Due donne di Sicilia

In una nota di Nero su nero, risalente alla campagna per il referendum sul divorzio della primavera del 1974, Sciascia racconta di un comizio in un paese della Sicilia interna. L’oratore cerca di convincere l’uditorio della necessità del divorzio, e lo fa portando degli esempi indiscutibili, ma viene sempre interrotto da una vecchia “asciutta, ferrigna, un’aria aggressiva”, la quale ha una sua invariabile soluzione, che rende superfluo il divorzio: “Si ammazza”. Ogni argomentazione dell’oratore risulta inutile, e Sciascia così chiude il suo resoconto dell’episodio: “Il comiziante si serba, come ultimo colpo, come ultima speranza, il caso dell’incesto. Quando l’espone, si rivolge infine alla vecchia – E in questo caso che si fa, si ammazza? – E la vecchia, prontissima – Prima si fa una grande festa in casa, per non far capire niente alla gente: e poi si ammazza”.

 

   Fa paura, la determinazione di questa donna, soprattutto se si considera il potere – vero e proprio matriarcato – che in Sicilia certe donne esercita(va)no nell’ambito familiare, e di cui Sciascia ha più volte scritto. Ma qualcosa stava cominciando a cambiare, e anzi, nella mentalità di alcune donne siciliane, era già cambiato. Circa dieci anni prima del referendum sul divorzio, nel dicembre 1965, una ragazza diciottenne di Alcamo, Franca Viola, fu rapita in casa da tredici individui. Il capo del manipolo, rampollo di una famiglia mafiosa, si era invaghito di lei, e con l’aiuto dei complici la tenne prigioniera per otto giorni in una casa di campagna. Pensava che Franca, ormai ‘disonorata’, lo avrebbe sposato. Il matrimonio, tra l’altro, oltre a costituire il raggiungimento del suo obiettivo di piccolo don Rodrigo, era necessario per estinguere il reato di cui lui e i suoi bravi si erano resi responsabili. L’articolo 544 del codice penale, poi abrogato nel 1981, recitava infatti: “Per i delitti di violenza carnale il matrimonio tra l’autore del reato e la persona offesa estingue il reato stesso, anche per gli eventuali complici; in caso di condanna il matrimonio ne cessa l’esecuzione e gli effetti penali”.
   Il rapitore non aveva immaginazione. Non gli passò minimamente per la testa che Franca potesse dirgli “no”. Lo fece, appoggiata in pieno dal padre. Rifiutò il matrimonio ‘riparatore’, la vicenda finì in tribunale, e il rapitore-violentatore fu condannato a undici anni di reclusione e i complici a pene minori. Per alcuni anni Franca e la sua famiglia furono costretti a vivere sotto scorta.
   Fu così che una semplice ragazza siciliana diventò una grande donna. Capita spesso di leggere che dietro ogni grande uomo c’è una grande donna. Può verificarsi anche il contrario. Nel caso di Franca Viola, i grandi uomini sono stati addirittura due. Il primo fu il padre, un contadino di idee superiori alla sua istruzione, al suo ambiente e al suo tempo; il secondo fu il giovane che decise di sposarla, pienamente consapevole che agli occhi di molti Franca era una ragazza ‘disonorata’, e nonostante il rapitore-violentatore avesse minacciato di ucciderlo, se l’avesse sposata.
   Al referendum del 12 maggio 1974 votò l’87,7 per cento degli elettori, e il “no” all’abrogazione del divorzio vinse con il 59,3 per cento. In sette delle venti regioni italiane – Trentino Alto Adige, Veneto, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria – i “sì” prevalsero sui “no”. Sia pure per poco – il 50,5 per cento – la maggioranza degli elettori siciliani votò “no”.
   L’8 marzo 2014 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha insignito Franca Viola dell’onorificenza di Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Euclide Lo Giudice