Leonardo Sciascia: Terra e cibo. 2. Da "Il Consiglio d'Egitto"

Il Consiglio d’Egitto, pubblicato nel 1963, è un romanzo storico ambientato nella Palermo del 1700. La Sicilia della dominazione Borbonica, con i Viceré e lo stuolo di nobili, dei baroni che vivono parassitariamente con le rendite delle loro immense proprietà terriere, i feudi, affidati ai gabellotti che sfruttano e vessano contadini e braccianti. Siamo in pieno illuminismo, e nei lumi della ragione spera e lotta il co-protagonista del romanzo Francesco Paolo Di Blasi (ma che verrà arrestato, torturato e condannato a morte), confortato dall’arrivo, in quella Palermo angusta e immobile, del nuovo Viceré: il marchese Domenico Caracciolo, un uomo illuminato che vorrebbe rivoluzionare lo status quo.

Il Consiglio d’Egitto offre tanti elementi importanti riferiti ai temi di questa rubrica, dei quali avremo modo di parlare in altre puntate. In questa puntata rileviamo i pezzi riferiti all’abate Vella, personaggio centrale del romanzo, nel momento in cui viene scoperta la sua impostura; pagine che descrivono mirabilmente le tormentate riflessioni dell’abate Vella, “La ferocia delle leggi, l’esistenza della tortura … li considerava come opera di correzione della natura non dissimile, e altrettanto necessaria, della potatura delle viti e della rimonda degli ulivi …”. Ed ancora la bella descrizione di un paesaggio agrario, in una rievocazione, nei ricordi dell’abate, di Malta, sua isola natale. E in questa descrizione, possiamo ancora una volta, rilevare la bravura di Sciascia nella profonda conoscenza del paesaggio agrario e rurale, delle colture agricole, delle varietà; qui infatti possiamo notare il riferimento alla Sulla, una quasi misconosciuta coltura foraggera, una volta molto diffusa in Sicilia, le cui infiorescenze sono di un rosso vellutato; prezioso e ormai raro foraggio; e il grano della varietà Maiorchino, ideale per fare le Ostie; e la Tuminìa (o anche Tumminìa): una rara e atipica varietà di grano, a ciclo vegetativo breve (e dunque, quando per motivi vari si tardava nella semina, ad esempio per le forti piogge, si recuperava seminando appunto la Tuminìa); la Tuminìa ha la cariosside scura e dà origine ad un pane nero. Quello più conosciuto attualmente è il Pane Nero di Castelvetrano, derivante da una miscela di Tuminìa e di grano duro giallo; questo pane è stato riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale della Sicilia, è stato rilanciato e valorizzato, grazie in particolare all’opera di Slow Food che ne ha fatto uno dei suoi presidi.

In un altro passaggio del libro, Sciascia ci riporta a due antiche e preziose specialità della gastronomia siciliana: “ … Un volante di monsignor Airoldi mandato a casa dell’abate Vella a portare in dono un biancomangiare e dei biscotti al sesamo, cose di cui l’abate era goloso, e monsignore frequentemente si premurava di mandargliene …”.

 

Biancomangiare

Il Biancomangiare è sostanzialmente un budino. Una specialità diffusa anche in altre parti d’Italia dove però si usa come materia prima il latte vaccino. Ma la ricetta originaria, sicuramente nata in Sicilia, in epoche antiche, prevede l’uso delle Mandorle dalle quali si estrae il latte per preparare il budino. Rappresenta un prezioso reperto della antica gastronomia siciliana, un archetipo della raffinatezza culinaria. Una delle leggende più attendibili dice che questa specialità sia stata inventata dai cuochi della Corte Normanna in Sicilia, impegnati a inventare qualcosa di sfizioso che piacesse alla regina (probabilmente Costanza d’Altavilla) che soffriva di inappetenza. E alla regina piacque.

Un importante episodio storico parla del Biancomangiare come una delle pietanze fatte preparare da Matilde di Canossa per l’incontro di riappacificazione tra Papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV nel 1077.

La ricetta originaria prevede che le mandorle sbucciate e finemente tritate vengono avvolte in una stoffa di lino e immerse per circa due ore in acqua fredda (1 litro d’acqua per 300 grammi di mandorle). L’involucro si preme ogni tanto per farne uscire lentamente la parte oleosa delle mandorle. Nel liquido così ottenuto vi si fa sciogliere lo zucchero e l’amido, quindi si aggiunge cannella e scorza di limone e si fa bollire lentamente, fino ad ottenere una crema densa, che poi si versa in uno stampo e si fa raffreddare.

 

Biscotti al sesamo

Il sesamo è una pianta erbacea annuale coltivata in Asia, che produce dei semi commestibili dai quali si estrae un olio. Una delle varietà più diffuse e commercializzate è denominata volgarmente “Giuggiulena”, così chiamata anche nel dialetto siciliano, voce che in arabo vuol dire semenza di sesamo; diffuso in Sicilia con la dominazione araba, il sesamo costituisce un prodotto peculiare e distintivo della gastronomia siciliana. E cominciamo dal suo uso, più importante ed emblematico, con il pane, il “pane con la giuggiulena” che è il pane siciliano per antonomasia; i semi di sesamo, incastonati nella superficie della pasta prima di metterla in forno, adornano il pane e, così tostati, ne costituiscono un condimento, ne esaltano il gusto, tanto da non aver bisogno del companatico per mangiare un pane così fatto.

Un altro interessante prodotto è il torrone o cubaita, a base di zucchero, miele e semi di sesamo, un torrone un po’ più duro e compatto di quello di mandorle.

E ritorniamo ai nostri biscotti al sesamo, prodotti peculiari della pasticceria siciliana, che tanto piacevano anche all’abate Vella, dei quali ne descriviamo la ricetta.

Ingredienti:

Farina di grano duro, per 1 Kg. Zucchero, 300 gr. Strutto, 200 gr. Uova, 4. Ammoniaca, 10 gr. 1 bustina di lievito. 1 bustina di vaniglia. Latte

Preparazione

Mescolare la farina con lo zucchero, il lievito e la vaniglia; poi aggiungere le uova sbattute e lo strutto sciolto. A parte, in un tegame sul fuoco basso, assieme ad un po’ di latte, mettere l’ammoniaca e farla sciogliere senza grumi; quindi aggiungerla all’impasto, reimpastando il tutto, aggiungendo ancora il latte, in quantità tale da far venire una pasta morbida.

Modellare i pezzetti di pasta a forma di bastoncino, quindi tagliare in modo da formare dei biscotti della grandezza di un dito, più o meno regolare e un po’ appiattito; la pasta a forma di biscotti viene immersa e rotolata nei semi di sesamo in modo che essi si incastonino uniformemente sulla superficie dei biscotti. Metterli in una teglia e far cuocere al forno, a 180° per circa 15 minuti.

Salvatore Vullo