Famosissima la pagina dove il capomafia classifica il genere umano, ma la pagina davvero importante però è quella che viene prima. Bellodi sente che il mafioso - anche grazie alle protezioni politiche di cui gode a Roma - gli sta per sfuggire dalle mani. Lo capisce, e pensa a Cesare Mori, il "prefetto di ferro" che Mussolini aveva mandato in Sicilia, e che aveva stroncato il brigantaggio; quando poi Mori aveva cominciato a pestare i piedi alla mafia, che era già entrata nel regime, il prefetto viene nominato senatore e rimosso. I suoi metodi erano brutali, all'insegna del "fine giustifica i mezzi", al di là e al di sopra delle leggi, che per quanto fasciste, qualche garanzia pure la davano. Fare come Mori, pensa per un attimo Bellodi. Una tentazione che scaccia subito: no, si dice, bisogna stare nella legge. Piuttosto, quello che serve è indagare sui patrimoni, mettere la Finanza, mani esperte, come hanno fatto in America con Al Capone, a frugare sulle contabilità, e non solo dei mafiosi come Mariano Arena: annusare le illecite ricchezze degli amministratori pubblici, il loro tenore di vita, quello delle loro mogli e delle loro amanti, censire le proprietà e comparare il tutto con gli stipendi ufficiali; e poi come dice Sciascia, "tirarne il giusto senso".
Quello che anni dopo fanno Beppe Montana, Ninì Cassarà, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino: che cercano di "tirare il giusto senso" appunto indagando sulle tracce lasciate dal denaro, che non puzza, ma una scia la lascia sempre, a saperla leggere, a volerla trovare.
"Tirare il giusto senso", significa anche Anagrafe Patrimoniale degli Eletti; significa che ministri, parlamentari, amministratori pubblici devono vivere come in una casa di vetro, e devono rendere conto del loro operato agli elettori, che devono essere messi nella condizione di sapere. Se quei suggerimenti fossero stati accolti, probabilmente molte cronache giudiziarie, di ieri e oggi, ce le saremmo risparmiate.
L'altra pagina importante e amarissima è l'ultima. Bellodi è tornato a Parma, c'è una festa, e si racconta una storia: quella di un medico del carcere che si mette in testa di cacciare i mafiosi sani dall'infermeria e ricoverarvi i detenuti malati. Il medico una notte è vittima di un'aggressione, un pestaggio all'interno del carcere. Nessuno lo aiuta, tutti gli dicono che è meglio lasci perdere. Il medico è un comunista, si rivolge al partito. Anche il partito gli dice di lasciar perdere. Il medico allora si rivolge al capomafia, e gli aggressori vengono puniti.
Un aneddoto amarissimo, e non ne sfuggirà il senso, il significato. E dire che qualcuno ha avuto l'impudenza di sostenere che Il giorno della civetta è un romanzo che fa l'apologia della mafia!