Leonardo Sciascia al concorsone

Si usa dire che l’istituzione scolastica riveste un ruolo determinante per la sopravvivenza di un autore nella memoria collettiva; se gli insegnanti nel periodo degli studi e della formazione hanno frequentato e apprezzato i libri di uno scrittore, facilmente li proporranno alla platea più vasta e forte di lettori di ogni paese: gli studenti.

Nel 2016 ha avuto luogo il concorso per diventare insegnanti legato alla legge 107/2015, la riforma della “Buona Scuola”. Non senza sorpresa, il sesto quesito della prova scritta di italiano riguardava proprio Leonardo Sciascia, eccolo qui:


 

Quesito 6 - «Nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende», scriveva Leonardo Sciascia in La strega e il capitano e in Porte aperte. Il candidato evidenzi la rilevanza della didattica della letteratura ai fini dell’orientamento formativo dello studente, ispirandosi alla lezione di Sciascia e di quanti hanno sostenuto il valore educativo della letteratura. Opportuno è anche il riferimento a quanto espresso nelle Linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR 4232/2014).

 

Il riferimento è inesatto: la frase è scritta ne La strega e il capitano ma non in Porte aperte. L’errore c’è, innegabilmente, ma tutto sommato è veniale e dovuto alla matrice comune di due passaggi dei libri di Sciascia in questione, e l’origine si trova ne Il vecchio con gli stivali.

 

Nel racconto, considerato tra le cose migliori di Vitaliano Brancati, vanamente si invoca il soccorso di un canto di Milton o di Leopardi sulla libertà per un modesto e pacifico impiegatuccio, affinché quest’ultimo possa riconoscere dentro di sé l’avversione che nutre verso il fascismo e insieme argomentarla nel confronto con gli altri. Analogamente, ne La strega e il capitano, Sciascia si rammarica che un canto d’amore non abbia illuminato un “nefasto cretino”, impedendogli di prendere per il malevolo artificio di una “strega professa” la passione che provava per una povera serva. Il caso del “piccolo giudice” di Porte aperte è differente: egli non è privo di cultura letteraria e proprio grazie a essa, diversamente dall’impiegatuccio di Brancati, si rivolta apertamente contro il fascismo trionfante e rifiuta che si possa accettare l’impiego della sentenza capitale nei confronti di un pluriomicida reo confesso, nonostante l’opinione pubblica, i colleghi e la sua stessa moglie lo reclamino all’unisono.

 Restituiti ai rispettivi contesti, i passi accennati acquisiscono un significato chiaro: la letteratura insegna agli uomini la libertà, l’amore e la giustizia. Isolata dal ragionamento di cui è coronamento e conclusione, la frase di Sciascia assume un carattere sentenzioso e apodittico, ma il lettore attento può comunque cogliervi alcuni tratti fondamentali dello stile e del pensiero dell’autore. Proviamoci: «Nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende». La sintassi è marcata, l’ordine naturale degli elementi della frase è alterato con il fine di obbligare il lettore a soffermarsi sulle parole, imponendo una seconda e magari una terza lettura del passo. Nella stessa direzione si colloca la scelta lessicale del verbo “apprendere” in luogo di “insegnare”, più piano e immediatamente comprensibile; il lettore è forzato a tornare sulla frase, a spendere del tempo per soppesarla e di conseguenza a prendere posizione. A suffragio del ragionamento, si potrebbe tentare un piccolo esperimento di riscrittura delle poche parole della citazione, e il risultato sarebbe il seguente: «Se la letteratura non glielo insegna, la maggior parte degli uomini non sa nulla di sé e del mondo». Il celebre motto ciceroniano ne risulta modificato: non la storia, ma la letteratura è maestra di vita. In filigrana si intravede un elemento di meditazione che occupò Sciascia per tutta la vita: la riflessione del Manzoni sul legame fra storia e invenzione, fra letteratura e storia, appunto. Sciascia adotta, rinnova e attualizza il modello della Storia della colonna infame, ma acconsente che vi si introduca l’invenzione letteraria sotto forma di divinazione, di intuizione che riesce a illuminare fatti che altrimenti rimarrebbero avvolti nell’oscurità di un insondabile mistero; esempi eminenti di questa pratica sono libri come La scomparsa di Majorana e L’affaire Moro.

Nonostante la citazione fosse inesatta e il passo malamente estrapolato dal contesto originario, il candidato al concorso, ricorrendo a un non semplice esercizio di memoria e di ricostruzione della trama intertestuale sin qui rivelata, avrebbe insomma potuto imbastire un discorso sensato per sfangarsela.

A questo punto si deve chiedere a chi legge di fare un penoso esercizio di immedesimazione nei confronti dell’aspirante docente. Ci troviamo in una grande aula, in compagnia di almeno una cinquantina di candidati fradici di ansia; ognuno dispone di una postazione informatica: monitor e tastiera, e il ticchettare delle dita sui tasti è una roboante, assordante sinfonia che accresce il tormento.

Il quesito è il numero sei, il candidato ne ha già affrontati cinque ed è consapevole che ne rimangono altri due, da sommare ad altrettanti in lingua. A conti fatti dispone di un tempo compreso fra i quindici e i diciotto minuti per mettere insieme una risposta accettabile. Raccoglie le forze e si mette al lavoro, legge la prima parte del testo e ne è confortato: “Sciascia lo so, bene!”. Purtroppo l’effimero sentimento di fiducia si squaglia come neve al sole. La lettura della seconda parte del quesito è un autentico pugno allo stomaco, rileggiamo:

 

Quesito 6 Il candidato evidenzi la rilevanza della didattica della letteratura ai fini dell’orientamento formativo dello studente, ispirandosi alla lezione di Sciascia e di quanti hanno sostenuto il valore educativo della letteratura. Opportuno è anche il riferimento a quanto espresso nelle Linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR 4232/2014).

 

Per un attimo un moto di ribellione possiede il futuro docente, l’animo si gonfia di un pensiero lampeggiante e furente: “Questa è l’antilingua di Calvino, e se fosse ancora vivo userebbe queste precise parole par darne un saggio!”, ma lo spazio concesso a siffatte divagazioni è quello di un battito di ciglia. La strategia da adottare è quella dello studente scioperato ma astuto: egli sa che in ogni docente, in ogni commissario – probabilmente in ogni essere umano – c’è un punto debole, ed è quella forma particolare di amor proprio che chiamiamo vanità. Se lo studente partorisce in uno stile discreto un pensierino che distilli pillole di presunta saggezza ispirate al magistero del docente, la sufficienza è garantita...

Al di fuori del concorsone e al di là dello scherzo, ci si domanda sinceramente quale mente abbia potuto partorire un simile minotauro, che tiene insieme la perla di Sciascia e il paludato e vacuo frasario ministeriale; ma soprattutto non si riesce a immaginare quale risposta ci si aspettasse per una richiesta simile. Si doveva appunto scrivere un pensierino che allineasse i più triti luoghi comuni sul valore educativo della letteratura, sulla imprescindibile lezione di Sciascia, imprescindibile anche se chi al ministero stende i quesiti può prescindere dalla lettura dei suoi libri, visto che li cita in maniera errata.

Chissà se e come Leonardo Sciascia avrebbe commentato il testo ministeriale, che in fondo rappresenta una ennesima consacrazione della sua opera, assurta ormai a classico novecentesco. E l’aspirante docente? Sopravvissuto alla dura prova, si porta appresso una domanda che al limitare fra veglia e sonno di tanto in tanto gli si ripresenta: “Ma al ministero, chi gliel’ha appresa la letteratura?”.

Francesco Bonfanti