Cartella N. 8 - Natale 2002: Francesco Nasca / Rodolfo Ceccotti: "Il vento libera la luna"

Passeggiate siciliane con Leonardo Sciascia

L’acquaforte e Leonardo Sciascia, immagini per me inseparabili nel ricordo. Devo infatti al mio amore per le acqueforti il primo incontro con Leonardo Sciascia. Frequentavo allora da qualche tempo la galleria d’arte “Arte al Borgo” in Palermo specializzata nella grafica, gestita da due pittori e incisori Maurilio Catalano e Raffaello Piraino- il primo tendente al consapevole naïf, il secondo al Liberty- dove incontravo l’avvocato Angelo Perna (con il quale condividevo la passione per le acqueforti di Luigi Bartolini) già da tempo assiduo amico di Sciascia. Fu appunto l’avvocato a farmene fare la conoscenza proprio durante una mostra di incisioni di Bartolini, nel lontano 1969; e da allora nacque la mia amicizia con Leonardo Sciascia, grande appassionato di acqueforti specialmente di quelle di Bartolini. A quel tempo avevo letto alcuni dei suoi lavori – oltre l’articolo “Paese con figure” pubblicato su Galleria del 1949 – e cioè Le parrocchie di Regalpetra, Il Giorno della civetta, Il Consiglio d’Egitto, e le Feste religiose in Sicilia nella edizione Leonardo da Vinci, e ne ero rimasto molto interessato.

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Titolo: Il vento libera la luna

Testo di: Francesco  Nasca

Autore: Rodolfo Ceccotti

Misure Lastra: cm 25x35

Condividevo molte delle sue opinioni, mi attraeva il suo stile asciutto, essenziale (stendhaliano), la sua visione del mondo, in particolare il suo elevato senso della giustizia e della legge, cosa peraltro importantissima per me che ero magistrato (“giudice che mai offrirebbe spunto per un racconto-pamphlet che gli offre il suo amico Leonardo Sciascia”, secondo l’affettuosa dedica da lui scritta sulla copia de Il contesto che mi diede).
Ignoravo però la sua grande passione per le incisioni, il suo essere "l’appassionato incompetente” delle stampe come egli simpaticamente amava dichiararsi.
Così da allora la mia amicizia per Sciascia fu definitiva e solidissima: ma ci davamo rigorosamente del lei, il lei di rispetto, io lo chiamavo professore , lui mi chiamava giudice. Da quel tempo, con l’amico Angelo Perna, divenimmo gli inseparabili amici di Sciascia. In quegli anni, nel primo pomeriggio, con l’avv. Perna andavo a casa di Sciascia e poi con lui –e spesso si accompagnavano a noi il poeta e scrittore Stefano Vilardo, molto amico di Sciascia, o Aldo Scimè altro amico carissimo di Sciascia- andavamo in giro per gli antiquari di corso Alberto Amedeo o per le librerie antiquarie della città, fermandoci più spesso nella galleria Arte al Borgo (cui era annessa una stamperia per la grafica) frequentata da artisti, tra i più assidui, quando si trovavano a Palermo, Giancarlo Cazzaniga che tante stampe vi incise, Tono Zancanaro, Domenico Faro, Bruno Caruso, Renato Guttuso, Edo Janich, Piero Guccione, e vi si recavano spesso il poeta Ignazio Buttitta, lo storico medievista Francesco Giunta, lo storico Francesco Renda, l’italianista Natale Tedesco, il pittore Aldo Pecoraino e il fratello, lo scultore Mario Pecoraino, tutti amici molto stimati da Sciascia. Da lì poi si passava di frequente alla galleria “La tavolozza”, ma quasi sempre si andava alla casa editrice Sellerio che allora e per un certo tempo faceva pure mostre di arte specialmente di grafica.
La conversazione di Sciascia che in tali gallerie si svolgeva era amabilissima e stimolante, ci si sentiva accresciuti, era il mio “auctor”; ed era poi incredibile la sua capacità saviniana delle citazioni, per memoria e precisione.
Ma noi tre amici si aveva anche il piacere di andare in auto per i paesi vicini alla città per rifornirci di acqua di sorgente e alla ricerca ora di pane casereccio ora di verdure (“spuntature di cavolo”, con le quali si prepara una deliziosa minestra), tanto che un amico spiritoso ci chiamava gli amici del cavolo. Ma più di tutto erano belle le gite in auto durante le quali si parlava degli eventi politici del tempo e dell’impegno civile di Sciascia, o di letteratura o di stampe. Ricordo la disputa su chi degli acquafortisti contemporanei fosse il più grande, io per la verità optavo per Morandi malgrado la mia passione per L. Bartolini, e Sciascia e l’avv. Perna invece vi anteponevano Bartolini che, diceva Sciascia, era più carico di viva e calda umanità. Ricordo ancora quella volta in cui si parlò del suo rapporto con Pirandello, Sciascia diceva che per lui era stato un padre prima respinto e rifiutato, e poi per sempre ritrovato.
Non posso dimenticare poi una gita a Monreale, era venuto con noi tre Fabrizio Clerici, molto amico di Sciascia, e visitammo il duomo normanno e il chiostro annesso, ove Clerici restò affascinato dal dispiegarsi delle eleganti colonnine viste nella dorata luce del tramonto di maggio. Sentiva forse il cantico delle colonne, “Douces colonnes, aux / chapeaux garnis de jour…”.
O le gite alla Noce, nella casa di campagna di Leonardo Sciascia, dove si andava spesso le domeniche. La contrada Noce di Racalmuto è una amena zona di colline dell’agrigentino, verdi qui e là di mandorli, di vigneti, di ulivi, fichi e carrubi e qualche orto, con case rade e con sparsi pini e cipressi i quali a gruppi o isolati svettano, e con un filo di mare non sempre visibile, e dai bellissimi tramonti rossi e oro che dalla casa di Sciascia si possono godere. Bellissime immagini della Noce sono state date da acqueforti di Giancarlo Cazzaniga e di Edo Janich, quella del primo allegata al primo fascicolo de “Gli amici della Noce”, pubblicazione che Sciascia fece stampare, fuori commercio, per gli amici. La Noce era amatissima da Sciascia che l’ha descritta con tanto amore nel suddetto primo fascicolo de “Gli amici della Noce”, e ivi trascorreva l’estate e scrisse molti dei suoi libri.
Ma all’amore della letteratura e alle stampe egli univa una bella abilità di cuoco, preparava squisiti primi piatti, pasta con salsa di asparagi selvatici, pasta al tonno sott’olio. Questo tonno era quello preparato artigianalmente dal signor Marino di Porticello, strenuo ammiratore di Sciascia e da questi stimatissimo per la sua arte nel lavorare il tonno.
In quella casa di campagna, semplice ed ospitale anche per la presenza dell’affettuosa signora Maria, l’aura di Leonardo Sciascia era tangibile, il suo tavolo di lavoro, i suoi libri, le librerie accanto al caminetto, davano il senso di lui, ne riflettevano il suo essere: ve li ho ritrovati, quando sono ritornato nel suo studio con la finestra aperta sul paesaggio a lui tanto caro.
Alla Noce spesso convenivano giornalisti, scrittori, pittori e amici: Enzo Consolo, Gesualdo Bufalino, Matteo Collura, il fotografo Ferdinando Scianna, Piero Guccione e tanti altri. Ricordo una gita alla Noce ove ci portò lo sloveno peintre-graveur Vladimir Makuc, autore di molto belle acqueforti nere e a colore, felice di condurre il suo amico ed estimatore Sciascia con l’automobile nuova fiammante acquistata in Italia (allora la Slovenia era molto povera). Altra bella gita alla Noce che ricordo fu quella che facemmo Ferdinando Scianna, l’avv. Perna ed io.
Quell’estate Ferdinando Scianna ed io partimmo da Porticello (frazione marinara di S. Flavia) con del pesce freschissimo e trascorremmo con Sciascia una giornata con conversazioni leggere, piacevoli e stimolanti: ne restano le foto scattate, bellissime, da Ferdinando, una delle quali, che ritrae Sciascia e me, tengo incorniciata sulla parete dietro il mio tavolo di lavoro.
Fui ,ricordo, sorpreso e felice quando appresi la grande stima che Sciascia aveva per l’amatissimo Alberto Savinio (allora Sciascia incominciava a promuovere un vasto interesse per Savinio):scrittore che dagli anni quaranta amavo avendo letto Infanzia di Nivasio Dolcemare. Fu in quel periodo che Sciascia fece pubblicare dall’editrice Sellerio Torre di guardia e Souvenirs nella collana “La civiltà perfezionata” (ai cui testi era allegata ,al primo, un’acquaforte di Jean Pierre Velly, e al secondo, un’acquaforte di Fabrizio Clerici).
Mi dispiaceva però che Sciascia non apprezzasse più tanto Conversazione in Sicilia , libro di Elio Vittorini che per me quando lo lessi durante la guerra nel 1943 aveva significato la scoperta della resistenza all’ingiustizia e la speranza verso un mondo nuovo forse ancora mitico.
Non condividevo nemmeno il suo poco interesse per Proust e per James Joyce, i quali io avevo fin da giovane grandemente ammirati. Del primo, con Savinio, egli diceva che aveva “la frase lunga e il pensiero corto”, e potevo concedergli la prima parte del suo giudizio, non la seconda. Quanto a quello su Joyce, non per caso Sciascia teneva appeso nel suo studio in città un bel disegno a china di Paul Flora, il quale si riferiva al famoso monologo di Stephen Dedalus, nell’Ulisse, rappresentando James Joyce che passeggiava lungo la spiaggia camminando su tante lettere alfabetiche in luogo dei sassolini e delle conchiglie scricchiolanti sotto i passi di Stephen Dedalus.
Ma a Sciascia mi accomunava l’amore per Stendhal (anche se io amavo altrettanto e forse più Flaubert), il quale per me risaliva agli anni quaranta a seguito della lettura de Il rosso e il nero e che la frequenza di Sciascia, cultore profondo e raffinato di Stendhal, mi consolidò, tanto che poi lessi tutte le sue opere, e con Sciascia partecipai alla iniziativa di un medaglione di bronzo raffigurante la testa di Stendhal (con la scritta Henri Beyle milanese) molto bene eseguito dallo scultore Mario Pecoraino. E infine mi accomunava a Sciascia l’ammirazione per Pascal.
Quante altre fondamentali letture debbo a Leonardo Sciascia oltre alla Certosa di Parma: Borges, Rensi (l’appassionato dell’occhialaio Spinoza), Paul Louis Courier, Montaigne, Borgese, Dürrenmatt, De Roberto, Brancati, Jules Renard, e la Storia della Colonna Infame, arricchita dalla incisiva prefazione di Leonardo Sciascia.
Grazie a lui poi ho conosciuto e mi sono appassionato all’opera grafica e a quella pittorica di Mino Maccari nonché alla rivista Il selvaggio, il cui robusto umorismo toscano piaceva tanto a Sciascia.
Del pari a questi devo l’interesse e la stima per Leo Longanesi, delizioso scrittore e incisore.
Conversazione che mi è rimasta impressa nella memoria è poi quella di Sciascia sul racconto di Tolstoĵ che tanto a lui piaceva: La morte di Ivan Il’jĉ, nella traduzione di Tommaso Landolfi, racconto che mi impauriva. Sciascia sentiva fortemente tale racconto e nel 1988 ne parlò, e con quale profondità di sentimento, ne Il cavaliere e la morte.
Non posso dimenticare l’ultima volta che vidi Leonardo Sciascia, qualche giorno prima che ci lasciasse.
Malato, a letto, mi firmò la dedica su una copia del libro Una storia semplice appena uscito, con una grafia incerta della mano ormai non tanto ferma, e si scusava della cattiva grafia, tanto che la dolce signora Maria, e anch’io, per rincuorarlo gli dicevamo che era dovuta alla posizione della mano nello scrivere a letto.
Conservo assai caro quel volume come il più toccante ricordo di Leonardo Sciascia.

La bella incisione “Il vento libera la luna” di questo Omaggio a Leonardo Sciascia è di quelle che piacevano a lui. L’autore di essa è il maestro Rodolfo Ceccotti, che Leonardo Sciascia ebbe modo di stimare tanto da divenirne amico e proporne nel 1984 una mostra nella allora più prestigiosa galleria d’arte di Palermo, “La tavolozza”.
L’arte del paesaggista Ceccotti, che si esprime con nobili ascendenze tra Turner e Constable, Manet e Friedrich, Borrani, Sernesi e Fattori, nelle incisioni raggiunge risultati altrettanto straordinari. La tecnica da lui preferita e praticata con eccellente manualità, della combinazione tra acquaforte e acquatinta, gli consente  di raggiungere gli effetti della vaporosità delle nuvole e del cielo, nel contrasto con i neri profondi degli alberi e della campagna, tanto da esprimere la natura spirituale del paesaggio (si vedano le incisioni “Nuvole attraverso i rami”, “Cipressi nel pianoro”, ”Cielo di Maremma”, ”Verso Volterra”). L’incisione “Il vento libera la luna” pertanto ben potrebbe figurare a illustrazione del canto “Alla luna”: “O graziosa luna……E tu pendevi allor su quella selva/ siccome or fai, che tutta la rischiari”/. E certamente non sarebbe dispiaciuta a Giacomo Leopardi.

Francesco Nasca

NOTA BIOGRAFICA E CRITICA SULL'ARTISTA 

Rodolfo Ceccotti, nato a Firenze nel 1945 si dedica alla pittura fin da ragazzo. Gli anni sessanta, nei quali frequenta il liceo artistico, sono un momento di formazione decisivo, contrassegnato dalla conoscenza di poeti, quali Alfonso Gatto e Carlo Betocchi, e dalla frequentazione di numerosi artisti fiorentini. Una mostra milanese degli inizi del ’70 dedicata alla pittura inglese lo porta a rintracciare in Constable e Turner due fonti della sua ispirazione che coabiteranno con altre, da Fattori fino a Friedrich, per approdare ad una pittura di paesaggio dove la luce domina gli spazi. Nel 1979 ,cinque anni dopo la prima personale, fa seguito una prestigiosa antologica al Centro Culturale Olivetti di Ivrea, tenuto a battesimo da Carlo Ludovico Ragghianti, che lo chiama poco dopo a tenere il corso di Disegno all’Università Internazionale dell’Arte di Firenze,impegno che continua tutt’oggi. Nel 1984 conosce Leonardo Sciascia che lo include tra i cinque nomi della mostra “Artisti e Scrittori” alla Rotonda della Besana di Milano e dichiara “ E’ la scelta di chi ama avere intorno a sé qualcosa di loro, di chi ogni giorno posa gli occhi su qualche loro quadro e ne trae una certa gioia, quasi un aiuto a vivere ”. Dal 1996 assume la direzione didattica della Scuola Internazionale per la Grafica d’Arte “Il Bisonte” di Firenze, proseguendo la sua carriera artistica tra pittura ed incisione originale. Nel 2000 vince, ex-aequo con Philippe Mohlitz, la seconda edizione del Premio Leonardo Sciascia amateur d’estampes.


….Ceccotti: penso a certe sue esperienze del colore che, in termini di grafica, sono tra i raggiungimenti più sicuri che si siano toccati oggi in Italia. Mi limito a dire che in questa sezione la serietà di un artista diventa, in quanto tale, originalità. La capacità di mano non conosce ostacoli, specialmente nella combinazione dell’acquaforte con l’acquatinta, e s’identifica col momento della verità, quando in tanti altri casi, anche di pittori valenti, la grafica è il momento del trucco, se non addirittura dell’insipienza o, nell’eventualità migliore, della mera aleatorietà.

Luigi Baldacci


Questi cieli semoventi e queste nubi di incessanti metamorfosi più si apprezzano, se da Ruysdael a Constable, da de Koninck a Monet, si ricordano gli artisti che prima del Ceccotti hanno cantato i puri cieli, le loro infinite odissee.

Carlo Ludovico Ragghianti

..in tutte le opere di Ceccotti… ciò che intride ogni cosa, scorre sulle pianure, scende dai cieli, dà il tono alla poesia e crea a questi paesaggi come una risonanza interiore, è il sentimento della solitudine. Come se gli uomini fossero scomparsi e sulla scena del mondo la luce dilagasse incontaminata: e come se la nostra solitudine, di Ceccotti che dipinge e di noi che amiamo quello che dipinge, si riflettesse in quelle scene e quella luce

Roberto Tassi

COLOPHON

L’acquaforte-acquatinta originale contenuta in questa cartella, ottava della serie "Omaggio a Leonardo Sciascia", è pubblicata a cura  dell’Associazione degli Amici di Leonardo Sciascia. L'acquaforte di cm  25 x 35  è stata impressa su carta Magnani di 310 grammi, colore avorio, dai torchi di  Vincenzo Burlizzi a Firenze  in 100 esemplari  di cui 80 in numeri arabi, destinati ai  Soci, 10 in numeri romani e 10 prove d’autore riservate all' Artista.