Rinuncia e scomparsa

Quello della libertà dello scienziato è uno dei temi più affascinanti e alti della letteratura del Novecento, e due nostri maestri indiscussi, Primo Levi e Leonardo Sciascia, hanno dedicato alla questione pagine intense e indimenticabili.

L’evento cruciale da cui si snodano le loro riflessioni è la distruzione di Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda guerra mondiale, per mezzo della bomba atomica. In Vizio di forma, raccolta di racconti fantascientifici del 1971, Levi narra l’avvenimento da un punto di vista “extraterrestre”: nel racconto Visto da lontano, la guerra è definita “Periodo anomalo” e lo sgancio delle bombe sulle città nipponiche, all’inizio di agosto del 1945, è descritto con la formula “due esplosioni assai vivaci, avvenute entrambe in Giappone a due giorni di distanza l’una dall’altra” – l’ironia, nella fantascienza di Levi, è chiave d’accesso analitica e coefficiente di discussione scientifica. La tragedia dell’atomica può senz’altro dirsi il punto che spalancò, sotto gli occhi dell’umanità intera, l’abisso da cui non si torna, ed evidenziò la faglia, il vizio di forma, che, se non fosse stato emendato in tempo, avrebbe portato l’uomo alla distruzione.

Da quel momento la riflessione sulle scelte degli scienziati, sui dubbi e i limiti della scienza, è apparsa urgente e improrogabile. Di fronte a un evento così definitivo e sconvolgente, generato da scoperte scientifiche pur molto importanti, e di fronte alle tensioni planetarie dei decenni successivi, lo scrittore, uomo di scienza, chimico di professione, si interroga sul destino della Terra e sul ruolo che avrebbero potuto giocare i “tecnici”, unici depositari, a suo avviso, delle competenze indispensabili per cercare una soluzione. La proposta dello scrittore appare in un altro racconto della stessa raccolta, Procacciatori d’affari: un “non-nato” viene ingaggiato da misteriosi personaggi per salvare il pianeta. Il “non-nato”, ancora incontaminato e libero da logiche affaristiche e politiche, si identifica nel “tecnico” vagheggiato da Levi: si tratta di un uomo non condizionabile e non ricattabile, che pone l’umanità al centro delle sue scelte: “Riceverà, insieme con la veste umana, le armi che le occorreranno: sono armi potenti e sottili, la ragione, la pietà, la pazienza, il coraggio”. Questo tipo di scienziato non è mai esistito e si configura come un’ipotesi, una speranza: un non-nato, appunto.

Mi pare invece di poter affermare che in questo profilo si incarnino perfettamente i fisici Heisenberg e Majorana, così come li ritrae Sciascia ne La scomparsa di Majorana. La riflessione sciasciana sulla libertà degli scienziati, che si trovano davanti alla scelta più importante della loro vita, è molto interessante e profondamente connessa a quel periodo storico (siamo nel 1938):

 

Si comportarono liberamente, cioè da uomini liberi, gli scienziati che per condizioni oggettive non lo erano; e si comportarono da schiavi, e furono schiavi, coloro che invece godevano di una oggettiva condizione di libertà. Furono liberi coloro che non la fecero. Schiavi coloro che la fecero.

 

Heisenberg e Majorana erano “schiavi”, rispettivamente, del nazismo e del fascismo, eppure rimasero liberi fino in fondo: l’uno scelse di non partecipare alla costruzione della bomba (Sciascia afferma che la figura di Heisenberg dovrebbe nobilmente spiccare nel campo della fisica nucleare, molto più di coloro che la bomba la fecero e solo dopo, forse, ne ebbero rimorso); l’altro di scomparire. Tale libertà non a caso appartenne a uomini come loro. Heisenberg “viveva il problema della fisica, la sua ricerca di fisico, dentro un vasto e drammatico contesto di pensiero. Era, per dirla banalmente, un filosofo”; Majorana era il genio precoce, istintivo, abituato proprio in virtù della sua precocità a vedere nella compiutezza il senso della fine (l’accostamento alla precocità “rinviata” di Stendhal è memorabile). Stiamo parlando di un uomo, secondo quanto afferma Amaldi nella Nota biografica di Ettore Majorana, posta da Sciascia come epigrafe al libro, che “Prediligeva Shakespeare e Pirandello”, dotato dunque di un istinto problematico e dubbioso, capace di guardare, oltre “lo strappo del cielo di carta”, una realtà che nessun altro aveva visto.

A lui, fisico senza eguali, profeta geniale, apparve subito chiaro e devastante quello squarcio di luce atomica, che di lì a qualche anno avrebbe distrutto Hiroshima e Nagasaki, facendo vacillare, pericolosamente, il destino e la sopravvivenza stessa dell’umanità.

 

Roberta De Luca