendo terremoto che distrusse tra l’altro le città di Reggio Calabria e di Messina, il governo na-poletano prese misure energiche in direzione dell’abbattimento del feudalesimo […] È significativo il fatto che l’area di giurisdizione della Cassa Sacra, un organismo preposto alla ricostruzione dopo il terremoto [...] venne limitata alla sola Calabria e non fu estesa alla Sicilia..” (Carpanetto - Ricuperati, 274)
Il 27 giugno, a Palermo, viene dato alle fiamme l’archivio dell’Inquisizione.
(Morte dell’inquisitore in LS, I, 693)
La distruzione dell’archivio avviene per ordine del re, che accoglie la richiesta in tal senso dell’ultimo Grande Inquisitore.
(LS, I, 500; Mack Smith 410)

Secondo monsignor Airoldi, il rogo dell’archivio sarebbe stato un “capriccio” del viceré Caracciolo.
(LS, I, 500)

Il viceré Caracciolo tenta di ridurre i festeggiamenti in onore di Santa Rosalia da cinque a tre giorni, ma deve rinunciare per la resistenza congiunta di nobili e plebei.
(Mack Smith, 412)

Le reazioni al tentativo di Caracciolo occupano i capitoli V e VI della prima parte.
(LS, I, 512-513 e 517)

Il 3 luglio il principe Giuseppe Lanza di Trabia, anche a nome della nobiltà, indirizza al primo ministro marchese della Sambuca, a Napoli, una lettera contro il viceré Caracciolo.
(Romeo, 66-67)

Parte del testo della lettera del principe è riprodotta nel romanzo.
(LS, I, 510)

1784
Giuseppe Vella “diede con maravigliosa temerità principio nel 1784 alla sua traduzione” del codice di San Martino, quello che poi diventerà il “Consiglio di Sicilia”
(DS, 16)

 Nel romanzo è descritto anche l’aspetto per così dire artigianale del lavoro di Vella.
(LS, I, 506-509)

Il 30 luglio muore Denis Diderot.
 “…a proposito: sapete che Diderot è morto? Il trentuno del mese scorso...”.  La morte dello scrittore, annunciata dal Di Blasi, è ritardata di un giorno.
(LS, I, 529)

Il maltese padre Giuseppe Camilleri già lavora per il Vella.
(DS nota 2)

Nel romanzo il cognome è sempre riportato come Cammilleri e non Camilleri.
(LS, I, 530)

 1785
Il lavoro del Vella comincia a produrre effetti. Con dispaccio registrato dalla Deputazione agli Studi il 15 agosto), viene istituita a Palermo la prima cattedra universitaria di arabo, che viene assegnata al Vella. Questi la terrà fino al 1795, quando la sua impostura sarà stata definitivamente smascherata. Per via dei suoi dubbi sul lavoro del Vella, Rosario Gregorio ha già iniziato i suoi studi arabo-siculi, e successivamente Monsignor Airoldi acquisterà dalla tipografia bodoniana di Parma i caratteri arabi, in precedenza non disponibili in Sicilia, per consentire la pubblicazione del Consiglio d’Egitto.
(ABA, nota 26; EI)

 “Naturalmente, questa cattedra era destinata al fracappellano Vella…”
(LS, I, 516)

“Ma quel Gregorio era un cilizio. Si era messo addirittura a studiare l’arabo, da solo.”
(LS, I, 522)

“Al Vella domandò se da Parma erano arrivati i caratteri arabi per la stampa del Consiglio d’Egitto…”
(LS, I, 547)

Nella nota di presentazione della  Notizia riguardante una singolare impostura di Joseph Hager (in Delle cose di Sicilia - Testi inediti o rari, a cura di Leonardo Sciascia, vol. terzo, Sellerio, Palermo 1996), Sciascia traccia una sintetica storia degli studi di arabo in Sicilia, che, per così dire innescati dal Vella, da Rosario Gregorio e attraverso il suo allievo Salvatore Morso portano alla Storia dei musulmani di Sicilia di Michele Amari.
 
 1786
Il viceré Caracciolo viene richiamato a Napoli e sceglie personalmente il suo successore nella persona di don Francesco d’Aquino, principe di Caramanico. Da una lettera del 14 febbraio, risulta che a quella data Caracciolo si trova già a Napoli (Mack Smith, 425; Acton, 225).
Festa in onore del viceré Caracciolo che lascia Palermo.
(LS, I, 541-547)

  Giuseppe Vella non è ancora abate: “Ormai tutti lo chiamavano abate, e cominceremo a chiamarlo abate anche noi.” Successivamente, Vella sarà nominato abate di San Pancrazio.  
(LS, I, 543 e 565)

Pietro Lanza principe di Trabia pubblica a Napoli la Memoria sulla decadenza dell’agricoltura nella Sicilia ed il modo di rimediarvi.
(Romeo, 92 nota 35)
La “dissertazione” del principe di Trabia è argomento di conversazione anche tra i personaggi del romanzo.
(LS, I, 592-593)
Nel Journal des savants an 1786, il De Guignes pubblica  “de’ forti sospetti intorno all’autenticità del codice martiniano”, la cui lingua gli ricorda quella di un catechismo maltese stampato a Roma nel 1752.
(DS, 28 e nota 9)
Nel romanzo vi è un accenno a ritroso: “… riteneva la rivoluzione buona cosa per il fatto che in Francia aveva chiuso la bocca a quel De Guignes, che sull’autenticità del Consiglio di Sicilia aveva avanzato sospetto.”
(LS, I, 559)
“Olao Gerardo Tychsen, professore di lingue orientali in Rostock nel ducato di Mecklenburgo”, in una sua lettera del 31 luglio indirizzata al principe di Torremuzza, “notava le scorrezioni della lingua, ma non dubitò mai della verità del codice, e della traduzione, e quel ch’è più del valore e della perizia del Vella.”
(DS, 30 e nota 12)
L’“illustre orientalista” Tychsen è dapprima citato come uno dei più autorevoli sostenitori del Vella, ma la sua autorità è poi messa in dubbio dal dottor Hager.
(LS, I, 559 e 581-582)

1787
“Per lo che passò tutto l’anno 1787 in un carteggio continuo tra l’Airoldi e’l Tychsen, tra il Tychsen e’l Vella, e sempre quel professore di Rostock scrivea pieno di venerazione pel codice e pel suo traduttore.”
(DS, 32)
 
Il papa Pio VI, preoccupato per la salute del Vella, gli scrive “dolendosi ‘vehementer tantam in hac versione fuisse oculorum defatigationem ut eorum alterum debilitatum ac perditum sentias’ ”
(ABA, 104)
Secondo l’indicazione fornita dal dottor Hager in una nota della sua Notizia riguardante una singolare impostura, cit., la lettera sarebbe stata datata “Romae XIII, Kal. Novemb. MDCCXC”.38
 
“… il papa in persona si preoccupava della sua salute: ché aveva avuto una flussione agli occhi, e il papa gli aveva scritto a raccomandargli di riguardarsi, la vista essendo particolarmente preziosa per un uomo che da labili e incerti segni portava alla luce la memoria del passato.”
(LS, I, 559-560)
L’8 aprile, domenica di Pasqua, nell’anticamera del viceré Caramanico, Johann Wolfgang Goethe incontra “un vispo omettino, che riconobbi subito per un cavaliere dell’Ordine di Malta. Saputo ch’ero tedesco, mi domandò se potevo dargli notizie di Erfurt, città dove aveva abitato piacevolmente per qualche tempo”. (Goethe, 268)
Uno studioso maltese, imparentato con la famiglia Vella, ritiene che il personaggio incontrato da Goethe fosse il Vella. Il curatore delle note del Viaggio in Italia afferma però che “Era il conte Statella, che poi si recò a Weimar e portò a Charlotte von Stein i saluti di G.”.
 
Il 10 aprile Goethe visita Monreale e il convento di San Martino, cui dedica particolare attenzione, contrariamente al Duomo, che ignora.
(ABA, note 5 e 8; Goethe, 274-276
(Di Blasi) “Ricordò il giorno di primavera in cui a Monreale avevano accompagnato quel Goethe: un uomo che si commuoveva su un coccio di Selinunte, su una moneta di Siracusa; ed era rimasto impassibile, quasi infastidito, a Monreale.”
(LS, I, 640)
 1788
Per la prima volta – in “una pubblicazione che ebbe una certa risonanza: ‘la lettre à monsieur de Guignes sur la supposée authenticité du Codex diplomaticus siculus sub imperio saracenorum’ a firma di un non meglio identificato De Veillant” – sono esplicitamente poste in discussione l’autenticità del codice martiniano e la buona fede del Vella.
(ABA, 105-106).
La lettera, “in cui s’impugnava il codice, e si straziava e scherniva il traduttore Vella”, viene stampata a Malta il 30 marzo.
(DS, 32).
Secondo J. Hager (Notizia riguardante una singolare impostura, cit.), l’autore sarebbe stato il canonico Rosario Gregorio, per via dell’analogia che in greco il suo nome ha con Veillant. Probabilmente, Hager si limita a riportare le voci che correvano nei salotti palermitani: “… e dopo qualche incertezza si venne a riconoscerlo nella persona del canonico Gregorio: perché giusta la greca favella nel Veillant ravvisavano la traduzione di Gregorio”.
(DS, 33)
 
Sul numero 166 di lunedì 14 giugno del Journal de Paris compare una lettera del Vella che conferma la sua scoperta in traduzione araba dei 17 libri di Tito Livio, “tra il sessantesimo e il settantasettesimo”, man-canti.
(DS, 26 e nota 8)
Vella “aveva dapprima progettato di animare l’imbroglio e di far risuonare di più la sua fama con la notizia del ritrovamento, in traduzione araba, dei libri di Tito Livio tra il sessantesimo e il settantasettesimo: appunto, cioè, di quei diciassette libri che al mondo dei dotti mancavano”.
(LS, I, 519 e 520)
Il 15 luglio, contro il parere di monsignor Airoldi, Giovanni Evangelista Di Blasi (zio di Francesco Paolo) scrive una lettera di risposta a quella del Veillant, avvalendosi di materiali fornitigli dal Vella.
A Parigi, compare uno scritto del “Guignes, che in mezzo le ingiurie profferite dal Veillant leggeansi riflessioni giudiziose, che degne erano delle osservazioni de’ letterati di Sicilia, e parlando del Tychsen, soggiungea, ch’egli parea un amico del Vella, e che nel difenderlo non recava delle pruove, che poteano fondare l’autenticità del manoscritto arabico”.
(DS, 34-36)

 
1789
Pubblicazione del primo dei sei volumi del Codice diplomatico di Sicilia sotto il governo degli Arabi, pubblicato per opera e studio di Alfonso Airoldi arcivescovo di Eraclea, giudice dell’apostolica Legazione, e delle regia monarchia del regno di Sicilia. Palermo nella reale stamperia 1789-1792, vol. VI in-4°
(DS, 36-38 e nota 16)
Nel romanzo il titolo dell’opera è così riportato: Codex diplomaticus Siciliae sub saracenorum imperio ab 827 anno ad 1072, nunc primum depromptus cura et studio Airoldi Alphonsi archiepiscopi Heracleensis .
(LS, I, 605)
“Il Villabianca, sempre diligente, annota ben diciassette scrittori, fra i quali il Gregorio e il Di Blasi, che nelle loro opere citarono il codice lodandone il traduttore (Vella, ndr) e il commentatore (Airoldi, ndr). Il lavoro venne addirittura volto in te- desco da Federico Guglielmo Gottlieb.” 
(ABA, 108)
 
Il 16 luglio muore a Napoli il marchese Domenico Caracciolo.
 
1791
Francesco Paolo Di Blasi, “per mandato del re Ferdinando e del viceré Caracciolo”, intraprende la raccolta delle Regiae pragmaticae regni Siciliae, che interromperà nel 1793 con il secondo volume. Preceduta da un discorso De ortu et progressu iuris siculi, la raccolta comincia dal 1339 e comprende le prammatiche pubblicate fino al 1579.
(EI)
Nel romanzo vi sono vari accenni alle ricerche condotte dal Di Blasi sulle prammatiche.
(LS, I, 514 e 520-521)

1793
Pubblicazione del Libro del Consiglio di Egitto tradotto da Giuseppe Vella cappellano del sacro ordine gerosolimitano, abate di S. Pancrazio. Palermo dalla reale stamperia, 1793, tom. I in-fol.
(EI)
La Parte Seconda del romanzo è composta dalla lettera di dedica del Vella alla “Sacra Real Maestà” del Consiglio d’Egitto.
(LS, I, 551-554)

1794

Giunge a Palermo lo studioso viennese Joseph Hager. Vella lo delude. Rosario Gregorio “gli aprì il suo animo, e la furfanteria di quel ciarlatano”. Hager comunica i suoi dubbi al viceré, principe di Caramanico, “il quale ne restò sorpreso, e gl’insinuò di farne parola nel ritornare che faceva a Napoli al generale Acton ministro del re”.  (DS, 48)

Il 31 marzo Acton informa il viceré Caramanico di aver parlato con Hager e gli comunica i suoi dubbi, che “avevano posto in qualche inquietudine” perfino il re.
(ABA, 119)

Il 22 maggio, a Napoli, Hager consegna al re, per il tramite di Acton, una memoria concertata con il canonico Gregorio, nella quale “si palesavano i sospetti sulla falsità dei codici, e fabbricato si dicea il martiniano sopra i due moderni storici siciliani Caruso ed Inveges”.  (DS, 50 e nota 28)

La memoria del dottor Hager è inclusa nella Notizia riguardante una singolare impostura, cit.
Il 31 maggio “il re ordinò immantinente, che il viceré inteso l’Airoldi provvedesse, perché impedito fosse il discredito, che sopravvenir potrebbe a’ codici, se l’Hager fosse venuto ne’ fogli di Germania i sospetti di loro falsità pubblicando.”
(DS, 48-49 e nota 29)

Il 16 giugno Monsignor Airoldi propone al “governo di chiamarsi l’Hager in Sicilia, affinché un diligente esame coll’opera di lui s’istituisse di quei codici...”. Nella lettera Mons. Airoldi sottolinea i dubbi che ha sempre nutrito sull’autorità del Vella, e di aver cercato “sin da principio ajuto de’ dotti; ma avendomi questi mancato al bisogno, fu d’uopo produrre il codice con qualche imperfezione piuttosto, che condannarlo all’oblio. […] Io ho parlato del codice martiniano, ma non lascio di avvertire che il codice del Consiglio di Egitto mi è ignoto, e ch’esige forse maggiore e più squisita applicazione.”
(DS, 49 e nota 30)

Il 19 luglio il governo invita Hager a recarsi a spese del re da Vienna a Palermo, “per dare il suo giudizio sulla verità ed autenticità de’ nostri codici.” 
(DS, 49-50 e nota 31)

Il 21 dicembre Hager torna a Palermo.
(DS, 50)
 

 
Il 24 dicembre Hager “chiese immantinente al governo giusta gli ordini della real corte il codice martiniano, le monete che in questo sono inserite, i supplimenti e la continuazione che si credeano venuti da Marocco, i manoscritti del Consiglio di Egitto, e soprattutto il carteggio di quell’ambasciadore e del fratello di costui, con cui e le carte e le monete erano state, secondo l’apparenza, da coloro al Vella trasmesse. Si può dire che bastarono queste sole domande per isvelare le imposture.”
(DS, 1 e nota 35)
“… l’Hager aveva chiesto, con l’autorità di cui il governo lo aveva investito, di avere a disposizione i codici, le monete e le lettere dell’ormai famoso ambasciatore del Marocco…”
(LS, I, 560)

1795
Il 7 gennaio l’abate Vella “mandò prima fuori di casa una cassa piena di carte” trasferendola a casa del cognato.
(DS, 51 e nota 36)
 
Nella notte tra l’8 e il 9 gennaio l’abate Vella simula il furto di tutti i suoi documenti.
(DS, 51 e nota 37)
“… era andato a far la denuncia di furto. Una nottataccia: a mandare la roba in casa di sua nipote…”
(LS, I, 560)
Il 9 gennaio muore improvvisamente il viceré Caramanico.
(DS, 53 e nota 39)
I solenni funerali del viceré aprono la Parte Terza del romanzo.
(LS, I, 557)
L’11 gennaio il presidente del tribunale del real patrimonio, Grassellini, perquisisce la casa del Vella, lo sottopone a sorveglianza e arresta il monaco Camilleri, che confessa che il Consiglio di Egitto è tutto un falso. (DS, 53-54)
La perquisizione della casa di Vella, l’arresto e l’interrogatorio del Camilleri sono narrati nel secondo e nel quarto capitolo della terza parte.
(LS, I, 561-565 e 570-574)
Il 9 febbraio Hager stende una relazione in cui afferma che “Codice martiniano, Codice Normanno, Supplimenti, carteggio, monete tutto era falso, e tutto impostura del Vella”, e la invia, in data non precisata, alla corte di Napoli.
(DS, 61-62 e nota 44)
“L’Hager aveva già studiato il codice di San Martino, cioè il Consiglio di Sicilia: e il suo giudizio, nero su bianco, stava per spedirlo a Napoli; un giudizio da levare il pelo.”
(LS, I, 580)

Il 22 febbraio si svolge la conferenza tra Giuseppe Vella e Joseph Hager, “dove si presentò il buon tedesco schietto e senza ajuto, e’l Vella colle sembianze di amma- lato tutto convulso e rabbioso. […] …il Vella rispondea ambiguo, ed amareggiava, e niente conchiudea. […] A questo infuriò il Vella, e caricando quello d’improperii… […] Ma l’Hager non si curava d’ingiurie, e instava e replicava, e il Vella più imbizzarriva, e per la stizza si convellea.”
(DS, 57-58)
Vella appare sicuro di sé, pieno d’ironia e perfino di condiscendenza sprezzante nei confronti del dottor Hager.
(LS, I, 580-583)

Il 23, 24 e 26 febbraio vengono replicate le prove di approssimazione, ma senza la presenza del dottor Hager. I cinque giudici “Eran d’accordo che il Consiglio d’Egitto, e forse i supplimenti fossero mendaci e composti di fantasia del Vella, ma diceano per le pruove, che essi avean fatto, il Codice martiniano essere sincero e autentico. Predicavano essi e affannavano, ma abbajavano alla luna, e tutti ne rideano. Niuno si potea persuadere, che persone ignare del tutto dell’alfabeto arabico, atte fossero a portar giudizio di cose arabiche...”
(DS, 58-59)
 
  In seguito a una delazione, il 31 marzo vengono arrestati Francesco Paolo Di Blasi e i suoi complici.
(LS, I, 596 e 597-603)
La sommossa organizzata da Di Blasi doveva scoppiare il 3 aprile, “durante la processione del Venerdì santo” o “un dei giorni santi della settimana maggiore della Pasqua del dì 5 aprile 1795...”
(EI)
Secondo i curatori della cronaca del marchese di Villabianca, Sciascia e Guglielmino, il giorno dell’insurrezione doveva essere il giovedì,  cioè il 2 aprile.
(V, 17)
“ ‘L’avevano proprio pensata bella’ disse la pretoressa ‘con giudizio: poiché il giovedì santo le chiese mettono in parata tutti i loro tesori’ ”
[…]
“… e avevano intenzione di rubare gli argenti delle chiese, proprio oggi che ci sono i Sepolcri parati… Ma li hanno arrestati.”
(LS, I, 606 e 613)

Francesco Paolo Di Blasi viene torturato quotidianamente. “E tuttavia non fu possibile e mai, e giammai staccare dalla di lui bocca il minimo lume e la minima parola di dire di essere stato l’autore principale di siffatta sedizione. Convinto egli però restando e non confesso del pensato misfatto dopo venticinque giorni di patiti dammusi (ovvero sotterranei, ndc) si fe’ passare al quartiere di S. Giacomo dei militari e carcerarlo nella Bomba (costruzione a cupola adibita a prigione, ndc) e alla fine in essa giudicarlo.”
(V, 18-19)
Agli interrogatori e alla tortura inflitta a Di Blasi sono dedicati i capitoli XII e XIV della parte terza. Accenni indiretti, nelle chiacchiere della società palermitana, sono anche nel capitolo XV.
(LS, I, 609-612, 619-622 e 624-625)

Ormai smascherata l’impostura del Vella, il 10 aprile “... il presidente del regno (monsignor Airoldi, ndr) lo confortò a stendere la sua confessione in iscritto, e a chiedere dal re perdono alla sua colpa, e così egli fece”. Nella confessione Vella ammette che il Consiglio d’Egitto è un falso, ma che il Codice martiniano ovvero il Consiglio di Sicilia “era vero, autentico, e sincerissimo”.
(DS, 62 e nota 50)
Il Vella rivela a monsignor Airoldi di aver falsificato il Consiglio d’Egitto. Per convincerlo, lo invita a guardare in controluce la filigrana della carta, che dovrebbe esser “stata fabbricata a Genova intorno al 1780…”.
Il prelato assicura però “ai curiosi, che non eran pochi”, che il Consiglio di Sicilia è autentico.
(LS, I, 590-591, 604-605)
Il 13 aprile, lunedì, ha inizio il processo istruttorio a carico di Francesco Paolo Di Blasi.
(V, 18)
 
Il 2 maggio Giuseppe Vella viene arrestato. “Ma questa confessione di lui parve alla real corte un secondo romanzo, ed ordinò (a mezzo della segreteria degli affari esteri, ndr), che il Vella fosse convinto della sua reità, e punito quale impostore, che ha osato compromettere la nazione siciliana e la corte. Questo dispaccio, che era grave, preciso e gagliardo, ridusse in silenzio i partigiani del Vella, rese il proceder dei magistrati, ch’era stato sino allora incerto, fermo e spedito, e tradusse Vella all’istante nelle prigioni.”
(DS, 62-63 e nota 51)
All’annuncio che sta per essere arrestato, Vella reagisce restando impassibile: “Non ho voglia di muovermi, sono stanco… E poi, chiamatemi pazzo, ma ho il desiderio di vedere dove si va a finire.”
(LS, I, 623)
Il lunedì 18 maggio si svolge la “causa condennatoria” ossia l’udienza del processo a carico di Di Blasi e dei suoi complici, con intervento dei difensori.
Il procedimento per il Di Blasi si conclude alle ore 18 e per gli altri imputati alle ore 22, con la condanna a morte per tutti.
(V, 20)
 
  “Erano già le due ore di notte quando alla conversazione di piazza Marina arrivò, forse da parte di uno dei giudici, trascritta sul rovescio di una sopracarta, la sentenza.”
Nella loro antologia, Sciascia e Guglielmino hanno soppresso il testo della sentenza, che è invece riportato nel romanzo: ”Iste Franciscus Paulus Di Blasi decapitetur absque pompa, et ante executionem sententiae torqueatur tamquam cadaver in capite alieno ad vocandos complices, et isti Julius Tinaglia, Benedictus La Villa et Bernardus Palumbo suspendatur in furcis altioribus donec eorum anima et corpore separetur, et executio pro omnibus fiat in planitiae divae Theresiae extra Porta Novam...”
(LS, I, 628)
“L’indomani in seguito, 19 maggio, martedì, tutti quanti questi disgraziati rei si fecero entrare in Cappella [...] Dee notarsi anche [...] come la notte di detto giorno 19 maggio il boja di sopra Carmelo di Martino [...] si precipitò dall’altezza di dette forche e sbalzando in terra si fece del gran male[...] Tuttavia verificandosi il noto adagio di non mancar mai per boja, il Presidente immediate alla disgrazia passò all’elezione del boja interino trovando un tale Calogero Gagliano della città di Girgenti, che si trovava condannato per anni sedici alla catena, che per risparmiarsi questa pena si prontò egli stesso, e fe’ della briga a coprire il vacante decoroso impiego. Questo Gagliano fece questa giustizia e non è obbli-gato a farne di più, ed ebbe piena la sua libertà”.
(V, 21)
(LS, I, 631-632)
Vella apprende della condanna a morte del Di Blasi e dell’incidente capitato al boia. Ma padre Teresi aggiunge che ciò non dovrebbe ritardare l’esecuzione: “A meno che […] non sia falso il proverbio che dice che per il boia non manca mai”.
(LS, I, 631-632)
Mercoledì 20 maggio viene eseguita la sentenza, con la decapitazione di Francesco Paolo Di Blasi. Gli altri tre condannati vengono impiccati.
(V, 21-23)
Nel XIX e ultimo capitolo della  Parte Terza – aperto dalla lettera-confessione in cui l’abate Vella “negando i falsi, veniva sottilmente ad ammetterli” – viene descritta l’esecuzione del Di Blasi.
(LS, I, 639-641)

 

 

IV

DATAZIONE DEI CAPITOLI DEL ROMANZO

 

Grazie ai moltissimi episodi storicamente verificati, e fedelmente riportati nel romanzo, è possibile stilare una cronologia, in taluni casi molto precisa, de Il Consiglio d’Egitto.
Le vicende narrate in dieci dei diciannove capitoli della Parte Terza (II, VII, VIII, X, XI, XV, XVI, XVII, XVIII e XIX) si svolgono in date che è possibile determinare con la massima esattezza.
In altri cinque capitoli (III della Parte Prima e IV, V, VI e IX della Parte Terza) l’approssimazione temporale è ridotta a pochi giorni o, in ogni caso, ad alcune settimane. In un buon numero di casi, infine (Parte Prima I, II, V, VI, VII e XI; Parte Terza I, III, XII, XIII e XIV) i fatti narrati si svolgono in un mese determinato.
Soltanto tre capitoli (rispettivamente VIII, IX e X della Parte Prima), del resto molto “romanzeschi”, non offrono indicazioni che ne consentano una sia pur approssimativa datazione.
La narrazione rispetta la sequenzialità temporale delle vicende storiche, con la sola eccezione dello scarto rilevabile tra i capitoli III, IV e V della Parte Prima.
Il III capitolo si svolge subito dopo il rogo dell’archivio dell’Inquisizione, avvenuto il 27 giugno 1783. Nel V capitolo è citata la lettera scritta dal principe di Trabia al primo ministro marchese della Sambuca39
  alcuni giorni dopo, il 3 luglio, e si accenna al Consiglio di Sicilia, “che il Vella stava traducendo e di cui monsignor Airoldi dava primizie nei salotti”.40   A questo lavoro del Vella è, infatti, dedicato l’intero capitolo IV. L’anacronismo è dato dal fatto che, secondo lo Scinà, il Vella avrebbe dato inizio alla traduzione del codice che sarebbe diventato il Consiglio di Sicilia soltanto nel 1784.41   
La Parte Seconda, infine, fa per così dire storia a sé, poiché riporta soltanto quella che, secondo Sciascia, è la prefazione-dedica al re del secondo falso codice dell’abate Vella, pubblicato nel 1793.  Si tratta di una sorta di intermezzo, che corona l’impostura del Vella e fa da prologo alla Parte Terza, dominata dalla tragedia di Francesco Paolo Di Blasi, cui si affianca lo smascheramento del Vella.
Ma ecco, di seguito, la datazione dei singoli capitoli del romanzo, elaborata sulla base della narrazione e dei riscontri reperibili nelle opere storiche consultate.

 

PARTE PRIMA

Cap. I           Dicembre 1782
Cap. II          Gennaio 1783
Cap. III         Fine giugno 1783
Cap. IV         (1784)
Cap. V          Luglio 1783
Cap. VI         Luglio 1783
Cap. VII        Agosto 1784
Cap. VIII       (1784 - 1785)
Cap. IX         (1784 - 1785)
Cap. X          (1785)
Cap. XI         Gennaio 1786

PARTE SECONDA


1793

PARTE TERZA

Cap. I            Gennaio 1795
Cap. II           11 gennaio 1795
Cap. III          Gennaio 1795
Cap. IV          Metà gennaio 1795
Cap. V           Fine gennaio - inizio febbraio 1795
Cap. VI          7 - 22 febbraio 1795
Cap. VII         22 febbraio 1795
Cap. VIII        21 marzo 1795
Cap. IX          Fine marzo 1795
Cap. X           31 marzo 1795
Cap. XI          2 aprile 1795          
Cap. XII         Aprile 1795
Cap. XIII        Aprile 1795
Cap. XIV        Aprile 1795
Cap. XV         2 maggio 1795
Cap. XVI        8 maggio 1795
Cap. XVII       19 maggio 1795
Cap. XVIII      19 maggio 1795
Cap. XIX        20 maggio 1795

 
 
AVVENIMENTI SUCCESSIVI


Qual è stato il destino postumo dei due protagonisti del romanzo? Anche senza considerare il diverso epilogo delle loro vite fisiche – stroncata a soli quarantadue anni quella di Di Blasi, conclusasi a sessantacinque quella di Vella – il fracappellano-falsario-abate ha avuto più fortuna del giureconsulto. Se, infatti, è indubbio che Leonardo Sciascia ha riportato entrambi in vita, consegnandoli all’immortalità della letteratura, si deve ammettere che la beffa di Vella aveva lasciato dietro di sé un ricordo ben più persistente delle opere e della congiura di Di Blasi.
Quelle che seguono sono delle brevissime note su quello che si potrebbe definire il “seguito della storia”.

1795

Il 18 giugno Giuseppe Vella scrive a Francesco Chiarelli, già capo della segreteria del viceré Caramanico, una lettera che equivale a una chiamata di correo.42  

Il 30 giugno Vella viene visitato in carcere (“una camera in loco Dambusi”) da tre medici.43

1796


L’avventura di Giuseppe Vella si conclude, il 29 agosto, “con una sentenza di condanna a quindici anni di reclusione pronunciata dal Giudice della Monarchia e confermata dal Tribunale del Concistoro e della Sacra Regia Coscienza.”44
  (Per il testo della sentenza, v. la nota 11.)

1806


Il 15 aprile, datandola da Reggio Calabria, Paul-Louis Courier scrive a Madame *** la lettera di cui Leonardo Sciascia riporta un brano in epigrafe al romanzo.45

1814

“Finalmente nel maggio del 1814 (Giuseppe Vella, ndr) finì di vivere di anni 65.”46  

1825 - 1827

Domenico Scinà pubblica il Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo XVIII, in cui ampio spazio è dedicato all’impostura del Vella.

1830

 Pubblicazione del Paradoxe sur le Comédien di Denis Diderot: “[...] l’abate avrebbe ritenuto al suo temperamento e al suo caso più adatto il Paradoxe sur le comédien, allora ugualmente ignoto.”47  

1854 - 1872

Pubblicazione della Storia dei Musulmani di Sicilia di Michele Amari. Nell’Introduzione al primo volume, Amari traccia un quadro degli studi sulla dominazione araba in Sicilia e tratta ampiamente dell’impostura del Vella: “Tra tanta penuria, piombò in Palermo il maltese Giuseppe Vella, il quale con quel suo dialetto mescolato d’arabico corrotto e di pessimo italiano, potea comprender tanto dell’idioma degli Arabi, quanto un contadino di Roma intenderebbe Cicerone o Tito Livio senza avere mai studiato il latino […] Pur la impostura del Vella diè occasione a buoni studii…”. E dà quindi conto dei contributi di Monsignor Alfonso Airoldi, che tra l’altro fece istituire a Palermo la cattedra di arabo, di Rosario Gregorio, di Salvatore Morso, che fu il successore del Vella sulla cattedra di arabo a suo tempo istituita grazie alle sollecitazioni di Monsignor Airoldi.48

1905 - 1908

Due volumi manoscritti, possibile parte del Consiglio di Egitto di Giuseppe Vella, vengono presentati alla Società di storia patria di Palermo e tre anni dopo uno di essi viene offerto in vendita a New York.49

1924

Il 2 ottobre Fausto Nicolini rilascia al Mattino di Napoli un’intervista con la quale fa scoppiare la “beffa liviana”, ossia la fantomatica scoperta delle deche di Tito Livio mancanti. L’episodio fa parlare di nuovo del Vella: “[...] alla fine del Settecento, l’abate Giuseppe Vella (sommo falsificatore di codici arabi) fabbricò i testi liviani mancanti per i quali si prese quindici anni di prigione.”50

1956

Leonardo Sciascia pubblica Le parrocchie di Regalpetra. Nel primo capitolo (“La storia di Regalpetra”) si legge: “Nell’anno 998 dell’era cristiana il governatore arabo di Regalpetra scriveva all’emiro di Palermo ‘ho numerato tutti ed ho trovato esservi 446 uomini, 655 donne, 492 figliuoli e 502 figliuole…’51   
Sette anni dopo, ne Il Consiglio d’Egitto, Sciascia scrive: “– Ve lo leggo, ecco... O mio padrone grande assai, il servo della sua grandezza con la faccia per terra le bacia le mani e le dice che l’emir di Giurgenta mi ha ordinato che avessi a numerare la popolazione di Rahal-Almut e dopo dovessi scrivere alla sua grandezza una lettera e mandarla a Palirmo. Ho numerato tutti ed ho trovato esservi quattrocentoquarantasei uomini, seicentocinquantacinque donne, quattrocento-novantadue figliuoli e cinquecentodue figliuole. Tutti questi fanciulli sia musulmani che cristiani sono sotto i quindici anni. Onde con la faccia per terra le bacio le mani e mi sottoscrivo così: il governatore di Rahal-Almut Aabd Aluhar per bontà di Dio servo dell’emir Elihir di Sicilia... E poi c’è la data, vedete?: 24 del mese reginal, 385 di Maometto; che sarebbe il 24 gennaio del 998... Che ve ne pare, eh?”.52
 
Dalla biografia scritta da Matteo Collura si apprende che Sciascia aveva letto del censimento del fantomatico governatore arabo di Regalpetra in Racalmuto, memorie e tradizioni di Nicolò Tinebra Martorana, opera ripubblicata nel 1982, ottantacinque anni dopo la prima edizione, con una prefazione dello stesso Sciascia in cui si legge che Tinebra Martorana non aveva resistito “al piacere di riportare un documento falso, pur sapendo che è falso… […] E voglio confessare che anch’io non mi sono privato del piacere di riportare quel documento pur conoscendone la falsità, e precisamente nelle Parrocchie di Regalpetra”.53

1963

Viene pubblicato Il Consiglio d’Egitto.
“Vent’anni fa, imbattendomi in un libro sulla sollevazione popolare antigiacobina che nel 1799 lampeggiò a Caltagirone, cominciai a vagheggiare di farne un racconto. Mi diedi a raccogliere libri e documenti relativi a quel periodo, a quel fatto. E forse ne raccolsi troppi perché non ne fossi sviato, se ad un certo punto su quelle carte crebbero e imperiosamente campeggiarono le figure dell’abate Giuseppe Vella e del giureconsulto Francesco Paolo di Blasi, che nulla avevano avuto a che fare – la loro vicenda conclusasi qualche anno avanti – con la rivolta antigiacobina di Caltagirone. Scrissi dunque Il consiglio d’Egitto.”54
 

Adelaide Baviera Albanese pubblica Il problema dell’arabica impostura dell’abate Vella nel n. 4 dei Nuovi quaderni del meridione.

1978


Nella collana La civiltà perfezionata, Sellerio pubblica L’arabica impostura, che raccoglie i testi scritti da Domenico Scinà ed Adelaide Baviera Albanese sull’impostura dell’abate Vella.

2002

Esce Il Consiglio d’Egitto, film di Emidio Greco tratto dal romanzo. Silvio Orlando vi interpreta la parte di Giuseppe Vella, Tommaso Ragno quella di Francesco Paolo Di Blasi, Renato Carpentieri quella di monsignor Airoldi e Marina Delterme quella della contessa di Regalpetra.


(Agosto 1998 - Luglio 2008)

________________________________

Note

1. La seconda parte del romanzo consiste nella prefazione - dedica al re del Consiglio di Egitto, opera di Giuseppe Vella.
Le citazioni da o i riferimenti a Il Consiglio d’Egitto sono tratti dalle Opere 1956-1971, Bompiani, Milano 1987, primo dei tre volumi dedicati all’opera di Sciascia nei Classici Bompiani, da ora in avanti indicati con la sigla LS, seguita dall’indicazione del volume e dal numero della pagina. (torna su)

2.
LS, I, 589. In quest’unico riferimento esplicito all’età del personaggio, Sciascia lo ringiovanisce tuttavia di due anni. (torna su)

3.
LS, I, 520, 521, 545, 547. (torna su)

4.
LS, I, 521 (sottolineature mie) (torna su)

5.
Domenico Scinà - Adelaide Baviera Albanese, L’arabica impostura, Sellerio, Palermo 1978. Il volume contiene Del falso codice arabico dello Scinà e Il problema dell’arabica impostura dell’abate Vella della Baviera Albanese. Da ora in avanti saranno citati le sole iniziali dei due autori - DS e ABA - e i numeri delle pagine e delle note. (torna su)

6.
“[...] fino a poco più di trent’anni (tanti doveva averne nel 1780, anno della sua partenza, se nel 1795 ne dichiarava quarantasei) ...” (ABA, 93); “Finalmente nel maggio del 1814 finì di vivere di anni 65” (DS, nota 52). (torna su)

7.
ABA, 93 e nota 7. (torna su)

8.
ABA, 95-96.  Sciascia fa sempre riferimento ad una nipote del Vella e al marito di questa. Si tratta in effetti della sorella e del cognato: “In casa di un certo Crutera suo fratel cognato (Vella “mandò… una cassa piena di carte”, ndr) la sera del 7 gennaro 1795” (DS, 51 e nota 36). (torna su)

9.
DS, 12. (torna su)

10.
Giovanna Lombardo, a p. 200 del suo lavoro Il critico collaterale. Leonardo Sciascia e i suoi editori, La Vita Felice, Milano 2008, informa che si tratta di “un ritratto inedito dell’Abate Vella acquistato a Malta da Sciascia e già utilizzato per la copertina del volume di saggi dedicato a Sciascia La verità, l’aspra verità…”. Quanto alla datazione del ritratto, sulla copertina dell’edizione Adelphi la terza cifra dell’anno non è ben leggibile. Potrebbe trattarsi del 1767 o del 1787. Nel primo caso, Vella avrebbe avuto diciotto anni, nel secondo trentotto. Se il ritratto fu eseguito a Malta, prima del trasferimento del Vella a Palermo, avvenuto intorno ai vent’anni, l’ipotesi corretta è la prima. (torna su)

11.
DS, 65. Recita la sentenza: “Die 29 Augusti XIV Ind. 1796. Jesus. Facta relatione in causis fiscalibus stante supplicatione adhaesionis quae cum visa nostra suatur. Asserti Codices, nempe Martinianus cum supplementis suis, ac Normannus de quibus agitur declarentur falsi, et commentitii. et iste Rev. de Vella declaretur impostor, et detrudator in Castro E. S. beneviso quindecim annis. Beneficium divi Pancratii, pensio, aliaque ejus bona fisco addicantur, deductis alimentis unciarum 36 annualium donec quantum regii aeris insumptam restauretur.” (DS, nota 52) (torna su)

12.
DS, nota 52. (torna su)

13.
ABA, 110-111 e nota 33. Nel romanzo, Sciascia inserisce il brano, modificandone la forma, in una lettera che Vella indirizza al re per assumersi la responsabilità dei due codici (LS, I, 639). Di seguito riporto la versione di Sciascia, con le sostituzioni in corsivo e le aggiunte sottolineate: “Bisogna dunque convenire che se io non avessi fatto altro se non indovinare o fantasticare, non si poteva indovinare più giusto, né fantasticare con più vigore; e che il creatore di così singolari opere sarebbe, mi permetto di dirlo, degno di ben altra fama che il traduttore modesto di due codici arabi...”.. (torna su)

14.
Questa notizia, che si desidererebbe più precisa, e quelle relative alle opere del Di Blasi, sono tratte dall’Enciclopedia Italiana. (torna su)

15.
Un riferimento a questo saggio è in LS, I, 502. (torna su)

16.
“[…] We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain inalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the pursuit of Happiness.” The Declaration of Independence, in The American Revolution. Writings from the War of Independence, Library of America, New York 2001, p. 129  (torna su)

17.
Dei delitti e delle pene, il cui XXVIII paragrafo è dedicato alla pena di morte, era stato pubblicato a Livorno, anonimo, nel luglio 1764. Un accenno all’opera di Di Blasi si trova in LS, I, 521. (torna su)

18.
Il re, detto anche il “re lazzarone”, era Ferdinando IV di Napoli, III di Sicilia e infine I delle Due Sicilie. Tali variazioni ispirarono un graffiante epigramma, naturalmente anonimo, attribuito a Michele d’Urso: “Fosti quarto, fosti terzo, / or t’intitoli primiero; / se continui nello scherzo / finirai per esser zero” (Storia Illustrata, numero speciale I Borboni in Italia, Ottobre 1965, p. 505) (torna su)

19.
LS, I, 584. (torna su)

20.
Francesco Maria Emanuele Gaetani, marchese di Villabianca, Una congiura giacobina (tratta dai Diari), in Narratori di Sicilia, a cura di Leonardo Sciascia e Salvatore Guglielmino, Mursia, Milano 1991 (da ora in avanti citato con l’iniziale V seguita dalla pagina). Il passo si trova a p. 17.  (torna su)

21.
LS, I, 640. (torna su)

22.
LS, I, 640. (torna su)

23. Joseph Hager,
Impressioni da Palermo, Sellerio, Palermo 1997, p. 72 (torna su)

24.
V, 15. (torna su)

25.
LS, I, 594. (torna su)

26.
Delle vicende narrate ne I Promessi Sposi e ne La Chartreuse de Parme si conoscono le esatte date di inizio. La passeggiata di Don Abbondio avviene infatti “sulla sera del giorno 7 novembre dell’anno 1628”, mentre “[le] 15 mai 1796 le général Bonaparte fit son entrée dans Milan…”. (torna su)

27.
LS, I, 493. (torna su)

28.
DS, 13. (torna su)

29
Secondo la Chronologie de La Chartreuse, di Pierre Martino, il romanzo si concluderebbe nel 1830 (Stendhal, Romans et nouvelles, vol. II, Gallimard - Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1989, I ed. 1948, ristampa 1989, pp. 497-498). Non conosco – si tratta ovviamente di una mia manchevolezza – un analogo lavoro riguardante I Promessi Sposi. (torna su)

30.
V, 21-23. (torna su)

31.
LS, I, 551-554. (torna su)

32.
La lettera con cui il Vella presenta alla “Sacra Real Maestà” il Codice del Consiglio d’Egitto, e che costituisce la Parte Seconda del romanzo, potrebbe essere opera dell’abate, o frutto di un rifacimento di Sciascia, come nel caso della lettera citata nella nota 13. Non è nemmeno possibile escludere – ed è anzi probabile – che si tratti di un testo integralmente sciasciano. Quest’ultima ipotesi è avvalorata da un passo di una lettera di Sciascia a Italo Calvino del 27 settembre 1962, citata a p. 84 del lavoro di Giovanna Lombardo Il critico collaterale. Leonardo Sciascia e i suoi editori, cit. (torna su)

33.
Harold Acton, I Borboni di Napoli, Giunti Barbèra, Firenze 1988, pp. 221-223 (torna su)

34.
Quanto ai popoli delle Due Sicilie – e parodiando il marchese di Villabianca – per essere orbati dalle paterne cure di Ferdinando, ormai definitivamente I, dovranno invece attendere il 3 gennaio 1825 (Acton, op. cit., pp. 785-786). Sul linguaggio del marchese di Villabianca, ved. di Leonardo Sciascia il saggio Io, Villabianca, in La corda pazza (LS, I, 1018) (torna su)

35.
“ [...] Se si consultano i registri di dogana e di polizia, si constata allora che l’importazione di libri francesi è sbalorditiva: Rousseau, Voltaire, l’Encyclopédie, Montesquieu (il beniamino degli aristocratici). Stendhal dirà in seguito che i libri in francese si vendevano poco in Italia, tranne che in Sicilia, dove ogni buon libro toccava il centinaio di copie...” (LS, La Sicilia come metafora - Intervista di M. Padovani, Mondadori, Milano 1979, p. 53). Ved. anche, di Leonardo Sciascia, l’introduzione (1967) all’antologia Narratori di Sicilia, cit. (torna su)

36.
LS, I, 11. (torna su)

37.
Nella cronologia che segue, oltre a citazioni di e riferimenti alle opere di Leonardo Sciascia (Il Consiglio d’Egitto, Le parrocchie di Regalpetra, Cruciverba - tutti nell’edizione Classici Bompiani - e La Sicilia come metafora), Domenico Scinà, Adelaide Baviera Albanese e Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabianca, già citati, si vedano:
•    Dizionario Enciclopedico Italiano, voll. IV e XII    (abbr. DEI)
•    Enciclopedia Italiana, Voll. XII e XXXV    (abbr. EI)
•    Harold Acton, I Borboni di Napoli, Giunti Barbèra, Firenze 1988
•    Dino Carpanetto - Giuseppe Ricuperati, L’Italia del Settecento. Crisi Trasformazioni Lumi, Laterza, Bari 1986
•    Denis Diderot, Œeuvres, Gallimard - Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1992, I ed. 1951
•    Johann W. Goethe, Viaggio in Italia, Meridiani Mondadori, Milano 1990, I ed. 1983
•    Denis Mack Smith, Storia della Sicilia medievale e moderna, Laterza, Bari 1970
•    Rosario Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Laterza, Bari 1982, I ed. 1950
(torna su)
 
38.
Si potrebbe tradurre: “Da Roma, nel XIII anno di pontificato, 1° novembre 1790”. Ma non può essere: Pio VI era stato eletto il 15 febbraio 1775, e quindi una delle due indicazioni riferite all’anno (XIII e MDCCXC) dev’essere errata. (Ma naturalmente “XIII” potrebbe rappresentare qualcos’altro.) (torna su)      

39.
R. Romeo, op. cit. pp. 66-67 (torna su)

40.
LS, I, 510 (torna su)

41.
DS, 16 (torna su)

42.
ABA, 127-128 (torna su)   

43.
ABA, nota 53 (torna su)

44
. ABA, 89 (torna su)

45.
Paul-Louis Courier, Œeuvres complètes, Gallimard - Bibliothèque de la Pléiade, Paris 1951 (torna su)

46.
DS, nota 52 (torna su)

47.
LS, I, 588 (torna su)

48.
Michele Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, 3ª edizione, Le Monnier, Firenze 2002, vol I, pp. 6-8 (torna su)

49.
EI (torna su)

50.
Giovanni Artieri, Napoli, punto e basta?, Mondadori, Milano 1980, p. 176. Dalle parole di Artieri si potrebbe tuttavia ricavare l’impressione che Vella fosse stato condannato per la fattura dei falsi codici liviani invece che di quelli arabi.  (torna su)

51
. LS, I, 16 (torna su)

52.
LS, I, 538-539 (torna su)

53.
Matteo Collura, Il maestro di Regalpetra, Longanesi, Milano 1996, pp. 42, 188, 262. La citazione fatta da Collura si ferma qui, forse per ragioni di spazio, senza menzionare la riproposizione e l’ampliamento del brano ne Il Consiglio d’Egitto. (torna su)

54.
Leonardo Sciascia, Caltagirone in Cruciverba in Opere 1971-1983, Bompiani, Milano 1989, p. 1264 (torna su)