Caselli e Ingroia su Sciascia e Borsellino

Nel recente libro di Giancarlo Caselli e Antonio Ingroia, L’eredità scomoda. Da Falcone ad Andreotti. Sette anni a Palermo, a cura di Maurizio De Luca (Milano, Feltrinelli, 2001) l’ex-procuratore capo di Palermo e il sostituto procuratore della stessa Procura che ha lavorato a Marsala con Paolo Borsellino rievocano le vicende intorno alla nomina di Borsellino a procuratore di Marsala nel 1986 e alla polemica innescata dall’articolo di Sciascia sul "Corriere della sera" del 10 gennaio 1987, raccolto poi in A futura memoria (se la memoria ha un futuro). Si riproduce qui di séguito il testo alle pp. 15-16 del volume.
CASELLI: Mentre tu ti laureavi e vincevi il concorso, io dal 1986 al 1990 ho fatto parte del Consiglio superiore della magistratura. E sono stati anni contrassegnati da continui "casi Palermo". In particolare io facevo parte del Comitato antimafia del Consiglio. È stato questo il periodo in cui ho approfondito la mia conoscenza con Falcone; anche di Borsellino cominciai a occuparmi fin da subito al Consiglio, perché quasi come prima questione affrontammo la discussione sulla sua domanda per fare il procuratore della Repubblica di Marsala.
Il Consiglio superiore, di cui facevo parte per essere stato eletto come candidato di Magistratura democratica, si era appena insediato o quasi quando, sulla domanda presentata da Borsellino, a sorpresa ci furono delle divisioni. C’era da stabilire se nell’assegnare incarichi di alta responsabilità in territori insidiati dalla grande criminalità, come del resto prevedevano specifiche norme fino ad allora inapplicate, era finalmente arrivato il momento di premiare la professionalità dei candidati, la loro conoscenza reale dei problemi, la serietà dell’impegno. Oppure se si doveva continuare a procedere in maniera formalmente ineccepibile, ma per certi casi specifici inadeguata rispetto alla gravità della situazione, continuando a privilegiare criteri di selezione basati prevalentemente se non esclusivamente sull’anzianità. In Consiglio ci spaccammo, anche all’interno di molti gruppi, trasversalmente. Ci spaccammo, per esempio, noi di Magistratura democratica: eravamo in tre, io votai per Borsellino, gli altri due, che erano Elena Paciotti e Pino Borrè, si astennero, basando la loro decisione su argomenti certo sostenibili ma a mio giudizio troppo formalistici. Fino a quel momento eravamo stati sempre d’accordo e lo saremmo stati quasi sempre anche in seguito. In quel caso però non mi convinsero. Seguendo il principio, sempre rispettatissimo nel mio gruppo, di liberta di voto secondo coscienza, io votai per Borsellino e mi ritrovai quella volta in maggioranza: divenne lui il nuovo procuratore capo di Marsala.
Non ricordo se in quell’occasione o in tempi successivi mi capitò di parlargli direttamente della nomina. So di aver fatto una scelta giusta. Nonostante tutte le polemiche pubbliche che ne seguirono, compreso lo schierarsi contro Borsellino di Leonardo Sciascia, sicuramente male informato. Ma credo siano vicende ormai fin troppo note a tutti. Si trattò della famosa, e per me sempre dolorosa, polemica sui professionisti dell’antimafia, tra i quali Sciascia in un articolo pubblicato sul "Corriere della Sera" collocò, accanto al sindaco di Palermo Leoluca Orlando, proprio Borsellino. L’accusa, sorprendente, era di strumentalizzare l’impegno contro la criminalità per acquisire personali vantaggi di carriera. E proprio la nomina a procuratore della Repubblica a Marsala, raggiunta da Borsellino scavalcando concorrenti con maggiore anzianità, diveniva in questo contesto la principale prova a carico, la conferma concreta delle contestazioni.
INGROIA: Ricordo anch’io molto bene quella polemica con tutti gli strascichi, anche le più scoperte strumentalizzazioni che si portò dietro. Ricordo che a Borsellino provocò dispiacere. Dispiacere e rabbia. Borsellino era sicuro, me lo disse più di una volta, che qualcuno che certamente non l’amava aveva fornito a Sciascia informazioni infondate e tendenziose. Ma Borsellino, se pur convinto che con quella polemica "era iniziata la fine" (come diceva lui) della stagione del pool di Palermo, non riusciva ad avercela con Sciascia, amava troppo i suoi romanzi sulla mafia. Per questo, più che ricordare quanto quella polemica lo aveva ferito, preferiva raccontare la sua "riappacificazione" con lo scrittore. Si incontrarono, si parlarono e si chiarirono. Borsellino si rasserenò.