Michael Kraus - Le insidie della traduzione

«Il libro Cronachette, a me carissimo, mi fu regalato, anni fa, da un’amica italiana. Dal primo momento sono stato affascinato da questi gioielli, ma, nel corso della lettura, dovevo ammettere di aver capito al massimo la metà dei contenuti. Ho cominciato quindi, più tardi, con una traduzione sistematica, che mi costringesse a riflettere e a capire ogni singola frase. In seguito ho tradotto anche qualche altro testo del genere e soprattutto Morte dell’Inquisitore. Sono stato confortato nel mio lavoro dalla valutazione positiva di uno dei più celebri traduttori tedeschi, Burkhart Kroeber (traduttore di Calvino, Eco, Manzoni), ma, evidentemente, in questo momento non è facile trovare attenzione in qualche casa editrice tedesca».

 

Colui che scrive è Michael Kraus, un singolare ed appassionato cultore di Leonardo Sciascia. Berlinese di adozione, ingegnere/architetto di professione, Kraus ha concluso una carriera di studio e di pubblicazioni, come segretario dell'Accademia delle belle Arti di Berlino. Professore-ospite per un semestre presso l’Università di Firenze, alla fine degli anni Ottanta, ebbe occasione di imparare l‘italiano e di accostare l’opera dello scrittore di Racalmuto. Il bisogno di comprendere e di approfondire alcune tematiche, da lui particolarmente predilette, lo ha portato ad un intenso lavoro di traduzione, corredato da illustrazioni e da un robusto apparato di note esplicative, che rivelano una cultura vasta ed una instancabile curiosità. Un impegno lungo e rigoroso, motivato dalla passione e dal diletto, come lui stesso afferma.

Portiamo alla conoscenza dei nostri lettori un resoconto di questa singolare esperienza, in cui si raccontano le impressioni, le difficoltà, i dubbi, le piccole soddisfazioni di chi si è cimentato per lungo tempo in un colloquio quotidiano con un autore non facile, a volte inafferrabile.


 

 

Parte prima

Le impressioni del lettore e l'avventura del traduttore

 

Leonardo Sciascia rivendicava il diritto di essere «saggista nel racconto e narratore nel saggio»: produsse, quindi, non solo romanzi e racconti, ma anche un gran numero di saggi, interventi critici, polemiche e prefazioni, opere tutte in cui i confini di genere sono molto labili.

Da questa concezione dell'opera letteraria deriva la pubblicazione di testi come gli Atti relativi alla morte di Raymond Russel (1971), tradotto in tedesco nel 2002 con il titolo Der Tod des Raymond Russel e, soprattutto, di due libri che lo stesso Sciascia considerava tra i suoi più importanti: La scomparsa di Majorana (1975), (tradotto nel 1978 con il titolo Der Fall Majorana e ripresentato nel 2003 con il nuovo titolo Das Verschwinden des Ettore Majorana) e Morte dell’inquisitore. Questo libro interessantissimo e gravido di conseguenze – riguardante Fra Diego La Matina da Racalmuto, un uomo di tenace concetto, che, divenuto vittima dell’In­quisizione, uccide, durante un interrogatorio durissimo, l’inquisitore e finisce sul rogo – non è stato mai pubblicato in lingua tedesca, forse proprio perché si occupa di un tema sempre attuale e presente ovunque nel mondo: quello dell’interrogatorio, «dell’eterna e sempre più raffinata inquisizione». Nella prefazione alla ristampa del 1967 Sciascia, infatti, scrive:

Altre inquisizioni l’umanità ha sofferto e soffre tuttora; per cui, come dice il polacco Stanislaw Jerzy Lec, la prudenza vuole che non si parli di corda né in casa dell’impiccato né in casa del boia.

Se si considera la produzione sciasciana dopo il 1978, si può notare come sia meno frequente la pubblicazione di romanzi puramente “fittizi” e prevalgano altre forme di scrittura. Sciascia stesso spiega questa scelta in un’intervista del 1982:

Se dieci anni prima mi avessero detto che Moro avrebbe cambiato la mia vita, avrei riso: invece è stato così. Dopo la morte di Moro io non mi sento più libero di immaginare. Anche per questo pre­fe­risco ricostruire cose già avvenute: ho paura di dire cose che possono avvenire.

Tale paura è stata suscitata probabilmente, come documenta un’intervista pubblicata dal giornale «La Repubblica» nel 1979, dal fatto che la realtà inaspettatamente appariva come proiezione di ciò che Sciascia aveva immaginato: basti pensare a Todo modo nel 1974 e a Il contesto. Una parodia del 1971, nel quale sembra quasi che lo scrittore abbia presagito la congiura della loggia Propaganda Due (P2), con le sue trame golpiste.

Dopo L’Affaire Moro, quindi, uscito nel 1978 e completato nel 1988 (traduzione tedesca nel 1979 e poi nel 1989), Leonardo Sciascia pubblica molte raccolte di saggi, di articoli e storie “non fittizie”, nelle quali ricostruisce «cose già avvenute». Di tutto questo non é stato tradotto molto in lingua tedesca, se si fa eccezione dei pochissimi testi che si possono trovare, per esempio, nel volumetto Mein Sizilien/La mia Sicilia del 1995. Le ragioni di questa lacuna possono essere diverse: contrariamente alla situazione italiana o francese, in Germania Sciascia non è mai stato riconosciuto come uno degli scrittori italiani più importanti della sua epoca. Viene stimato come giornalista, come scrittore di gialli; non sempre si pone in rilievo e si apprezza la qualità letteraria dei suoi scritti. Non è chiaro se questo abbia qualcosa a che vedere con la qualità insufficiente delle traduzioni Günter Berger chiama Sciascia apertamente un »Verdeut­schungsopfer«, una vittima della “tedeschizzazione” o se invece il trattamento poco scrupoloso delle sue opere sia dovuto alla mancata considerazione del valore letterario dei testi. Infatti, qualora questo valore venga misconosciuto o addirittura negato, può trovare una spiegazione la superficialità con cui, in qualche caso, si è affrontata la traduzione: tutto sembra facile e non si intravvede il rischio della banalizzazione.

Le strutture sintattiche elaborate, il ritmo delle frasi, la scelta specifica delle parole, l’ab­bondanza delle allusioni e delle citazioni, spesso nascoste, rappresentano un’insidia formidabile per il traduttore. In un impianto linguistico e sintattico molto elaborati, che evoca talora andamenti classici, soprattutto liviani, fanno irruzione inaspettatamente locuzioni di ogni giorno, modi di dire popolari, per lo più siciliani; il tutto amalgamato da un umorismo sottile, spesso amaro e sarcastico. Se già queste caratteristiche stilistiche rendono molto arduo il compito del traduttore, un pericolo ulteriore è rappresentato dal ‘gusto delle combinazioni’, ben evidenziato da Giulio Nascimbeni nel «Corriere della Sera» del 5 giugno 1998 in occasione della ristampa di Cruciverba:

un articolo, un saggio, una nota critica sono fatti di parole «verticali» e «orizzontali»: nelle «verticali», simili alla posizione di sostegno delle torri, sta il tema d’avvio del discorso; le «orizzontali», come spalti che si diramano dalle torri, sono le divagazioni, le variazioni, le ipotesi.

Sciascia stesso, nell’ultima pagina dei Cruciverba, precisa l’idea della combinazione:

«Quando Apollo e le Muse si mettono a fare parole incrociate nascono combinazioni stupende»: con queste parole si apriva un articolo di Pietro Paolo Trompeo pubblicato dal settimanale «Oggi» il 26 ottobre 1940. Era una recensione del racconto di Hoffmann La principessa Brambilla: ma la si leggeva nelle “verticali”. Tante altre cose – in piccola, stupenda combinazione con le “verticali” – si leggevano nelle “orizzontali” [...]: per cui si può dire che anche Trompeo – magari per delega di Apollo e delle Muse – riesce a stupende combinazioni, quando si mette a far i cruciverba.

La presenza di tali pratiche di scrittura, se non facilita il lettore, certo rende arduo il compito del traduttore; nei testi conta ogni singola parola, nulla può essere trascurato, è impossibile riassumere; la qualità artistica del passo si cela nel dettaglio.

Per chiarire quanto sopra indicato, intendo presentare alcuni esempi riguardanti le insidie della traduzione, iniziando dai titoli di alcune opere sciasciane: il primo fraintendimento è più sottile, l’altro più clamoroso, nel terzo caso si tratta della difficoltà di rispettare il valore semantico di un testo.

  • Il titolo della traduzione tedesca del 1990 di Una storia semplice, Ein einfacher Fall (un semplice caso), è sicuramente riduttivo: non si tratta di un caso semplice ma di una storia.
  • Una traduzione tedesca di Dalla parte degli Infedeli è uscita nel 1986 con il titolo Der Titularerzbischof (l’arcivescovo titolare o ausiliare). Nonostante si tratti davvero di un titolo conferito all'arcivescovo protagonista, la traduzione banalizza l’originale, non ne coglie il senso, ne tradisce lo spirito sottile. È vero che i vescovi titolari vengono ordinati anche per diocesi antiche non più esistenti, soprattutto nell’Africa settentrionale e nel Vicino Oriente, situate oggi «in partibus infidelium». Ma il doppio senso del titolo originale va ben oltre, fino ad indicare un prelato responsabile di una diocesi situata in una provincia siciliana in cui i Comunisti hanno avuto successo, a scapito della Democrazia Cristiana. Il titolo tedesco non attira la curiosità del pubblico e non anticipa in modo icastico lo spirito dell’opera.
  • Si prenda in considerazione il titolo tedesco di Il teatro della memoria: Aufzug der Erinnerung pubblicato nel 1984 a Zurigo e Colonia. È abbastanza abituale tradurre il termine «memoria» con »Erinnerung«, ma non è totalmente corretto, perché »Erinnerung« corrisponde più al termine italiano «ricordo»: ricordarsi come processo, come azione, mentre «memoria» nel titolo sciasciano originale significa uno stato: la memoria è quasi il contenitore, il deposito dei ricordi. Sarebbe forse meglio tradurre «memoria» con «Gedächtnis»; ma «Erinnerung» normalmente ‘suona meglio’, nonostante evochi nell’mmaginario di un lettore tedesco un concetto diverso.

E ora prendiamo in considerazione un Modo di dire:

Già nella prefazione di Morte dell’inquisitore c’è una frase problematica per il traduttore

... in fatto di inquisizione (con iniziale minuscola), ci sono persone e istituti che hanno la coda di paglia o il carbone bagnato: modi di dire senz’altro pertinenti, pensando ai bei fuochi di un tempo.

Non è sensato tradurre letteralmente «con iniziale minuscola» perché in tedesco un nome viene scritto sempre con la maiuscola; è quindi necessario spiegare che in questo caso non si tratta dell’Istituzione, ma del principio inquisitorio. Molto più ardua è la possibilità di rendere con efficacia i modi di dire idiomatici, qualora non esista, per caso fortunato, qualcosa di simile nell’altra lingua: nel passo preso in considerazione ciò non avviene né per la «la coda di paglia» né per il «il carbone bagnato».

I modi di dire paragonabili sono in tedesco: »Dreck am Stecken haben«, «avere il bastone sporco» oppure »eine Leiche im Keller haben,« «avere un cadavere nella cantina»; ma tutte e due le soluzioni in questo contesto non sono utilizzabili perché non hanno niente a che vedere con «i bei fuochi di un tempo», stilema in stretto ed ironico collegamento con i proverbi che lo precedono. Al traduttore resta solamente la possibilità di proporre un calco, spiegando in nota che si tratta di espressioni le quali rimandano alla condizione di chi ha ‘la coscienza sporca’.

Und es scheint, als müsse man auch in Italien vorsichtig sein, denn überall gibt es in Bezug auf die Inquisition (nicht als Institution, sondern als Prinzip) Personen und Institutionen, die einen »Schwanz aus Stroh« oder »nasse Kohlen«c, also ein schlechtes Gewissen, etwas zu verbergen haben: zweifellos treffende Redensarten, wenn man an die schönen Feuer von dereinst denkt.

 

... e alcuni termini specifici

Proprio perché i testi di Sciascia sono estremamente colti, il traduttore che deve esplicitare al pubblico tedesco i copiosi rimandi, da Dante, magari citato in siciliano (nisciti di spiranza vui chi ntrati), al novecentesco Campana (e ansimando la dimora/Varcai del nulla) fino al tragico discorso del “bagnasciuga” tenuto da Mussolini al Direttorio Nazionale del PNF, nel giugno 1943, non resta che un paziente, ma anche affascinante percorso di indagine nel tessuto fitto della cultura dell’autore. Aiutano nell’impresa i dizionari specialistici, ma anche i ricordi scolastici: se vastasi (antico bastazi), si ricollega al greco βασταξειν/bastàzein, probabilmente ripreso dalla lingua franca del Mediterraneo, per indicare il lavoratore portuale, il facchino, non risulta difficile trovare un perfetto corrispettivo tedesco: »Schauerleute«, in sintonia con la scena portuale palermitana in cui il testo si trova.

Certo non è ugualmente facile riproporre all’immaginario del lettore tedesco l’atmosfera un po’ sguaiata del teatro popolare, quale si trova nella Cronachetta «Mata Hari a Palermo»: «... con un pubblico per niente elegante e che poi, allo spettacolo, indubitabilmente le si rivelò piuttosto sguaiato e fanatico della «mossa» (cioè del colpo d’anca sempre richiesto, e a gran voce, a ballerine e cantanti)». Bisognerebbe risalire alla soubrette evocata in un film del ‘70 interpretato da Monica Vitti, Nini Tirabusciò: la donna che inventò la mossa. Il termine tedesco » Hüftschwung « rimane un calco, sicuramente fedele, ma alquanto pallido.

 

 

  Parte seconda

A proposito della traduzione delle Cronachette...

 

Forse le Cronachette (uscite nel 1986 in una edizione accurata presso Sellerio a Palermo, come numero 100 della collana «Memoria») possono essere considerate la più bella raccolta di piccoli testi. Sciascia stesso ne racconta la genesi:

I piccoli fatti del passato, quelli che i cronisti riferiscono con imprecisione o reticenza e che gli storici trascurano, a volte aprono nel mio tempo, nelle mie giornate, qualcosa simile alla vacanza. Diventano cioè riposo e divertimento, come la lettura di un libro di avventure o poliziesco, come (ma non per me, ché rare volte ho tentato senza riuscire) lo scioglimento di un rebus o di un cruciverba. L’imprecisione o la reticenza con cui il fatto viene riferito è, naturalmente, la condizione indispensabile perché il divertimento scatti. Che è poi il gusto della ricerca, del far combinare i dati o del metterli in contraddizione, del fare ipotesi, del raggiungere una verità o dell’istituire un mistero là dove o la mancanza della verità non era mistero o la presenza di essa non era misteriosa. Un giuoco cui spesso si accompagna, e lo eccita, un senso di puntiglio; ma qualche volta interviene anche una sorta di pietà.

Rimane per me importante chiarire i criteri che mi hanno guidato nell’esperienza di “traduttore per diletto” dell’Operetta. Ritengo che l’autore abbia sempre ragione, anche se sbaglia oggettivamente. La traduzione non deve mai «migliorare» un testo, ma rispettarlo com’è. A mio avviso – ma non sono un professionista – ciò vale in particolare per lo stile, la sintassi, il ritmo della frase e la scelta delle parole.

Non è raro per esempio che Sciascia cominci una frase con «E»: e poi segua tutta una serie di proposizioni subordinate sempre di nuovo introdotte dalla medesima congiunzione: una scelta stilisticamente «impossibile» e probabilmente non solo per la lingua tedesca. Sono invece convinto che Sciascia cercasse espressamente questa “impossibilità”, questo “staccato”. Non è quindi permesso variare per “migliorare” lo stile. Lo stesso si vede riguardo alla ripetizione delle parole. Molto spesso l’autore utilizza questo espediente, che molti non amano, con uno scopo preciso, per suggerire un particolare andamento al testo. Ovviare a questo variando i termini significa depotenziare il testo stesso, banalizzarlo, non migliorarlo.

Come affrontare i numerosi rimandi non esplicitati presenti nelle Cronachette ?

Se il medio lettore italiano può cogliere il senso delle citazioni, evidenti ma non esplicitate, ed è in grado di gustare, magari, il sapore particolare conferito al brano proprio dal rimando a stilemi letterari dalle origini più diverse, diventa difficile offrire una buona possibilità di comprensione a chi legge una pagina tradotta. Segnalo qui alcune soluzioni prospettate nella mia traduzione:

  • Nella cronachetta L’inesistente Borges c’è una citazione non esplicitata:

E non solo: dalle cose dette si potrebbe persino estrarre qualche frase da considerare come «voce dal sen fuggita» ad un Achille Scatamacchia a momenti stanco del ruolo di Borges a cui è ormai condannato.

Aus den gesagten Dingen könnte man sogar einige Sätze herausziehen, die für eine »voce dal sen fuggita« zu Halten wären, der Brust eines Achille Scatamacchia entflohene Worte, für Augenblicke der Rolle eines Borges müde, zu der er nun einmal verdammt ist.

 

 Lo stilema tra virgolette deriva del latino «nescit vox missa reverti» (Horaz, Ars poetica, 390) ripreso da Pietro Metastasio nel libretto della sua opera seria Ipermestra del 1744:

Pria di lasciar la sponda / il buon nocchiero imita; /vedi se in calma è l’onda, /guarda se chiaro è il dì./ Voce dal sen fuggita /poi richiamar non vale; /non si trattien lo strale /Quando dall’arco uscì.

Al traduttore non resta che lasciare il versetto in italiano e spiegare in nota. Naturalmente quest’ultima chiarisce ma non può riproporre l’ironia sottile con cui si rimanda al contesto teatrale-melodrammatico cui il verso appartiene, contesto in perfetta sintonia con l’attore Scatamacchia stanco del suo ruolo.

  • Con un’allusione tipicamente sciasciana comincia la Cronachetta Manzoni e il linciaggio del Prina

    Una delle cose più inquietanti in cui possa imbattersi un manzoniano che non tiri
    quattro paghe per il lesso (dai tempi del Carducci ai nostri – a parte le paghe – molto sul Manzoni si è scritto che dà più nel lesso che nell’intelligenza), un manzoniano che davvero ami ed intenda questo «difficile» scrittore, è la lettera che egli scrisse a Claude Fauriel, da Milano, il 24 aprile del 1814.

Sciascia allude all’ode di Giosuè Carducci Davanti San Guido vv. 70/71, molto nota in Italia, ma quasi sconosciuta in Germania. Ne ho trovata una sola traduzione, dovuta a Bettina Jacobsen, pubblicata nel 1907 a Lipsia e poi ristampata alcune volte. Già l’incipit lascia trasparire una traduzione un poco approssimativa e tale permane nei versi in questione:

Und ich, so wie die Manzionianer, wüsst, Die vom Verdienste vierfach sich ernähren. (Ed io sapessi, come i manzoniani, che si nutrono del guadagno quattro volte...)

Non potendo rifarmi ad un riferimento letterario così dubbio, ho deciso una via diversa che, forse, sarebbe piaciuta a Sciascia stesso e spiego perché: in Francia Die Dreigroschenoper/L’opera da tre soldi di Brecht e Weill viene tradotta con L’opéra a quat’sous. Ciò ha suscitato in me l’idea di tradurre le «quattro paghe per il lesso» con »drei Groschen für den Suppentopf« «tre soldi per la pentola, la zuppiera». Così mi è stato possibile realizzare un gioco di parole tipicamente sciasciano, benché non sia prefigurato nel testo. Infatti, la frase successiva della Cronachetta «molto sul Manzoni si è scritto che dà più nel lesso che nell’intelligenza» viene così tradotta: »Es ist ... viel über Manzoni geschrieben worden, das mehr für den Topf als für den Kopf hergibt«. La parola » Kopf«/«testa» può significare anche intelligenza: »ein kluger Kopf« è una mente lucida, intelligente. Un divertimento e un gioco di consonanze non estraneo allo scrittore di Racalmuto.

Il lunghissimo lavoro sulle Cronachette mi ha anche riservato qualche sorpresa: di fronte ad un fraintendimento di Sciascia nella Cronachetta Don Mariano Crescimanno, là dove si dice «Un’eresia che aveva lontane radici e, nel tempo, diversi nomi: iluminismo [...], quietismo, molinismo (da Miguel de Molinos, a Roma inquisito e condannato)», ho dovuto chiarire in nota che il mistico spagnolo «inquisito e condannato a Roma» non ha nulla a che fare con il molinismo il cui ispiratore, Luis de Molina, non subì persecuzione alcuna, ma ebbe la sorte di morire nel proprio letto.

Alla fine di un’impresa ardua e complessa, ma capace di coinvolgere e di indurre al ‘ciment’', mi sono concesso un piccolo scherzo: ho tradotto il titolo dell’ultima delle Cronachette, «L’inesistente Borges», con una citazione nascosta, alla maniera di Sciascia, ponendo come titolo »Der nichtexistente Borges«, un termine pochissimo usato nella lingua tedesca. Quanti potranno cogliere l’allusione alla bella poesia »Die Behörde« («L’au­torità») di Christian Morgenstern?

Michael Kraus