Davide Rondoni - Sciascia, i laici e il gioco delle figurine

La scorsa settimana “Avvenire” ha pubblicato alcuni stralci di un più voluminoso diario di don Alfonso Puma, parroco di Racalmuto, amico di lunga data di Leonardo Sciascia. Il prete vi racconta di chiaccherate con il grande scrittore siculo a proposito di scrittori cattolici (da lui meglio conosciuti che dal prete, per ammissione di don Puma stesso), di una visita al vescovo di Agrigento, della lettura del Vangelo e della ricerca della verità che animava ai suoi occhi la figura di Sciascia.
A vent'anni dalla morte, in occasione della pubblicazione di tale diario, “Avvenire” ha pensato fosse giusto informare i suoi lettori di questo lato della personalità ricchissima di Sciascia. Parole, fatti, riscontri che arricchiscono un tratto del volto di Sciascia già in luce: quello della inquietudine religiosa e della serietà nella considerazione delle questioni ultime della vita umana. Questioni che lui stesso affrontò a suo modo, senza finzioni. Mi sarei aspettato che l'aria di familiarità che circola negli appunti di don Puma, il segno di un vissuto ricco e sfuggente, il fatto che l'anticipazione di “Avvenire” riguardasse un malloppo di altre venti cartelle, mobilitasse una curiosità, il desiderio di veder che altro c'era. Insomma l'esercizio di un supplemento di curiosità critica.
Invece subito “Avvenire” e Vincenzo Arnone che firmava l'articolo si son prese le bacchettate dal “Corriere della Sera” per mano di De Rienzo e del “Il Sole/24 Ore” per mano di Stefano Salis.
I quali, per nulla curiosi, hanno invece decretato che si tratta di un “goffo tentativo di assoldare anche Sciascia tra i laici pentiti, un brutto vizio” (De Rienzo) o di un tentativo di “dare a intendere che esistesse un lato cristiano” e di “arruolare tra i laici pentiti dell'ultima ora” (Salis).
Per tranquillizzare queste solerti vedette della laicità (dallo sguardo poco curioso però, forse intente a perimetrarsi l'ombelico più che l'orizzonte) vorrei ricordare che già c'aveva pensato Pasolini a mettere in guardia dal vizio di trovare una citazione giusta al fine di “battezzare” qualche scrittore.
E quindi si rilassino. E soprattutto, se riescono, considerino questo fatto elementare: lo sport di “arruolare” non c'interessa perché la letteratura non è come il gioco delle figurine che sembrate amare. Ricordate come si faceva da bambini? “Ce l'ho, ce l'ho, manca...”. Sciascia, come ogni grande scrittore, è di tutti. Ma di tutti davvero. E' un autore interessante per chi è cristiano e per chi non lo è, ed entrambi si ha il diritto e il dovere di leggerlo senza censure. Accade così che molti autori non cristiani aumentino la coscienza cristiana dei loro lettori. O che, fuori dai giochi bassi delle censure, si scoprano lati e testimonianze che danno nuova luce ad autori che si credono ormai “chiariti”. Se, ad esempio, leggiamo nella importantissime lettere di Baudelaire a sua madre che i suoi “Fleurs” “partivano da un'idea cattolica” potremo parlare di un elemento cristiano in Baudelaire o il “Corriere” e il “Sole” ce lo vietano con la loro superficiale irrisione? Se saltano fuori dei documenti da parte di chi ha conosciuto Sciascia dal punto di vista personale (e forse meglio di tanti che ne scrivono) che possono far luce sul suo profilo, si guardino, si esaminino, si soppesino. Il resto è inutile, o peggio dannoso, perché aumenta il chiacchierume che con la letteratura non c'entra. O addirittura vuol screditare taluni voci scomode. Il che è davvero poco in linea con l'insegnamento di Sciascia, no?