Nino Agnello – Quando Sciascia contestò i contestatori

Il vezzo della citazione dotta o più semplicemente letteraria in Leonardo Sciascia c'è stato sempre e si è fatto via via più consistente e vivace con l'incalzare della sua produzione. E' diventato così un elemento costitutivo della sua scrittura, imprescindibile sostegno culturale e riconoscimento di uno stile narrativo e saggistico. Una conferma precisa si ha anche nella “parodia” de Il contesto (Einaudi, 1971), dove sono numerose – in confronto alle centoventi pagine del libro – le citazioni di brani, titoli e autori.

Ma la citazione più originale, più inquietante e più corposa è data dalla presenza di un brano lirico, lungo 105 versi, un vero e proprio unicum nella produzione sciasciana, un poemetto o, meglio ancora, una satira sociale e politica. Nonostante la lunghezza, è doverosa la trascrizione, non fosse altro che per rendere omaggio alla sua unicità.

 

Con arroganza ripetete a memoria

quel che non sapete

idee-spray schiuma di vecchie e nuove idee

(più vecchie che nuove)

che le vostre labbra squagliano e sbavano

come appena ieri in braccio alla mamma

- la mamma la mamma -

il gelato di crema. E colano

dalle vostre barbe di protomartiri

coltivata impostura

finzione di una maturità che vi faccia

uguali al padre e idonei dunque all'incesto.

La mamma

tutto qui il problema

la donna che sta nel letto di vostro padre

e voi annunciate il suo regno

e sotto la barba avete facce

di sanluigi del neo-capitalismo

tutte le tare dei Gonzaga in quel volto affilato

tutte le tare della borghesia nel vostro

lui cresciuto tra i nani e i buffoni

tra i gobbi e gli impotenti

distillato dal malfrancese

e fu santo perché mai guardò in faccia sua

[madre

che era donna

e voi la guardate in faccia e pensate

che è una troia se sta nel letto di vostro padre

perché siete più santi di lui anche se non lo

[sapete

e siete cresciuti anche voi

tra buffoni nani e impotenti

tra l'oro e la luce

la barba dunque a rendere tenebrose

le facce di magnaccia delicati

di invertiti

di pervertiti

e Robespierre che non aveva barba

ride di voi della vostra rivoluzione

il suo teschio ride

la sua polvere

la sua estrema omeomeria che più vale

di tutta la vostra vita

cioè del fatto che siete vivi e lui morto

e anche Marx che aveva la barba ride

ride in ogni pelo della sua barba

ride dei gusci vuoti che vi ha lasciato

sonagliere che tintinnano

del seme essiccato del seme spento

e voi ve ne parate come muli da fiera

le scuotete nell'ozio nell'insoddisfazione nel

[disgusto

(il seme vivo di Marx è in coloro che soffrono

che pensano

che non hanno bandiere)

ridono Robespierre e Marx

ma forse anche piangono

dell'uomo non più umano che in voi si realizza

del pensiero che non pensa

dell'amore che non ama

del perpetuo fiasco del sesso e della mente

con cui annunciate il regno delle madri

e that is not what I meant at all

that is not it, at all

non questo non questo

e nemmeno noi volevamo questo

noi buffoni

viziosi

corrotti

noi padri

nemmeno noi

poiché prostituivamo la vita ma intendevamo

[l'amore

prostituivamo la mente ma intendevamo il

[pensiero

la ragione

il sesso

l'uomo e la donna

il maschio e la femmina

il dolore

la morte.

Diceva Talleyrand che la dolcezza del vivere

conoscevano solo quelli che come lui

avevano vissuto prima della rivoluzione

ma dopo di voi (non dopo la vostra rivoluzione

ché non la farete) non ci sarà più

reliquia riflesso eco

della dolcezza del vivere

né di voi resterà storia

se non negli archivi del federal narcotic bureau.

L'uomo umano ha avuto la sua luna

umana dea

quieto lume d'amore

voi avete la vostra

grigia pomice vaiolosa

deserto degno delle vostre ossa non più umane

natura morta con le morte ampolle del senno

ma già non sapete niente

dell'ariostesca fiaba di Orlando

del suo senno recuperato da Astolfo

in un viaggio lunare

del senno sigillato in un fiasco

come il vostro (ma irrecuperabile

è il vostro). Il fiasco natura morta

il fiasco cilecca dell'eros

come Stendhal diceva

in italiano nel testo

Stendhal che voi non conoscete

Stendhal che parla

la lingua della passione cui siete morti.

 

(vv.105, pp.57-60)

 

Come altri due brani lirici di cui ci siamo occupati in precedenza (1), anche questo è anonimo, ma come là, anche qua ci dovrebbero essere degli elementi – o nel corpo dei versi o nel contesto narrativo – che ci aiutino a individuare l'autore.

Sono esili le ragioni che possono indurci a escludere la paternità di Sciascia: 1) la lunghezza del testo, in confronto alla brevità di quelli presentati nella raccolta giovanile La Sicilia, il suo cuore, la cui poesia più lunga- la prima, quella che dà il titolo alla raccolta – consta di 25 versi. Ma poiché sono trascorsi circa venti anni, questo argomento non è determinante; 2) dopo la prima raccolta, l'abbandono dell'uso di scrivere versi, a meno che non se ne scoprano inediti nei cassetti; ma finora questa eventualità non ha avuto conferma; 3) la scarsissima punteggiatura (soltanto sei punti fermi), il che pare in contrasto con lo stile sciasciano. Questa maniera di verseggiare ci richiama le tirate di Elsa Morante o di Pasolini (non tutto), per non dire di tanta poesia post-ermetica di protesta e da neoavanguardia; 4) l'uso di un certo linguaggio scurrile del periodo della contestazione, ma non proprio del comune vocabolario sciasciano (ad esempio: troia, impotenti, lue, magnaccia).

Sono elementi oggettivi inoppugnabili ma riconosciamo noi stessi che sono deboli e insufficienti per escludere o contrastare la paternità sciasciana.

Noi riteniamo, per molte altre ragioni più forti, che la lunga satira in versi sia da attribuire allo stesso autore del romanzo Il contesto, in cui si trova.

Le motivazioni qui possono essere più articolate e molteplici, deducibili dall'interno dell'opera in prosa e dagli stessi versi. A p.54 si legge che l'ispettore Rogas, saputo che il direttore della rivista Rivoluzione permanente è ospite dello scrittore Nocio, vi si reca subito. Infatti, “due ore dopo bussava alla villetta di periferia in cui Nocio usava ritirarsi nell'estate, e scrivere ad ogni estate un libro”.

Se la villetta di periferia può corrispondere alla villa in contrada Noce ad un paio di chilometri da Racalmuto, e se l'aggiunta in cui si precisa che il personaggio Nocio si ritirava per scrivervi “ad ogni estate un libro” può assumersi come un esatto dato autobiografico, non c'è difficoltà a credere che il personaggio Nocio adombra lo scrittore Sciascia. Si osservi poi, di passaggio, che il nome d'arte dato alla propria controfigura (Nocio) può senz'altro ess re considerato un denominativo di Noce (latino nuceus), nome della ben nota contrada confinante con la superstrada 640 Porto Empedocle – Caltanissetta. Nome d'arte o villetta, quindi, sono riconducibili allo scrittore racalmutese.

Poco più avanti, a p.56, si legge: “Nocio si alzò, andò alla scrivania, prese dei fogli, tornò a sedere di fronte a Rogas. - Sa che cosa stavo facendo, quando lei è entrato? Stavo rileggendo e correggendo dei versi che ho buttato giù d'impeto, di rabbia, ieri sera. Dei versi! Non ne scrivevo dai tempi del liceo...”.

Poiché si diceva più sopra, non sappiamo dell'esistenza di altri versi dopo quelli inclusi nella raccolta giovanile, anche questo dato – il non avere più scritto versi dall'età giovanile – può considerarsi legittimamente autobiografico. Quelli che ha scritto, quindi, sono recenti, sono, si può dire, contestuali al Contesto (“ieri sera”); per questa loro unità ispirativa e temporale, Sciascia ve li inserisce, e poiché i dati che sta fornendo al lettore sono di facile ricognizione ed identificazione, non ritiene opportuno specificare ulteriormente l'autore. Così, se Nocio corrisponde a Sciascia, era perfettamente legittimo dire che sono versi del suo personaggio, e se sono del personaggio, per proprietà transitiva, sono dello stesso autore.

Nel brano riferito non ci deve sfuggire quella breve battuta esclamativa “Dei versi!”, perché essa contiene non solo una realtà, ma pure uno stupore, lo stupore che il Nostro sia tornato a scrivere versi, e li ha scritti dall'impeto e dalla rabbia. Rabbia contro chi? Contro quei “voi” destinatari di tanta insolita rabbia. Che sono i fanatici seguaci del “Partito Rivoluzionario Internazionale” (p.74), quelli che fanno della Ragion di Partito una Ragion di Stato (p. 117), che bloccano la verità con la menzogna e la stessa rivoluzione con l'assassinio, la morte, la violenza (ivi).

E già prima (p. 56) Nocio aveva detto all'ispettore: “...sono costretto a stare dalla loro parte, dalla parte di Galano che mi mette all'indice. La rivoluzione, capisce? Questa parola,che è solo una parola, mi impegna, mi ricatta, mi unisce a Galano e a quelli della sua risma - Quasi un grido – Li odio!”.

Un altro esclamativo, un altro sfogo e grido di rabbia contro i fanatici della rivoluzione che non si farà mai, e contro lo stesso Galano, segretario del Partito Rivoluzionario, che può corrispondere a uno dei grandi gerarchi del Partito comunista di allora, i duri sostenitori della polemica antisciasciana prima e dopo l'uscita del Contesto.

E' molto credibile che il Nostro, oltre ad impugnare la penna per scrivere romanzi, pamphlets e articoli giornalistici, l'abbia impugnata per stendere una lucida, amara e pungentissima satira in versi (2) contro i barbuti “sanluigi del neo-neocapitalismo”, che nascondono sotto la barba “le tare della borghesia, “le facce di magnaccia delicati / di invertiti / di pervertiti”; contro i “gruppuscoli giovanili che predicavano la violenza come mezzo e come fine” (p. 50) e che, venuta l'estate o la paura di qualche rappresaglia, se ne stavano “nelle ville dei loro padri, sui yacht” (p.53).

Siamo certo, col Contesto, nel tempo, quello vissuto e quello profetizzato, della strategia della tensione, dei cadaveri eccellenti, delle stragi e delle uccisioni di tante illustri personalità, a cominciare dal commissario di Pubblica Sicurezza di Agrigento (1960) Cataldo Tandoj o dal giudice Terranova, per seguire col Procuratore della Repubblica Pietro Scaglione, col vicequestore Boris Giuliano, col Procuratore Capo Gaetano Costa, col giornalista Tullio De Mauro, col generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, con Pio La Torre, segretario regionale del Partito Comunista, e per seguire ancora con l'uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, del giudice Livatino e di tanti altri fino al sindacalista D'Antona e al professore Marco Biagi, se è vero come è veramente credibile, quello che disse lo stesso Sciascia in un'intervista: “Non avrei immaginato che stavo facendo delle profezie” (3) con la conferma di quanto lo scrittore scrive a conclusione della Nota: “ho cominciato a scriverla – questa parodia – con divertimento, e l'ho finita che non mi divertivo più”.

Senza dubbio, è cosa credibilissima.

Altre considerazioni sono meno forti a favore dell'attribuzione a Sciascia della satira in questione; possiamo derivarle dall'interno di essa stessa: la presenza di Marx, di Robespierre, di Talleyrand, dell'Orlando e Astolfo ariosteschi e soprattutto di Stendhal (con triplice ripetizione a breve distanza), che rientrano perfettamente nelle conoscenze e nella formazione del Nostro, nelle sue predilezioni: Stendhal è un punto fermo nella cultura di Leonardo Sciascia (4), per cui può orgogliosamente dire ai destinatari della sua satira “Stendhal che voi non conoscete” perché “siete morti”, mentre lui parla, continua a parlare, “la lingua della passione”, della vita al tempo della “desertificazione ideologica e ideale che in Italia era solo agli inizi”, come precisò lo stesso scrittore racalmutese (5).

Così è di Sciascia come di Robespierre e di Marx il pianto per “l'uomo non più umano”, per il “pensiero che non pensa”, per “l'amore che non ama” e anche per il “fiasco del sesso”, e per l'annunciato “regno delle madri” dell'arrogante femminismo, riconducibili alla desertificazione ideologica del suo tempo e dei suoi avversari.

Tutta la satira, dunque, tra consuetudini lessicali (squagliano, impostura, ragione ecc.), innovazioni linguistiche (le idee-spray, il neo-neocapitalismo) e stilistiche (versi ipermetri accanto a parole isolate, annullamento della comune punteggiatura), il suo bilinguismo (6), tutta la satira, dicevamo, si presenta densa di umori, di attacchi, di denunzie politico-ideologiche, di ammissioni (“nemmeno noi volevamo questo”) e contrapposizioni – voi “cresciuti anche voi/ tra buffoni nani e impotenti” e noi che “intendevamo il pensiero/ la ragione/ il sesso/ l'uomo e la donna/ il maschio e la femmina/ il dolore/ la morte”.

Certo, l'attacco è tutto rivolto a quel “voi” analizzati “alla luce di schemi freudiani” (7) e più volte ironizzati perché predicano una rivoluzione che non faranno mai, perché non lasceranno traccia nella storia se non negli archivi del “federal narcotic bureau” e perché sono “gruppuscoli che predicano la violenza come mezzo e come fine” e che forse sono ben foraggiati per seminare, gratuitamente, panico stragistico e terroristico. Tutti metodi ben lontani dal pensare e fare politica del Nostro.

Sarebbero tutti qui dentro i motivi ideologici della presenza di una satira in una narrazione poliziesca.

Anche la tentazione di scrivere versi forti e pregnanti, dove un pizzico di enfasi oratoria non guasta ma fa lievitare di più l'umor nero, l'incalzare fustigativo, l'ironia (“la mamma la mammail gelato di crema”) e il sottile umorismo (“ma già non sapete niente/ dell'ariostesca fiaba di Orlando”).

Buttato giù di getto quel pezzo anomalo e inconsueto, l'acuto moralista non volle tenerlo nascosto nel cassetto, né sarebbe stata giustificata una sua pubblicazione isolata. Trovò così felice espediente di attribuirlo a un suo personaggio per sfuggire all'apparente incursione soggettiva, e di inserirlo in un'opera di più vasta rappresentazione della realtà contemporanea.

Un testo nel contesto e dentro lo scherzo parodistico di una graffiante contestazione del conformismo antiborghese, del dogmatismo politico, della verità politica sempre rimossa e irraggiungibile.

Nella seconda parte del colloquio, cioè alla ripresa di esso subito dopo i versi, alla domanda dell'ispettore Rogas se li pubblicherà, lo scrittore Nocio risponde: “Vuole scherzare? Già mi segnano a dito come reazionario: se metto fuori una cosa simile, ci resto sotto: una pietra tombale, un epitaffio”.

Anche questo particolare ci riconduce a Sciascia e all'accusa di essere un reazionario già dal Consiglio d'Egitto: un reazionario lui, uomo di Sinistra e all'interno della Sinistra anche dopo le dimissioni da parlamentare!

Un altro particolare a vantaggio della identità Nocio-Sciascia, affiora subito dopo con la domanda se ha letto Pascal. Riemerge ancora una predilezione del nostro scrittore che, anche per la opportuna disquisizione che ne segue sul credere in Dio come una scommessa, non può fare a meno di attribuirlo alla sua controfigura.

Ma seguitando a leggere questo paragrafo, poco più avanti (p.64) ritroviamo l'accusa spietata di galano (“sostengo che sei uno scrittore borghese”), lo sbalordimento di Nocio (“Uno scrittore borghese, io?”) e poi il rincalzo ancora di Galano (“sei uno scrittore borghese, sei borghese, vivi da borghese, mangi, dormi e ti diverti da borghese”) e le reazioni di Nocio (“Non sono borghese – gridò Nocio - “Mangi come me, proletari salariati ti servono come servono me, dormi in un letto con cortine come il mio”) con le ulteriori reciproche accuse.

Queste due pagine (64-65) sono davvero disgustose sul piano del presunto modus vivendi et agendi di due personaggi di Sinistra che si lanciano reciproche accuse velenose, disvelando spudoratamente cose che sarebbe meglio tacere.

Sul piano narrativo e letterario, invece, Sciascia qui sta facendo sì un'operazione impietosa, ma quanto mai meritoria per l'azione di denudamento di comportamenti, animosità e malignità. Ci chiediamo, allora, perché Sciascia scrittore è tanto impietoso verso quella che consideriamo la sua controfigura? (“Il mento di Nocio tremò, come di un bambino che stia per piangere. Ma forse era collera”; “Era sull'orlo di una crisi”) (8).

Ma il nostro stupore aumenta quando, nel corso del colloquio di cui stiamo parlando, si riscontrano battute irriguardose di questo genere: “Vilfredo, non essere ridicolo – intervenne la signora – 'la moglie di Vilfredo Nocio.-”Chiudi il becco – disse Nocio – Ecco la dimostrazione immediata di quanto sei reazionario: “chiudi il becco”. Perché sono donna, perché sono tua moglie...” - “Perché non hai una bocca ma un becco da pappagallo, da gazza ladra – disse ferocemente Nocio”).

Anche questo stralcio di dialogo ci disgusta e ci delude: se puntavamo sulla identità Nocio-Sciascia, queste insolenze tra marito e moglie, che non corrispondono affatto alla verità umana, morale e comportamentale dell'uomo Sciascia nell'ambito sociale e in quello familiare, rischiano di far crollare la tesi della proposta identità.

 

Note

(1)     Uno solo è stato pubblicato, cfr.N.AGNELLO, Una citazione anonima nel Giorno della civetta, in “Gazzetta di Sicilia”, 7 novembre 1997.

(2)     “Vi si riconosce Sciascia, pensoso, autobiografico” dice anche L.CATTANI, in Leonardo Sciascia, Le Monnier, Firenze, 1980, 93.

(3)     Citazione presa da M.COLLURA, Il maestro di Regalpetra, Longanesi, Milano, 1996, 213.

(4)     Per il rapporto tra Sciascia e Stendhal, vedi il saggio di R.RICORDA, in Omaggio a Leonardo Sciascia, Atti di un convegno, Agrigento, 1990.

(5)     Cfr. M.COLLURA, Il maestro di Regalpetra, cit., 208.

(6)     I due versetti in inglese (60-61), letteralmente possono tradursi così: “ciò non è affatto ciò che intendevo,/ non lo è affatto”.

(7)     Cfr. C.AMBROISE, Invito alla lettura di Sciascia, Mursia, Milano 1974, 138

(8)     Anche L.CATTANI dice (p.97) che Nocio ne esce “giudicato (scettico, antidogmatico, chiaroveggente forse, ma cauto nell'esporsi...)”.