Due accappatoi e una vestaglia

Da qualche anno, al loro arrivo a Donnafugata, stanchi e impolverati, il principe di Salina e la sua famiglia sono salutati dalle autorità del paese e dai suoni festosi prodotti dalla banda municipale e da varie campane. Alla cerimonia di benvenuto, peraltro piuttosto informale, fa seguito un Te Deum nella Chiesa Madre. Subito dopo, l’amministratore don Onofrio Rotolo accoglie “le Loro Eccellenze nella Loro casa”, e fa il suo rapporto al principe.

   Questo avviene anche nell’agosto 1860. Garibaldi ha appena cancellato il potere borbonico dall’intera Sicilia e la famiglia Salina, come ogni anno, si trasferisce da Palermo a Donnafugata, per trascorrervi la villeggiatura. “Non c’è da dire tutto è come prima, meglio di prima, anzi”, pensa Don Fabrizio, e ciò lo spinge a mostrarsi particolarmente aperto e cordiale. Ma, quasi impercettibilmente, qualcosa è cambiato: “Il Principe che aveva trovato il paese immutato venne invece trovato molto mutato lui che mai prima avrebbe adoperato parole tanto cordiali; e da quel momento, invisibile, cominciò il declino del suo prestigio”.
  
Finalmente, esaurite cerimonie e convenevoli, il principe può concedersi un bagno ristoratore. E proprio allora, mentre se ne sta beatamente immerso in “una sorta di truogolo ovale” che svolge l’ufficio di vasca da bagno, un servitore lo informa che Padre Pirrone “chiede di vedere subito Vostra Eccellenza”. Temendo una brutta notizia, “un po’ per questo e un po’ per rispetto dell’abito sacerdotale”, Don Fabrizio dice al servitore di far entrare il gesuita nello stanzino del bagno. Pensa di riuscire a coprirsi con l’accappatoio prima dell’ingresso del religioso, ma questi lo previene e lo trova “non ancora rivestito dall’effimero sudario, […] interamente nudo, come l’Ercole Farnese…”. Di fronte al turbamento di Padre Pirrone, un po’ stizzito con se stesso Don Fabrizio lo invita bruscamente a dargli l’accappatoio e ad aiutarlo ad asciugarsi.
   Una scena vagamente simile, ma profondamente diversa, si svolge nel bagno di una casa palermitana circa un secolo dopo. Racconta Leonardo Sciascia, in una nota di Nero su nero, che l’avvocato e politico Z. ricevette un giorno la visita del grande elettore mafioso che gli aveva assicurato l’elezione con i molti voti che aveva convogliato su di lui. L’avvocato stava facendo il bagno, “e sia perché gli pareva irriguardoso fare attendere il visitatore, che tanti riguardi meritava, sia perché un po’ si sentiva Luigi XIV, ordinò al cameriere che lo introducesse subito”. Vedendo l’onorevole emergere insaponato dalla vasca, il mafioso-grande elettore “ebbe un momento di smarrimento, un sussulto di disgusto”. E, preso l’accappatoio che era appeso a un gancio, “lo gettò sul suo eletto dicendo: ‘S’asciucassi’ (si asciughi); e solennemente uscì. Arrivando alla porta, disse al cameriere che lo seguiva: ‘Se si azzarda a venire a casa mia, gli farò scendere le scale a calci’. E così l’avvocato Z. brevemente concluse la sua carriera parlamentare”.
   In un articolo intitolato “L’Avvocato e la ‘nuova’ Italia”, comparso su
la Repubblica del 24 gennaio 2004, Piero Ottone ricordava Gianni Agnelli a un anno dalla scomparsa. Dopo aver lamentato il decadimento dell’Italia in generale, e dell’imprenditoria italiana in particolare, Ottone scriveva che “Agnelli era di un’altra pasta. Nessuno più di lui ha contribuito a presentare al mondo, dell’Italia, una bella immagine. Con eleganza, con intelligenza, con sicurezza s’è mosso sulla scena internazionale; tutti lo conoscevano, e ce lo invidiavano. Il suo senso morale era, prima ancora che di probità, di buon gusto”. Proseguiva Ottone: “Una sua dote, fra le tante, era quella leggerezza che gli consentiva di liquidare con una battuta una situazione scabrosa, senza mai cadere nelle controversie tignose alle quali assistiamo ormai tutti i giorni”. E così concludeva: “Osservava la scena della vita politica con distacco. Quando Craxi lo ricevette in vestaglia sul terrazzo dell’hotel Raphael, lo raccontava ridendo”. Sappiamo che la caduta di Bettino Craxi fu dovuta ad altri fattori, e non all’essersi presentato in vestaglia all’uomo che alcuni consideravano una sorta di non incoronato re d’Italia: il quale, prescindendo dall’opinione che si può avere di lui, poteva guardare a certe cadute di stile con occhio benevolmente ironico.
  
Dall’accappatoio di un principe siciliano dell’Ottocento, passando per quello di un avvocato-politicante, anch’egli siciliano e compromesso con la mafia, nella seconda metà del secolo successivo, si finisce con la vestaglia di un potente politico milanese di origini siciliane, che per circa un decennio ha dominato la politica italiana dell’ultimo quarto del XX secolo. Si potrebbe pensare che si tratti soltanto di piccoli episodi, reali o frutto di fantasia, visti per così dire dal buco della serratura: ma, dal momento che sono diventati oggetto di letteratura, o di giornalismo, li si può promuovere a episodi minori della storia patria.

Euclide Lo Giudice