Salvatore Petrotto - Saluto e intervento alle giornate di studio, Amsterdam, Giugno 2009

Ringrazio col cuore e con la mente la Casa Editrice Serena Libri per l'invito rivoltomi a partecipare a questo importante evento culturale.
Entrambi, io che modestamente lo rappresento e lo scrittore Leonardo Sciascia proveniamo da Racalmuto, quel paese minerario ed agricolo, quel suggestivo lembo di Sicilia, grandemente esaltato e decantato dall'autore de Il Contesto.
“A Racalmuto sono nato e mai me ne sono distaccato...E così profondamente mi pare di conoscerlo, nelle cose e nelle persone, nel suo passato, nel suo modo di essere, nelle sue violenze e nelle sue rassegnazioni, nei suoi silenzi...”.
Così descriveva le sue radici il Nostro Sciascia, quando, nella corso di tutta la sua cara esistenza, preferiva immergersi nei silenzi agresti della sua Racalmuto. In contrada Noce.
E dal silenzio alla parola, quella della pagina sciasciana, il tempo è trascorso.
Speriamo non invano.
Lo stemma di Racalmuto è ancora lì, a fare bella mostra proprio di quelli che oggi sono diventati, invece, assordanti silenzi morali, civili e culturali, dopo il 1989, anno della caduta del muro di Berlino e della morte di Sciascia. Sì, proprio allo stemma araldico del Municipio di Racalmuto ci riferiamo che, guarda caso, ironia della sorte, reca la scritta in latino: obmutui et siluicor meum enituit”. Grosso modo, vuol dare ad intendere che nel silenzio ci si rinvigorisce o, se preferite, “il silenzio è d'oro”.
Non si tratta di omertà o, peggio ancora, di quella rassegnazione che ti assale quando, soprattutto, ci si trova al cospetto di un potere cieco che ha la pretesa di schiacciare le libertà individuali ed ogni sussulto o anelito di civiltà.
Ed erano veramente proverbiali i lunghi silenzi, intercalati nelle sue conversazioni, di Leonardo Sciascia, mentre si crogiolava tra una sigaretta e l'altra, avvolto da una coltre di fumo, dietro la quale lo si intravedeva, magari in penombra.
Quei silenzi rompevano i timpani a chi attendeva una sua parola, una sua meditazione ad alta voce, una sua riflessione sui valori di giustizia e libertà, quelli autentici.
E, puntualmente, le sue esternazioni suonavano male per taluni che sguazzavano all'interno, appunto, di un 'Contesto' italiano ed anche internazionale, privilegiando le tiranneggianti logiche del potere come sopraffazione. Leggasi i rapporti compromettenti tra terrorismo ed il cosiddetto potere costituito degli Stati Nazionali, Guerra Fredda e definitivo tramonto delle ideologie che verrà definitivamente e plasticamente percepito con la caduta del muro di Berlino.
Oggi si direbbe che la metafora sciasciana della mancanza di idee nel mondo viene supplita da un angosciante vuoto, conseguente al tramonto delle ideologie catto-comuniste, socialiste o neocapitaliste che dir si voglia.
Specie in questi gravi momenti di pericolosa crisi economica internazionale, ancor più grave di quelle del 1929.
E lo spazio di un silenzio sottraeva in Sciascia tempo agli imbecilli, in preda a falsi furori pseudo giustizialisti.
Ed anche quando una condanna si rivela ingiusta o buona solo a placare gli animi di irriducibili approfittatori di un sistema di potere, di un regime, ci sta tutto dentro al 'Contesto' che una persona, ingiustamente condannata, se ne esce dicendo che i quattro anni di carcere, di pausa di vita e di libertà, non gli sono poi pesati tanto, perché poi, fondamentalmente, la libertà ciascuno di noi se la porta dietro, solo ed esclusivamente dentro la propria testa.
E nessuno ti può sottrarre la libertà mentale.
Soltanto togliendoti la vita ti possono togliere la libertà che è anche voglia di continuare a vivere.
Ed è in un altro libro, un saggio-inchiesta dal titolo Morte dell'inquisitore che Sciascia esalta i prepotenti atti di ribellione posti in essere da un monaco di Racalmuto, tal Fra Diego La Matina, il quale nel '600, unico caso nella storia delle santa o, per meglio dire, diabolica inquisizione, riesce ad uccidere, con le manette ai polsi, il suo inquisitore.
La disputa tra il presunto eretico, Fra Diego ed il vescovo spagnolo, Lopez de Cisneros (inquisitore e vittima nel medesimo tempo), oscillava tra la vita eterna e la morte corporale.
L'inquisitore voleva comminargli la morte e salvare l'anima a Fra Diego. Il monaco racalmute4se che, giustamente, ci teneva a rimanere in vita, si fece accompagnare all'inferno o, se preferite, verso il Padreterno, fracassandogli il cranio.
E così morirono tutti e due, con buona pace dell'anima di chi crede nella vera libertà che dalla ragione e dalla giustizia discende e che per ucciderla, la libertà, bisogna strappare le menti ed i cuori di tutti gli uomini del mondo.
E sarebbe allora il più grande olocausto di civiltà.
Questa è la Racalmuto che rappresento, con i suoi personaggi, realmente vissuti, realmente uomini liberi.
Uomini di 'tenace concetto', mai proni di fronte al potere.
Ed in fin dei conti non sempre la giustizia degli uomini 'ci azzecca', direbbe qualcuno, perché a volte capita anche all'innocente di essere stritolato dall'ingranaggio ed è, come dice Sciascia, quando capita un incidente ed un automobilista ti mette sotto.
Innocente, ed è stato investito da un'automobile.
Senza voler essere eccessivamente relativisti, tutti quanti possiamo essere innocenti.
Salvo che non si verifichi un inaspettato e tragico incidente che, in altri termini, possiamo chiamare 'errore giudiziario' e su cui si può costruire qualsiasi impostura o mistificazione.
Il tutto tradotto, può significare produrre una sentenza definitiva che rappresenti un punto fermo, atto a reprimere ogni forma di ragionevole dubbio, anche quando è giusto e lecito dubitare.
E così che si consumano gli autodafé, gli atti di fede.
Anche attraverso sentenze memorabili e per ciò stesso, inesorabili, ma, spesso, estremamente ingiuste.