Giovanni Maria Bellu - "Non conosceva il compromesso"

Per la cultura italiana è come si fosse riaperta, quattordici anni dopo la morte di Pier Paolo Pasolini, una ferita che probabilmente mai s'era del tutto rimarginata. Le reazioni alla morte di Sciascia ricordano per la molteplicità delle voci, quelle di quattordici anni fa.
C'è l'amarezza di Giulio Einaudi, editore dello scrittore siciliano fino all' 83, che oggi avverte come definitiva e irreversibile una perdita alla quale non s'era mai rassegnato. C'è il dolore rabbiosamente vissuto, da allievi che non hanno più il maestro, dagli altri siciliani. E c'è anche – proprio come per Pasolini – il cordoglio del mondo del cinema.
Un dolore corale e multiforme che confluisce, stemperandosi, nei ricordi dolci e solari di giornate tra i vigneti e gli orti di Racalmuto. E' un pranzo nella casa del paese che Einaudi descrive, raccontando Sciascia, nel suo “Frammenti di memoria”. Era il 1983, e lo scrittore s'accingeva a lasciare la casa editrice torinese: “Durante quel pranzo – scrive Giulio Einaudi – gli chiesi di ripensare al suo già ventilato 'tradimento' letterario. Lui, semplicemente, scosse la testa. “Lo ricordo come una cosa mitica – diceva ieri Einaudi – conservo quest'immagine: un'immagine ferma, statuaria. Non conosceva la duttilità, e questo lo rendeva non facile al compromesso. Lo ricordo così, e resta un mito”.
Einaudi non s'era rassegnato. Anche perché attribuiva la perdita di Sciascia soprattutto alla crisi
della casa editrice. Il ritorno a Racalmuto, il passaggio alla Sellerio, sarebbero avvenuti dopo. “Lui – dice l'editore – è stato uno di quei rari intellettuali che, dopo aver raggiunto una fama internazionale, riescono a conservare un rapporto con la propria terra: ha vissuto là, ha stimolato iniziative locali. Amava molto gli scrittori siciliani”.
“La sua opera – è il commento di Vincenzo Consolo, uno degli 'allievi' – è un continua Conversazione in Sicilia. Questo riferimento all'opera d'un altro grande siciliano, Elio Vittorini, ha un riscontro non solo ideale: fu nella collana diretta da Vittorini che Sciascia, nel 1958, pubblicò la sua opera prima,Gli zii di Sicilia.
Consolo fa risalire l'ispirazione civile di Sciascia alla “rivoluzione culturale” dei lavoratori delle solfare i quali, “alla rassegnazione dei contadini e dei pescatori, hanno sostituito il mondo dell'operaio calato nelle profondità della terra”. E' questo il luogo della sintesi tra il rapporto con la propria terra e la dimensione planetaria dell'impegno di Sciascia: “Per lui la Sicilia – dice Consolo – è soltanto una metafora del mondo. E lui ha sempre combattuto contro ogni offesa alla dignità dell'uomo. Circa vent'anni fa, mi scriveva che era continuamente tentato di deporre la penna. Ma non lo faceva perché la realtà che aveva attorno non glielo permetteva. Questa era la sua generosità”.
Fa un'affermazione speculare un altro grande allievo: “Ora che è morto Sciascia – dice Gesualdo Bufalino – noi scrittori siciliani non possiamo più permetterci vacanze. Ci sentiamo più carichi di responsabilità”.
Sciascia letterato siciliano e Sciascia combattente sono figure inscindibili. Compaiono assieme in tutte le reazioni alla sua morte. Ma è l'impegno civile a cementare il cordoglio, rendendolo corale e appassionato: ”Sciascia – ha detto frenando a stento il pianto Pietro Consagra, uno dei più grandi scultori europei -  era la vera bandiera della Sicilia. Un narratore straordinario che denunciava, per cambiarla, la realtà sociale della nostra isola. Era complesso, profondo, ma sempre legato ai problemi veri. La violenza e la mafia non erano per lui soltanto oggetto di denunce e spunti felici. Erano argomenti di sofferenza”.
“La perdita di Sciascia – dice Alberto Moravia – è irreparabile non  solo per il romanzo, ma anche per quello che ha rappresentato dal dopoguerra ad oggi”.
Cosa abbia rappresentato, ieri l'ha detto anche un magistrato, Giancarlo Caselli, membro del Csm:
“La lettura e la riflessione sugli scritti di Sciascia sono stati un capitolo fondamentale nella formazione degli uomini della mia generazione. Questo vale in particolare per chi come me fa il mestiere di giudice”.
Quattordici anni dopo Pasolini, attorno al letto di morte d'un grande scrittore scomodo, si riunisce il mondo culturale italiano. Ci sono letterati come Natalia Ginzburg ed Enzo Siciliano, giornalisti come Camilla Cederna, critici letterari come Leone Piccioni, Alberto Asor Rosa e Domenico Porzio (che l'ha definito “uno dei più grandi scrittori del nostro tempo”).
“Dopo quella di Pasolini e di Calvino – dice Asor Rosa – la scomparsa di Sciascia chiude una fase della letteratura italiana del '900”. “Viene a mancare – ha affermato Francesco Rosi, regista di “Cadaveri eccellenti” - un riferimento molto importante nella lotta alla mafia, ai soprusi e alle corruzioni del potere politico”. E un altro regista, Damiano Damiani (“Il giorno della civetta”) dice di ricordare Sciascia come un “vero siciliano”: “Uno che non amava molto discorrere. Però come succede spesso, quelli che parlano poco dicono di più...”.

(da La Repubblica, 21 novembre 1989)