Antonino Nuzzo - La Sicilia non è solo isola

 

 “Che l’inguaribile tormento del confronto tra la messe e l’opera, tra l’ideale e la fatica, non li avvilisca, ma li sproni a divenire sempre meno indegni della loro divina vocazione”. E’ un brano di preghiera di don Primo Mazzolari che risale agli anni ‘40, dopo aver celebrato il suo venticinquesimo anniversario di Messa. Lui, parroco, ebbe modo di potersi “confrontare” con uomini politici, letterati, artisti. Il cardinale Bevilacqua, nel 1963, in un corso di esercizi spirituali ai sacerdoti, raccomandava: “Il prete deve sentire “fame e sete di giustizia”, secondo il Vangelo, deve capire il suo compito e vedere in ogni ingiustizia sociale una violenza a un ordine divino del quale egli è stato costituito sentinella avanzata. E così si potrebbe dire di ogni cristiano”. Negli anni post-conciliari era uscito il libro Lettera ad una Professoressa, dove i ragazzi di don Milani, da Barbiana, scrivevano “ …prima i preti non aprivano la porta a nessuno …alla nostra mensa, ora siedono poveri, ricchi, signori, cattolici, miscredenti, atei, e i preti allora parlavano solo dall’altare”.

Ho voluto citare i preti più noti e forse un po’ scomodi, profeti del dialogo, in tempi veramente non sospetti e poco inclini alla svolta del dialogo che Papa Montini aveva già impresso prima, durante e dopo il Concilio. L’Ecclesiam Suam è il documento che sancisce e conferma il ruolo della chiesa aperta al mondo e alla cultura contemporanea.

Sin dal 1987 avevo aperto un dialogo epistolare, per motivo di una ricerca  sulla figura del prete e del pensiero religioso in  Sciascia, che poi culminò nel primo incontro del marzo dell”88 nella casa-salotto di Palermo.

Un tentativo in quegli anni per dimostrare che “evangelizzare”, anzi un “nuovo evangelizzare”, poteva essere uno stile nuovo o più aggiornato di “fare teologia”.

Nel 1999, nell’occasione del decimo anniversario della morte di Sciascia, partecipando ad un omaggio fattogli da scrittori, nel capitolo “Sciascia e un Prete”, avevo scritto, a proposito della cultura cattolica, quello che mi dichiarò fin dal primo dialogo palermitano: “Trovo piuttosto vacue, chi non sa quanto in profondità si debba andare alla ricerca della libertà, le polemiche sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Bisognerebbe insegnarla meglio, questo sì. Ma la religione come materia di studio è una pietra su cui l’intelligenza si affila. Se ne sostanzia la fede per chi ce l’ha o la cerca. O ne vengono fuori i Voltaire, i Diderot”.

Quando avevo preso l’iniziativa di “dialogare” con lo scrittore di Racalmuto non sospettavo che fossi tra gli ultimi suoi interlocutori. La morte lo colse il 20 novembre del 1989. Da un anno appena  avevo conosciuto la sua umanità e la sua rara e profonda cultura. “ Leggo ogni giorno i Vangeli… per me è come dare ogni giorno  la corda all’orologio…”.  Era sempre dell’idea di Pirandello che prima di dichiararsi cattolici, bisogna essere “cristiani” di Vangelo. Quando presentai, casualmente e provvidenzialmente il mio Dio di Sciascia ai teologi italiani riuniti presso Oasi di Troina, citai un brano della sua lettera a me indirizzata nel novembre dell’87 a proposito della sua “teologia” spinoziana e perciò stesso della sua fede in Dio: “….Non sono, evidentemente, un cattolico: se non statisticamente nel numero di coloro che sono stati battezzati e non hanno abiurato…Il problema di Dio, mai risolto una volta  per tutte, lo risolvo ogni volta con Spinoza (fin dagli anni  della scuola), il problema del convivere umano con Voltaire e Diderot”.

Modestissimo il mio “dialogo” con l’autore di Todo Modo, dove la sua penna sferzante sembra aver raggiunto il  massimo della rabbia e della irrisione della chiesa e di una certa politica cattolica nella metà degli anni ‘70. Il cardinale Tonini, da buon cristiano e finemente letterato, invece definì quel romanzo “veramente inspirato”. Non è accaduta forse la profezia dello sgretolamento dei massimi partiti politici negli anni ‘90, dopo la caduta del Muro di Berlino? E i cattolici non sono ancora alla ricerca di una identità cristiana, popolare e democratica ?

Nella stessa presentazione ai teologi, ricordai Spinoza quando nel suo Trattato Teologico-Politico aveva scritto: “Mi sono spesso meravigliato, che uomini, i quali si vantano di professare la religione cristiana, e cioè l’amore, la gioia, la pace, la moderazione e la lealtà con tutti, contendessero tra di loro con tanta astiosa irruenza e si odiassero a vicenda con sì feroce accanimento; …..le cose sono ormai arrivate al punto che quasi non si può più distinguere di chi si tratti, se di un Cristiano, cioè, o di un Turco o di un Ebreo o di un Pagano.. per il resto conducono tutti la stessa vita” (TTP,4-5).

Il Dio e il cristianesimo di Sciascia coincidevano con quello di  De Unamuno: non credeva in Dio, ma viveva come se ci fosse, si comportava come un “ buon cattolico”.

Senza forzare le ideologie e senza cadere nelle mistificazioni, il cristianesimo e la religiosità, per lui, come per Pirandello,  vanno vissuti  “in piedi”, decisi, trasparenti e coraggiosi. Quella sua sentimentale e  inevitabile vocazione “illuminista” voltairiana era solo una segnaletica di stimolo e di meta per un cristiano controcorrente a tutti i livelli: umani, sociali e religiosi.

La religiosità popolare per Sciascia, basta vedere i suoi saggi dalle Parrocchie di Regalpetra alla Sicilia come metafora, doveva creare le premesse per una rivoluzione interiore e sociale. Bisognava uscire  da una passività religiosa e fatale che una certa cultura mediterranea ci ha regalato nella nostra Sicilia  arabo-spagnola, per andare al passo con “i segni dei tempi”.

Quando si accorse che un male imperdonabile lo conduceva alla morte il cavaliere, così lo ricordo, alludendo al suo testamento letterario e spirituale  Il Cavaliere e la Morte, non ebbe sussulto né di disperazione né di esecrazione :“Non ho paura della morte. No, no. E’ un fatto  naturale, come il nascere”. Gli andò incontro in maniera dignitosa, così come, nell’aprile dell'89, era andato a visitare il nuovo arcivescovo di Agrigento salendo con fatica i cento scalini dell’episcopio, offrendo a Mons. Ferraro un calice col quale lui stesso il 20 novembre dello stesso anno avrebbe celebrato la messa funebre del cristiano di Regalpetra, nel santuario del Monte a Racalmuto. Legato non solo storicamente  ma religiosamente  a quella Vergine che lo scrittore onorò non meno di Carducci e di altri scrittori e poeti, ed era presente, finché  fu possibile, alla festa di mezz’agosto.

Ancora molti si chiedono, mi domandano: quante volte  si era confessato?

Le solite indiscrezioni  clericali e devozionistiche. Come se il Cristo che avrebbe  voluto liberare  davanti a Pilato e farlo parlare per annunciare la verità per lui e per tanti in cerca di verità, avesse solo una strada, quella ufficiale, di lavare la coscienza alla fontana pubblica per poi ritornare ipocritamente, come prima  o peggio di prima. Il protagonista degli  Zii di Sicilia non ci sta con questo rituale liturgico di protocollo esteriore per i cattolici dell’anagrafe dei libri parrocchiali. Beninteso, lo scrittore di Todo Modo, come commentò il Cardinale Tonini, leggendo Il Dio di Sciascia, ha inteso liberare la chiesa, la democrazia, la politica dalle incrostazioni mediovali e manichee da una certa inquisizione che serpeggiava prima e dopo il Concilio. I profeti insegnano: Mazzolari, Don Milani, Bevilacqua etc. Sciascia vestiva non in tonaca ma con la penna dello scrittore del segno dei tempi. Coraggiosamente, uscendo dalle sicurezze siloniane, liberandosi dagli schieramenti partitici e politici, radicali e comunisti, volle cavalcare da Cavaliere oltre il cancello della morte nello sfondo della preghiera e del deserto.

L’aveva previsto che i muri sarebbero crollati come quelli di Gerico; per questo, chiedeva  vigilanza, coraggio ai siciliani, metafora di tutti i cristiani, e perciò dell’Europa, che viviamo un unico destino di comunione tra cielo e terra: CE NE RICORDEREMO DI QUESTO PIANETA. Questo volle si scrivesse sulla sua tomba all’ingresso del cimitero. Un annuncio! Un grido! Una profezia! L’uomo e la verità non muoiono.

A distanza di 20 anni il dialogo continua. In questi anni abbiamo assistito, davanti a simposi nazionali, europei  e mondiali, al miracolo inarrestabile di dialoghi tra credenti e agnostici, tra cattolici e atei.

La Sicilia non è più e solo isola, ma laboratorio e accoglienza del Mediterraneo, terra di santi e d’ingegni. Pulpiti di penne e di profezie che tentano di congiungere non  solo gli “stretti ma di disegnare una carta europea premessa della più promettente globalizzazione planetaria.