Gaspare Agnello - L. Sciascia: “Alle 11 del mattino ho creduto nell'esistenza di Dio”

Leonardo Sciascia è morto il 20 novembre del 1989 e da quella data ho sentito impellente il dovere morale di scrivere un articolo sul “Dio di Sciascia”. Me ne sono astenuto per pudore, perché non mi sento all'altezza, per il timore di dire cose che possono travisare le idee del grande Leonardo e poi perché ne hanno parlato con competenza e dovizia di particolari Don Nino Nuzzo nel suo libro Il Dio di Sciascia Il Maestro di Regalpetra edito da Longanesi. edito dall'Oasi di Troina nel 1997 e Matteo Collura nel suo libro

Pur tuttavia voglio addentrarmi in questa materia così delicata perché ho frequentato assiduamente la terrazza di contrada Noce dal 1982 fino al giorno della sua morte, essendo ammesso anche a visitare senza limiti lo scrittore malato anche nella sua casa di Palermo, dove ricevette, prima di morire, Manuel Vázquez Montálban, insignito del Premio Racalmare proprio su segnalazione di Sciascia.

I due si strinsero la mano, e la fotografia di Scianna di quella stretta di mano rivela la morte vicina del maestro, morte che si legge nelle vene che escono fuori dalle mani e dal braccio di Sciascia.

Ma ritornando all'argomento della religione di Sciascia voglio iniziare con l'intervista che lo scrittore di Racalmuto concesse a Benedetta Craveri e che è stata pubblicata dal giornale “La Repubblica” in data 29 ottobre 1989 e cioè meno di un mese prima della sua morte. Parlando dei gialli la Craveri pone a Sciascia la seguente domanda: ad attrarla maggiormente è la soluzione dell'enigma o il mantenimento del mistero? Sciascia risponde: “Il mantenimento del mistero: che non ha mai soluzione anche quando sembra trovarla. Il “giallo” presuppone l'esistenza di Dio.

E l'esistenza di Dio...Ma fermiamoci qua”.

Siamo ad un mese dalla morte di Sciascia e mentre la morte incombe che significano quei tre puntini di reticenza? Quale dramma c'è dietro?

Ma il dramma è molto chiaro se ci rifacciamo a tutte le testimonianze degli amici che lo hanno frequentato assiduamente nell'ultimo anno della sua vita, allorché lui ebbe chiaro il presentimento della sua prossima morte che descrisse così drammaticamente nel suo ultimo capolavoro Il cavaliere e la morte.

Ed a tal proposito anch'io ho da aggiungere, alle tante, una mia testimonianza che mi porto dentro da sedici anni e che rendo pubblica oggi con questo mio scritto a cui annetto grande importanza.

Era l'estate del 1988 e mi trovavo con Sciascia sul terrazzo di contrada Noce, e Sciascia mi chiede se per caso avessi letto un articolo sul “Corriere della Sera” dove nella pagina della cultura c'era un articolo di un filosofo francese che sosteneva di essere andato nell'aldilà e di esserne ritornato più ateo di prima. Il filosofo sosteneva di avere avuto una morte apparente durata quattro minuti e di non aver visto nulla in quei minuti di trapasso dalla vita alla morte.

Ma Sciascia con gli occhi sbarrati mi dice: leggi l'articolo e vedrai che non è vero che non ha visto nulla: ha visto una nuvola rosa e due guardie. Allora qualche cosa ha visto e questo Sciascia me lo disse con una voglia di ricevere una risposta positiva dell'aldilà, una risposta positiva alla scommessa pascaliana, cosa della quale non ho avuto alcun dubbio.

Questo colloquio mi ha grandemente turbato e sono andato via dalla casa di Sciascia sconvolto nel pensare come questo uomo così laico e così anticlericale che aveva scritto tanto sull'inquisizione, cercasse con tanto ardore Dio, un Dio che certamente non aveva nulla a che fare con la Chiesa militante e con i preti dei suoi libri, che molto spesso sono strumenti della politica e della mafia, cosa che nel dopoguerra si è verificato in maniera totale. Si pensi al Cardinale Ruffini che negava l'esistenza della mafia.

 

Ma ritornando al nostro argomento citiamo il giornalista spagnolo Juan Arias, corrispondente per l'Italia del “Pais”, a cui Sciascia disse: “Dubito tanto che non mi meraviglierei se di fronte alla morte mi avvicinassi alla religione”.

E al Vice questore di Agrigento Dr. Filippo Chiappisi, che gli aveva fatto visita nella sua casa di Palermo otto giorni prima di morire, disse: “Probabilmente diranno che mi sono convertito. Lei che ne pensa?”.

“Per l'idea che mi sono fatto di Lei, rispose il Dr. Chiappisi, la parola conversione non sarebbe adatta”. Senza più parlare Sciascia gli aveva stretto un braccio, a lungo, annuendo ed esprimendo con gli occhi una forte commozione. Chiappisi vedeva in lui il Vice de Il cavaliere e la morte: un onesto funzionario di polizia, come l'onesto Sciascia che visse tutta la sua vita molto cristianamente e molto religiosamente.

Ed ancora, per testimoniare come il problema di Dio e del “dopo” lo affliggesse durante il suo calvario che lo doveva portare alla morte, citiamo una frase ad un amico che lo accompagnava nella clinica di Milano dove faceva la chemioterapia: “Dio esiste, proprio per questo non ne sapremo nulla. Dio non ha bisogno di mostrarsi”.

E nel romanzo 1912+1: “Il guaio del vivere e del morire degli uomini è che Dio c'è, ma se ne saprà, da morti, meno di quanto se ne sappia da vivi...”.

Ed ancora, a proposito dell'ateismo,guardate cosa scrive al cardinale di Palermo Pappalardo: “ Lei certamente saprà, come io so, che si è atei come si è cristiani: imperfettamente sempre. Graham Green, che passa per uno scrittore cattolico, diceva tempo addietro di non sapere esattamente in che cosa consistesse il suo essere cattolico. Principalmente, si capisce, nel credere in Dio: ma non sempre, diceva, io credo in Dio e anzi ci credo sempre meno. Una volta ricordo, all'angolo di tale strada, alle 11 del mattino, ho creduto fermamente nell'esistenza di Dio: ma ci sono momenti, ore e giorni in cui non ci credo affatto. E così, Eminenza, è degli atei: in un dato giorno, ad una data ora, all'angolo di una certa strada, anche il più granitico ateo della sua diocesi, crederà in Dio con tale intensità da riscattare (secondo la religione che Lei rappresenta) le dichiarazioni di ateismo di tutta una vita”.

Da quanto detto è chiaro che Sciascia cercasse Dio e quando un uomo, in punto di morte, cerca Dio, lo trova sicuramente.

Del resto la cultura religiosa avuta dalle zie doveva in ogni modo venire fuori anche se lui è stato un illuminista ammiratore di Voltaire, un uomo che fustigò i costumi della gerarchia, che aveva ancora paura dell'inquisizione: mi diceva che in Spagna ancora si respira l'aria dell'inquisizione.

Sciascia non poteva accettare il concetto del pentimento facile: la confessione come il lavaggio di una coperta sporcata la notte, lavata e stirata e riusata la notte successiva senza tanto rimorso, la storia lunga della Chiesa fatta di corruzione, di guerre, di lotte interne e fratricide, insomma la storia di tutte le debolezze umane della Chiesa. Ma tutto questo non aveva nulla a che fare con la ricerca di un Dio, del suo Dio e di una spiegazione della vita dell'uomo e del perché della sua esistenza...

I preti onesti come padre Puma erano suoi grandi amici, prima di morire volle regalare un calice d'argento al Vescovo di Agrigento dicendogli: lo usi quando dirà messa alla Chiesa del Monte di Racalmuto ed io ci sarò. Il calice il Vescovo di Agrigento lo usò per la prima volta nella Chiesa della Madonna del Monte e Sciascia c'era: dentro la bara per assistere al suo funerale cristiano, cristiano come avveniva per tutti i suoi compaesani.

Non so se Sciascia avesse condiviso il fatto che da morto gli abbiano messo un crocifisso tra le mani ma sono certo che avrà voluto il funerale celebrato nella sua Chiesa del Monte di Racalmuto.

Voglio concludere queste mie note dicendo che Sciascia non morì da cattolico, ma morì da cristiano.

Lo conferma il fatto che disse: “Non sono né ateo né credente. Ma cerco di vivere religiosamente”: e poi copiando Giuseppe Antonio Borgese scrisse: “Aspiro, per quando sia morto, a una lode che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abietto o malvagio”.

Questo è l'amico che abbiamo conosciuto, che certamente non si è convertito, ma che ha cercato, che ha trovato e che pascalianamente, come il suo vecchio amico Bufalino, ha scommesso su Dio vivendo cristianamente per, eventualmente, riscuotere la giusta mercede...

...Dio esiste perché non possiamo comprenderlo.

 

(in “Oltre il Muro - Rivista quadrimestrale di letteratura e teologia”, maggio 2005, Via Duomo, 102, 92100 Agrigento)