Alfonso Puma - Il memoriale

Alle ripetute richieste di alcuni amici, cercatori di notizie e di aneddoti su Leonardo Sciascia, voglio ricordare qualche episodio semplice o qualche detto dello stesso durante gli incontri personali in Racalmuto, nostro paese natale, e con il quale vanto una parentela, nonché una conoscenza fin dall'infanzia. Infatti io sono nato nel 1926, Sciascia era nato nel 1921.
Premetto che Sciascia, o “Nanà” come molti lo chiamavano confidenzialmente, era, per carattere, timido, però attento ad ascoltare, taciturno e con lo sguardo e il sorriso sornione; se richiesto di un parere o di un giudizio, usava rispondere con poche parole, spesso ironiche. Forse lascerà qualche lettore pieno di stupore, eppure Sciascia, grande ricercatore della Verità, non solo tra i libri di sommi letterati, poeti e filosofi, leggeva spesso i vangeli, edizione Paoline, che lo “caricavano come un orologio”, come spesso mi riferiva. Amava l'arte teatrale e l'arte pittorica che l'hanno classificato tra i migliori critici italiani. Ha speso tutta la sua vita nel leggere e nello scrivere per il “gusto di leggere e di scrivere”.
Sciascia certamente è stato un grande scrittore europeo, ma soprattutto un grande spirito critico della nostra Italia, coinvolto in un'avventura intellettuale; nei suoi testi letterari applicava il suo dubbio metodico felicemente, con una particolare scoperta, quella di pensare controcorrente. ”Ho contraddetto e mi sono contraddetto”, e ciò costituiva un gioco affascinante, talvolta perfido, e per tanti lettori, molto sofisticato che, per lo stesso scrittore, era molto importante, necessario e vitale salvandolo dal conformismo generale. Questo gioco del libero pensiero e l'uso della ragione, con l'inventiva, danno alle sue opere connotati particolari di ostilità nell'ambiente in cui è vissuto: “L'unica mia difesa, qui, è il non essere d'accordo”, annotava ne Le parrocchie di Regalpetra”...
Il mio amico Nanà era stato un uomo che,spaventato e dubbioso, ha cercato la Verità, di sapere cosa ci fosse dopo questa vita. Tuttavia cercare nello spavento e nel dubbio è una tappa inevitabile dell'esistenza umana, travagliata da una dialettica tra il sicuro e l'incerto, tra la certezza e l'incredulità; nessuno è stato esente da questa dialettica, nemmeno i santi e i mistici che alla certezza raggiunta hanno vissuto momenti di grande travaglio e lotta interna: la notte del dubbio e della paura ha preceduto il sole della certezza e, a volte, è stato anche viceversa.
Quando le occasioni lo consentivano, ed egli trascorreva periodi di riposo in contrada Noce, facevo piacevoli conversazioni con Leonardo Sciascia, ora nella sagrestia della Chiesa Madre, dove veniva a trovarmi o in campagna, luogo dei nostri ricordi d'infanzia. Quando lo vedevo apparire davanti alla porta della sagrestia mi alzavo compiaciuto col sorriso stampato sulle labbra, e lo abbracciavo affettuosamente. Discutere, conversare con lui era un'occasione unica, piacevole, oltre per la qualità dei discorsi, soprattutto per la sua straordinaria capacità di sintesi e di penetrazione degli autori che conosceva abbastanza bene, frutto di una memoria di ferro che non si era sfaldata malgrado gli anni non fossero più quelli del tempo trascorso. Conosceva abbastanza bene gli scrittori cattolici e li apprezzava, come Manzoni, Blaise Pascal, Paul Claudel, Jean Guitton. A volte mi vergognavo nel vedere lui, laico, conoscere così bene gli scrittori cattolici, mentre io qualche autore non l'avevo così bene letto e studiato. Negli ultimi tempi della sua vita, dietro serie riflessioni ed esperienze, mostrò atteggiamenti più comprensivi verso i pensatori cattolici e verso gli uomini di Chiesa. Ebbe a dire che non era un anticlericale, ma che desiderava vedere i preti-preti nel senso genuino. Cosa vuol dire preti-preti? Significa un prete che, fedele al messaggio evangelico di Gesù Cristo, vive nella sua pienezza il Discorso della montagna: vestire gli ignudi, dare da bere agli assetati di giustizia (Sciascia per la giustizia lottò tutta la vita), visitare i carcerati...mettere al primo posto Cristo. La mancata testimonianza di alcuni sacerdoti fu una pietra di scandalo per il laico Sciascia...Un mese prima della sua morte, al palazzo vescovile di Agrigento, fece visita al vescovo Carmelo Ferraro, in mia presenza e in quella circostanza riferiva al vescovo la sua amarezza perché i suoi scritti non avevano raggiunto lo scopo letterario prefissato: la lotta contro il malcostume e la mafia. Egli volle per primo rendere visita al vescovo di Agrigento, il quale espresse anche il desiderio che io, in qualità di arciprete di Racalmuto e amico personale di Sciascia, fossi quel giorno presente all'incontro. Prima di giungere in vescovado, Sciascia incontrò alcune autorità provinciali, poi accompagnato da Carmelo Rizzo si recò in via Duomo, sede del vescovado, dove ad attenderlo c'eravamo io e il vescovo Ferraro. Salendo la lunga scala del vescovado, Sciascia, ormai sofferente, stanco, si fermò nel primo pianerottolo, riprese fiato e guardando la continuazione della scala disse: ”Troppo lunga è la scala della Chiesa!”.
Giunto alla sala grande, vedendomi, compiaciuto, affettuosamente mi abbracciò. Sciascia salutò rispettosamente il vescovo Ferraro, il quale lo accolse e lo fece accomodare insieme ai presenti. Terminato l'incontro, salutato il vescovo, mentre si accingeva a scendere le scale, Sciascia si fermò di nuovo sul pianerottolo e fissandomi mi disse: “Questo vescovo crede in quello che dice...”.
Monsignor Ferraro desiderava ricambiare la visita allo scrittore racalmutese, ma non ebbe il tempo: colpito dalla malattia, lo scrittore stentava a leggere e a scrivere, dettò le ultime parole da scrivere sulla sua tomba. Nanà Sciascia si aggravò, fu ricoverato in ospedale, poco tempo dopo morì a casa. Il vescovo Ferraro celebrò il funerale nella Chiesa del Monte, tanto cara a Sciascia, assieme a me e ai sacerdoti di Racalmuto. All'omelia ricordò Sciascia come lo scrittore che aveva cercato la Verità e si sentì onorato di avere celebrato con il calice d'argento che lo scrittore aveva regalato alcuni anni prima alla Chiesa del Monte, dove tutt'oggi si conserva.