Euclide Lo Giudice - Il "misterioso concatenarsi delle casualità"

(Stendhal, Hemingway, Lampedusa, Sciascia)

In una nota dal titolo Quella sera, a cena con Stendhal, comparsa nella rubrica L’Enciclopedia su L’Espresso del 13 aprile 1986, Leonardo Sciascia racconta di un’ideale staffetta tra Stendhal ed Hemingway, definito “lo scrittore più stendhaliano del nostro secolo”1 .  
Lo spunto della nota gli è stato offerto dalla lettura del primo numero di una rivistina intitolata Stendhaliana, stampata in pochissimi esemplari da un certo dottor Flandrin nell’agosto 1921.

Nell’annunciare la morte dell’ex-imperatrice dei francesi Eugenia de Montijo, avvenuta a Madrid l’11 luglio 1920, ossia poco più di un anno prima – notizia che costituiva l’intero contenuto dell’opuscoletto – il dottor Flandrin affermava che con l’ex-sovrana era scomparsa l’ultima persona che poteva dire di aver conosciuto Stendhal e di avergli parlato. 
Nel Journal di Stendhal Eugenia de Montijo compare in sette annotazioni.2
  Un recente biografo di Stendhal3   riferisce estesamente della conoscenza e della frequentazione tra la futura imperatrice, ancora bambina – era nata il 5 maggio 18264 –    e il maturo Stendhal. Introdotto nella famiglia de Montijo dall’amico Merimée, dall’estate 1836 e fino al marzo 1839 Stendhal ne fu spesso ospite ed ebbe quindi modo di trascorrere molte ore con le bambine Eugenia e Paquita.
Figlie di un nobile spagnolo che al tempo dell’occupazione napoleonica della Spagna si era schierato dalla parte della Francia, le due sorelle tormentavano Henri Beyle perché raccontasse delle storie vere dell’epoca napoleonica. Alle due bambine sarebbe dedicato il racconto della battaglia di Waterloo nella Certosa: in questo senso Paul Hazard interpreta l’annotazione “Para v. P. y E. 15 x 38” (Para usted Paquita y Eugenia, 15 decembre 1838) posta in calce al III capitolo del romanzo.5
 
Il 17 marzo 1839, quando Eugenia, la madre e la sorella, subito dopo la morte del conte de Montijo, lasciarono Parigi per far ritorno in Spagna, Stendhal fu il solo che le accompagnò alla diligenza. Molti anni dopo, l’ormai ex imperatrice affermerà che, dopo il suo ritorno in Spagna, tra lei e il “signor Beyle” ci sarebbe stato uno scambio di più di duecento lettere. Eugenia, infatti, conosceva Stendhal come il “signor Beyle”. Solo nel 1860, imperatrice e in visita ufficiale a Grenoble, riconoscerà l’amico della sua infanzia nel ritratto dello scrittore esposto nel museo cittadino.6
 
Tornando allo stendhalista dottor Flandrin, questi fece omaggio all’amico barone Albert Blanc di una delle trenta copie numerate del primo numero della sua rivistina: quella poi finita tra le mani di Leonardo Sciascia. Il barone Blanc, in un’annotazione a matita, precisò che Eugenia de Montijo non era stata l’ultima persona ad aver conosciuto Stendhal. Era infatti ancora vivo il conte Giuseppe Greppi, il quale, nel 1906, in casa della contessa Lovatelli, aveva raccontato al barone Blanc che intorno al 1840 aveva conosciuto il signor Beyle, console a Civitavecchia, e che aveva anche cenato con lui. Il conte Greppi era nato nel 1819, aveva 101 anni e poteva pertanto a buon diritto affermare di essere l’ultima persona ancora vivente ad aver conosciuto Stendhal.
È probabile che l’incontro tra il conte Greppi e il console Beyle sia avvenuto a Roma. Dalla metà del 1839 alla fine del 1841 Stendhal trascorse quasi tutto il suo tempo tra Roma e Civitavecchia, salvo una breve puntata a Napoli tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1839, e un viaggio in Toscana nell’estate del 1840. Il 21 ottobre 1841 lasciò definitivamente Civitavecchia per tornare a Parigi, dove morì cinque mesi dopo.
Nel Journal, alla data del 6 agosto 1801, vi è un accenno a un “com(missai)re g(ener)al Greppi ”7
.   Si tratta di Giuseppe Greppi, rappresentante della Repubblica Cisalpina presso il governo francese, ma ovviamente non è, né può essere, il nostro: forse il nonno, o uno zio.
Nel volume dedicato all’amore senese di Stendhal gli autori riportano il primo abbozzo della lettera con cui il 20 aprile 1833 lo scrittore rispose alla “fatal letter of Pietrasanta”, scrittagli da Giulia Rinieri de’ Rocchi Berlinghieri per prepararlo al suo imminente matrimonio col cugino Giulio Martini.8
  Nella sua minuta, Stendhal indica quest’ultimo come il “Marquis Greppi” – e sarebbe interessante sapere perché abbia usato quel cognome e non un altro.
Di sicuro, l’“Arrigo Beyle milanese” conosceva bene il cognome Greppi, e non poteva essere diversamente. Per lui non dovette quindi essere una sorpresa conoscere il ventenne rampollo della famiglia, intorno al 1840, ed è un peccato che della loro conversazione non sia rimasta traccia. Magari si sarebbe scoperto che circa ottant’anni dopo, parlando col diciannovenne Hemingway, il quasi centenario conte milanese non fece che ripetere – mutatis mutandis – gli argomenti usati dal console Beyle.
E dunque il barone Blanc, forte della sua conoscenza diretta, fu in grado di rettificare quanto affermato dal suo amico Flandrin: l’ex-imperatrice Eugenia non era stata l’ultima persona ad aver conosciuto personalmente Stendhal, perché le era sopravvissuto il conte Greppi. Ma anche il barone Blanc, postillando la Stendhaliana del suo amico dottor Flandrin, incorse in un’inesattezza, rilevata da Leonardo Sciascia. Il barone, infatti, scrisse la sua annotazione senza evidentemente sapere che il conte Greppi era anch’egli morto, l’8 maggio 1921, circa tre mesi prima della pubblicazione della rivistina del dottor  Flandrin.
Sciascia traccia quindi una sintetica biografia del conte Greppi, diplomatico prima sotto l’Austria di Metternich e poi sotto i regni di Sardegna e d’Italia, fino a quando un infortunio di natura professionale ovvero diplomatica – aggettivo da intendere alla lettera – lo costrinse a lasciare la carriera. Prosegue Sciascia: “Nel 1840 aveva cenato con Stendhal; sicché sembra del tutto conseguente, nel misterioso concatenarsi delle casualità, che si trovi nel 1917 a giocare a bigliardo con Hemingway, lo scrittore più stendhaliano del nostro secolo. Il conte Greppi, al capitolo XXXV di ‘Addio alle armi’: ‘Il conte Greppi aveva novantaquattro anni; era stato giovane ai tempi di Metternich e, adesso, era un vecchio signore dai capelli e dai baffi bianchi, pieno di distinzione. Aveva servito in diplomazia sotto l’Austria e poi con l’Italia, e i ricevimenti che dava per i suoi compleanni facevano data nella società milanese...’ C’è una piccola inesattezza: non novantaquattro, ma novantanove anni aveva allora il conte Greppi ”9
.  
Nel testo originale di A Farewell to Arms e in una traduzione italiana, il conte Greppi viene indicato rispettivamente come “Count Greffi” e “il conte Greffi”.  Ma che si tratti del conte Giuseppe Greppi non c’è alcun dubbio.10
   Quanto alla data dell’incontro tra il giovane Hemingway e il vecchio conte milanese, Leonardo Sciascia la anticipa di un anno. Ernest Hemingway arrivò infatti in Italia, volontario nella Croce Rossa Americana, nel giugno 1918, fu ferito a Fossalta di Piave l’8 luglio e, dopo la convalescenza a Milano, verso la fine di settembre si recò a Stresa, dove appunto conobbe il conte Greppi e giocò a bigliardo con lui.11   
Dunque il conte Greppi fu colui che, ultimo vivente ad aver conosciuto uno Stendhal arrivato quasi al termine della sua vita, passò una sorta di ideale testimone letterario dal romanziere francese al giovane americano che sarebbe diventato, tra i grandi scrittori di questo secolo, il “più stendhaliano”: riconoscimento che, per i lettori di Sciascia, non necessita di ulteriori approfondimenti.
Ma era comunque destino che le carezze date da Stendhal alla piccola Eugenia de Montijo non scomparissero del tutto, nella storia della letteratura, con la morte dell’ex-imperatrice dei francesi. Racconta infatti Giuseppe Tomasi di Lampedusa12
  che, bambino di pochi anni, in un’estate all’inizio del secolo, forse poco dopo l’uccisione di Umberto I, ospite con la famiglia nella villa dei Florio a Favignana, una mattina fu svegliato, lavato e vestito dalla bambinaia e portato alla presenza di un gruppo di persone, tra cui c’erano la madre e Franca Florio.13    Al centro del gruppo “[...] si trovava seduta una vecchissima signora, assai curva e con un naso adunco, avvolta in veli vedovili che si agitavano furiosamente al vento. Mi portarono dinanzi ad essa che disse alcune parole che non capii, si curvò ancora di più e mi diede un bacio sulla fronte (dovevo quindi essere molto piccolo, se una signora seduta doveva ancora curvarsi per baciarmi). Dopo di che fui trascinato via, riportato in camera mia, spogliato dei miei vestiti di gala, rivestito in un più modesto abbigliamento e condotto sulla spiaggia... Mi venne rivelato nel pomeriggio che la vecchia signora era Eugenia, ex imperatrice dei Francesi, il cui ‘yacht’ si trovava alla fonda davanti a Favignana, che era stata a pranzo dai Florio la sera prima…La frase che essa disse prima di baciarmi pare sia stata: ‘Quel joli petit!’ ”.14   
La ricostruzione di questo filo diretto (Stendhal - Eugenia de Montijo - Tomasi di Lampedusa) è stata quasi automatica, generata da quell’altro filo, scoperto da Leonardo Sciascia (Stendhal - Conte Greppi - Hemingway). E fa piacere pensare che due scrittori molto “stendhaliani”, come Hemingway e Lampedusa, in un certo senso siano stati “toccati”, per interposta persona e attraverso il tempo, dalla mano di Henri Beyle.
Un’ultima curiosità: nei Ricordi d’infanzia di Tomasi di Lampedusa compare anche il cognome Sciascia. Lampedusa racconta, infatti, di un Giovanni Gerbillo-Xaxa, barone del Cannitello.15
  Sebbene non sia possibile individuare Cannitello sulle carte geografiche della Sicilia, sembrerebbe che il villaggio non fosse lontano da Santa Margherita Belice e da Palma di Montechiaro, entrambe in provincia di Agrigento: come Racalmuto, da cui non distano molto. Ma il punto è un altro. Infatti “... Sciascia è un cognome propriamente arabo, che fino al 1860 sui registri anagrafici veniva scritto Xaxa, e che si leggeva Sciascia”.16  

(Agosto 1996)


NOTA

Il testo comparso su L’Espresso del 13 aprile 1986 con il titolo Quella sera, a cena con Stendhal è stato ripubblicato, con il titolo Stendhaliana, nella bella antologia degli scritti stendhaliani di Leonardo Sciascia (L’adorabile Stendhal, Adelphi, Milano 2003, a cura di Maria Andronico Sciascia).


1. (Torna su ) - Già Elio Vittorini aveva affermato che “Hemingway (...) rimane per me lo Stendhal del nostro secolo” (Il Politecnico, n. 33-34 del novembre 1946, riportato nel Diario in pubblico, Bompiani, Milano 1957-1970, p. 268). Vittorini non poteva che riferirsi alla prima metà del secolo. Quanto alla seconda metà, molti anni dopo George Steiner dichiarerà: “Se mi avessero detto in passato che ci sarebbe stato un nuovo Stendhal, non ci avrei creduto. Eppure Leonardo Sciascia, morto quasi tre anni fa, è, secondo me, lo Stendhal dei nostri tempi” (intervista a Panorama del 4 ottobre 1992).
2. (Torna su ) - Alle date del 15 aprile, 30 novembre e 12 dicembre 1837, 17 novembre e 10 dicembre 1838, 17 marzo 1839 e 6 marzo 1840 (Stendhal, Journal in Oeuvres intimes, vol. II, Gallimard, Bibliotheque de la Pléiade, Paris 1982)
3. (Torna su ) - Michel Crouzet, Stendhal. Il signor Me stesso, Editori Riuniti, Roma 1990 (pp. 884-888)
4.(Torna su ) - Secondo Crouzet (op. cit., p. 885), Eugenia “era nata nel 1827 durante un terremoto”: durante un terremoto può darsi, ma nel 1827 sicuramente no, perché era nata l’anno prima. E quanto al fatto di essere nata esattamente cinque anni dopo la morte di Napoleone il Grande, lei che sarebbe diventata la moglie di Napoleone il Piccolo, cosa dire? Segno del destino?
5. (Torna su ) - Il fatto che in un’annotazione sul c.d. “esemplare Chaper” Stendhal abbia precisato: “J’ai fait ce detail pour Eouk(enia), le 15 decembre 1838” (Stendhal, Romans et nouvelles, vol. II, Gallimard, Bibliotheque de la Pléiade, Paris 1948-1989, pp. 1391-2 nota 1 relativa alla p. 70) non pare sufficiente a giustificare la definizione di “romanzo dell’imperatrice” che Crouzet (op. cit., p. 887) dà della Chartreuse.
6. (Torna su ) - Nel 1860 durante un viaggio ufficiale visita il museo di Grenoble; appena entrata in una sala ella scorge il ritratto di Stendhal, lo riconosce (dopo ventun anni) ed esclama: “Ma è Monsieur Beyle”; ignorava quasi completamente lo scrittore; il giorno stesso scrive a Paca: “tutta la nostra infanzia mi è ritornata alla mente...” (Crouzet, op. cit., pp. 887-888)
7. (Torna su ) - Stendhal, Journal in Œuvres intimes, op. cit.
8. (Torna su ) - Lapo Rinieri de’ Rocchi e Giannantonio Stegagno, Storia di Giulia, Sellerio, Palermo 1987 (pp. 107-108)
9. (Torna su ) - Leonardo Sciascia aveva già scritto del conte Greppi e di Hemingway: “... Ci sono i compleanni del quasi centenario conte Greppi: un filo di continuità tra la Milano di Stendhal e quella di Hemingway. Tenuto a battesimo da Eugenio Beauharnais negli anni in cui Stendhal si fa milanese, il conte Greppi farà in tempo a giocare al bigliardo con Hemingway, dopo Caporetto, stendhalianamente dialogando sulla vita e sulla morte.” (La povera Rosetta in Cronachette, Sellerio, Palermo 1985, pp. 47-48)
Costretto a lasciare Milano, dal 1814 Eugenio de Beauharnais si era ritirato a Monaco, presso la corte del suocero, il re di Baviera Massimiliano I, di cui nel 1806 aveva sposato la figlia Amalia Augusta. E, come il Re di Roma alla corte del nonno imperatore d’Austria era diventato il duca di Reichstadt, anche l’ex-viceré d’Italia alla corte del suocero diventò duca: di Leuchtenberg. Ma lui, a differenza dell’Aiglon, non era un bambino: e fino all’ultimo, consapevolmente e dignitosamente, era rimasto fedele all’uomo cui doveva la sua fortuna. Per quanto ciò possa suonare paradossale, piace pensare che l’amabile Eugenio sia stato premiato per la sua fedeltà al padre adottivo. Giuseppe Greppi, da lui tenuto a battesimo, non poteva avere un padrino migliore. (Sorge tuttavia un interrogativo: come avvenne il battesimo, e in che modo Eugenio de Beauharnais poté fare da padrino, dato che il conte Greppi nacque nel 1819, cioè cinque anni dopo la partenza da Milano del viceré d’Italia?)

10. (Torna su ) - Ernest Hemingway, A Farewell to Arms, Scribner/Macmillan Hudson River Edition, New York 1988; e Addio alle armi, trad. it. di Fernanda Pivano in Romanzi e racconti, Mondadori/Meridiani (III ed.), Milano 1988. In quest’ultima edizione, sicuramente per una distrazione della traduttrice e dei correttori di bozze, il principe di Metternich viene trasformato (p. 520) nello scrittore Maeterlinck, il quale tra l’altro nacque quando Metternich era morto da tre anni. La traduzione utilizzata da Sciascia è comunque un’altra: di Giansiro Ferrata, Dante Isella e Puccio Russo, è stata pubblicata da Mondadori nel 1946 nella collana Il Ponte e successivamente ristampata in altre collane (Medusa e Oscar). In questa traduzione il vecchio gentiluomo è identificato come il “conte Greppi”. Nella decima ristampa negli Oscar (giugno 1975) l’episodio viene tuttavia collocato nel XXXIV capitolo, e i capitoli del romanzo da quarantuno vengono ridotti a quaranta. Una cosa dunque è sicura: che entrambe le traduzioni, almeno per quanto concerne la partita a bigliardo e la conversazione tra Frederick Henry e il conte Greffi, presentano delle inesattezze.
Per eliminare qualsiasi dubbio sull’identità del personaggio hemingwayano è comunque sufficiente riportare l’interpretazione autentica dell’autore. In una lettera del 17 novembre 1948 inviata a Fernanda Pivano, lo scrittore raccomanda: “[...] Conserva Greffi.  NON ripeto Non Greppi. Non ho il diritto di usare il suo vero nome. Lo amavo molto e lui mi voleva bene e non è chic usare il suo vero nome soltanto perché non ci sono leggi quando uno è morto...”  (Fernanda Pivano, Hemingway, Rusconi, Milano 1985, p. 36)

11. (Torna su ) - “They (Hemingway e un suo amico del Minnesota di nome Johnny Miller, ndr)  were adopted by a large, elderly Italian, the Conte Emanuele (sic) Greppi, an ‘uomo politico’ who wore a black hat, carried a stick, and seemed eager to discuss American politics. It was Ernest’s later boast that the Count had ‘brought  him up politically’. They played at billiards in the games room of the hotel, and the Count provided successive bottles of well-iced champagne. Ernest revelled in being adopted by Italian nobility...” (Carlos Baker, Ernest Hemingway. A life story, Charles Scribner’s Sons 1969 e Penguin Books 1972-1987, p. 77 e passim). 
Circa l’arrivo di Hemingway in Italia, molti, considerando la descrizione della ritirata di Caporetto in Addio alle armi come una sorta di “cosa vista”, sono portati a farlo avvenire nell’estate del 1917.

12. (Torna su ) - Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ricordi d’infanzia in Opere, Meridiani Mondadori, Milano 1995 (p. 345). I Ricordi d’infanzia sono esplicitamente ispirati alla Vie de Henry Brulard: “Cercherò di aderire il più possibile al metodo di ‘Henry Brulard’, financo nel disegnare le ‘piantine’ delle scene principali” (ivi, p. 338)
13. (Torna su ) - Sullo splendore e sulla decadenza di Franca Jacona di San Giuliano, moglie di Ignazio Florio, si possono leggere le note di Leonardo Sciascia in Nero su nero (Einaudi, Torino 1979, pp. 8 - 11).
14. (Torna su ) - Dai volumi in mio possesso non mi è possibile individuare l’anno in cui il piccolo Tomasi di Lampedusa fu presentato all’ex-imperatrice Eugenia, la quale tuttavia a Palermo doveva andare molto spesso, e forse ogni anno. Di due visite, nel 1896 e nel 1906, ho trovato traccia in due lavori (Simone Candela, I Florio, Sellerio, Palermo 1986, p. 330; e Raleigh Trevelyan, La storia dei Whitaker, Sellerio, Palermo 1988, p. 73): ma nessuna delle due sembra essere quella giusta. In occasione della prima il futuro autore de Il Gattopardo non era ancora nato, e nell’estate del 1906 aveva ormai quasi dieci anni, un’età in cui un bambino non è più “molto piccolo”.
15. (Torna su ) - Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Ricordi d’infanzia, op. cit. (p. 388)
16. (Torna su ) - Leonardo Sciascia, La Sicilia come metafora, Mondadori, Milano1979, p. 12.