Armando Massarenti - Addio, integerrimo Merit

Venerdì 17 gennaio 2009 è morto a Firenze un caro amico della nostra Associazione, lo storico del diritto Italo Mereu.
Socio fondatore, ci aveva seguito e incoraggiato findall'inizio,organizzando insieme a noi, nel 1999,un memorabile convegnosulla pena di morte, i cui atti sarebbero entrati in uno dei QuaderniSciascia sotto il titolo “La morte come pena”.

Pochi giorni prima della sua scomparsa, l'avevamo contattato per invitarlo a firmare il manifesto “Ce ne ricorderemo di questo maestro”, cosa che fece con lo slancio consueto.
Gli proponemmo nell'occasione di collaborare al convegno su Sciascia e la giustizia in programma per il mese di novembre 2009, a conclusione delle manifestazioni del ventennale.
Era molto malato, quasi impossibilitato a muoversi, ma non si tirò indietro: sarebbe stato prezioso consigliere di contenuti e indirizzi, come dieci anni prima.
Non abbiamo avuto l'onore di poterlo ancora ascoltare.  
Il convegno che si terrà a Firenze a novembre sarà dedicato alla sua memoria e, sopra ogni altra virtù, a quel suo indefesso impegno a stanare dai codici e dai comportamenti umani la bestia dell'intolleranza, alla quale aveva dedicato uno dei saggi più avvincenti della sua feconda produzione.
“A Futura Memoria” lo ricorda riportando il testo di
Armando Massarenti uscito su “Il Sole 24 Ore – Domenica” il 18 gennaio 2009.

Si firmava Merit e per 14 anni, dal 1984 al 1998, si è affacciato, con stile discreto ma irriverente, valendosi dei preziosi consigli della suocera, dalla prima pagina di questo supplemento per difendere i principi di una civiltà giuridica liberale troppo spesso rinnegati nel nostro Paese nell'atto stesso di proclamarli.
Quella firma era la contrazione di Italo Mereu, l'insigne storico del diritto italiano, in particolare del diritto penale, morto venerdì notte a Firenze all'età di 88 anni.
Durante la sua vita si è sempre distinto per il suo impegno civile oltre che accademico, denunciando il trattamento subito da Enzo Tortora e – nelle pagine che egli curava per la “Domenica” intitolate Diritto e rovescio – cercando di affermare le garanzie del nuovo processo penale per un passaggio effettivo al processo accusatorio all'americana.
Si è anche battuto con coerenza contro la pena di morte, con il suo La morte come pena (1982).
Originario di Lanusei (Nuoro), si trasferì nel dopoguerra a Firenze dove ha sempre vissuto, insegnando però anche a Ferrara e negli ultimi anni a Castellanza e alla Luiss di Roma.
Famoso per i suoi studi sul processo inquisitorio della Santa Inquisizione, che lo hanno portato tra l'altro a sostenere che Galileo Galilei fu torturato, è lo studioso italiano che con maggiore coerenza si è occupato del tema della tolleranza, con un occhio particolare alla sua “effettività”, storica e giuridica. La sua Storia dell'intolleranza in Europa, del 1979, ristampato ed edito in più lingue nel corso degli anni, e che si vale di una prefazione di Umberto Eco, è uno strumento prezioso per difendersi dalle ambivalenze di un diritto autorinnegante che finisce per esprimersi in norme del tipo “la stampa è libera, ma soggetta a leggi repressive”.
Concentrandosi sull'”effettività” giuridica, Mereu ha potuto mostrarci con chiarezza quanto nei fatti “sia difficile il passaggio dall'intolleranza alla tolleranza, cioè da un sistema dove il diritto penale è usato come tecnica del terrore a un diritto penale dove è tecnica della convivenza”.
La storia dell'intolleranza, in Occidente, è anche la storia dell'ambivalenza del cristianesimo. Una religione che, per sua natura, tenderebbe a rifiutare la coercizione. “Fino al 313, anno dell'editto di Milano – ricorda Mereu -, i cristiani sono per la libertà di culto, e il proselitismo è basato sull'amore e sul convincimento. Lattanzio diceva che non si può imporre a nessuno di adorare ciò che non vuole”. Ma se è vero che la cultura della tolleranza è figlia del cristianesimo, e di quei suoi tratti di civiltà che lo differenziano da buona parte delle altre religioni (e che in questo senso, crocianamente, non possiamo non dirci cristiani), è anche vero che, proprio riguardo all'”effettività” cara a Mereu, il cattolicesimo è stato il sostenitore del principio opposto. “L'intolleranza, cioè la convinzione invincibile di avere il copyright della verità assoluta, con l'obbligo di imporla a tutti, è un concetto che nasce, si sviluppa e si struttura legalmente dopo che il cristianesimo diventa religione ufficiale dell'Impero romano”. E rimarrà una costante nella storia della politica e del diritto, anche dopo la loro secolarizzazione, difesa con dichiarazioni esplicite. Come quella di Nicola Spedalieri, che nel 1791, dopo aver affermato che la religione cristiana è la “più sicura custode di diritti umani”, ribadisce un vecchio adagio secondo cui “senza intolleranza nessuna società potrebbe esistere”.
Ora che Mereu ci ha lasciato, sta a noi tener gli occhi aperti, e ripeterci ogni giorno, a mo' di esercizio spirituale, questa domanda: quanta di questa cultura dell'intolleranza è viva, si insinua ancor oggi nelle pieghe della nostra vita intellettuale, giuridica e civile?