L'adorabile Stendhal

Leonardo Sciascia, L’adorabile Stendhal (a cura di Maria Andronico Sciascia e con un saggio di Massimo Colesanti), Milano, Adelphi, 2003, pp. 225, euro 12,00

Chiamare predilezione quella di Sciascia per Stendhal è dire poco: tra gli scrittori il più amato, in una semplice parola - “adorabile” – l’autore di Todo modo ha concentrato il suo sentimento per il francese: “Può darsi che questa parola io l’abbia qualche volta scritta, e sicuramente più volte l’ho pensata: ma per una sola donna e per un solo scrittore. E lo scrittore – forse è inutile dirlo – è Stendhal”.
                Per le amorevoli cure di Maria Andronico, vedova dello scrittore, escono ora in volume gli scritti stendhaliani di Sciascia, ordinati per temi, sotto il titolo L’adorabile Stendhal. Il volumetto si completa di una Nota, a firma della curatrice, in cui sono indicati i titoli delle pubblicazioni che originariamente li avevano accolti; e di uno Scaffale stendhaliano, in cui si elencano i volumi posseduti da Sciascia, molti in francese, delle opere di e su Stendhal: un’incursione mai prima possibile per il comune lettore, e ricca di suggestioni; infine, un bel saggio di Massimo Colesanti, per quanto non troppo diverso da precedenti suoi scritti sull’argomento. Un libro che ha il merito di riproporre all’attenzione la storia di una passione, quella di uno scrittore per un altro scrittore, che a più livelli si stratifica e variamente, ma sempre nella gioia, trova espressione,  e le cui implicazioni, gli sviluppi, la critica sciasciana ancora non del tutto ha esplorato.
Pure, registrati i meriti, è impossibile tacere sulle contraddizioni in cui la vedova scivola a proposito di questioni editoriali, quelle riguardanti le opere del marito (le cui volontà testamentarie vietano – come si sa - di pubblicare i suoi scritti sparsi, mai editi in volume). Una contraddizione che sembra perpetuare quella del motto contraddisse e si contraddisse, dallo scrittore a suo tempo assunto a vessillo della propria esistenza. Il testo breve, intitolato “Stendhaliana”, la cui provenienza è indicata con un non meglio precisato “Di Leonardo Sciascia”, tradisce non tanto le volontà testamentarie del marito, quanto la rigida osservanza degli eredi a quelle stesse volontà – ligi soltanto con gli altri nel seguirle, dispensandosene di tanto in tanto. E c’è un precedente: la pubblicazione di Per un ritratto dello scrittore da giovane (Adelphi, 2000), sempre a cura della vedova dello scrittore, con testi fino ad allora mai editi in volume. E non si vuole qui dire che sia un male disattendere alle volontà dello scrittore, anzi (i precedenti sono tanti e illustri: dovrebbero pure insegnare qualcosa), soltanto si rileva la contraddizione, stridente molto alla luce della recente causa intentata dagli eredi dello scrittore all’editore Sellerio, per la pubblicazione del meritorio Leonardo Scianca scrittore editore a cura di Salvatore S. Nigro.
Il discorso stendhaliano, in Sciascia – come ora meglio si può apprezzare - si declina in tre grandi filoni - seguendo le indicazioni di Ricciarda Ricorda -: il proprio personale stendhalismo; l’aspetto più propriamente critico riferito alle opere del francese; le riflessioni sulla letteratura, suggerite da un’opera, per Sciascia al pari di quella di Montaigne, in cui labile è il confine tra vita e letteratura, e il cui perno è la verità.
Stendhal e la Sicilia è il testo capolavoro del suo discorso stendhaliano, quello in cui più si esalta la sua vena narrativa, e più spiccata appare l’imitazione del modello. Sulla base di alcuni passi in cui Stendhal racconta di essere andato in Sicilia, senza esservi mai veramente andato (una delle sue innumerevoli mistificazioni), e sulla base dei suoi frequenti riferimenti a cose siciliane, nonché sul desiderio di voler intraprendere quel viaggio, Sciascia ricostruisce, stendhalianamente, un viaggio mai compiuto: nel gioco delle ipotesi fantasiose, sempre condotte con rigoroso scrupolo.
                Stendhal rappresenta per Sciascia il costante punto di riferimento, nella vita e nella letteratura: la sua conoscenza degli uomini, del cuore umano, ritenendola “totale e assoluta” (come dichiarato da Sciascia in un passo di Nero su nero, quando, “per la prima volta”, registra di trovarsi in disaccordo con l’autore della Certosa di Parma – un vero peccato che il passo sia stato escluso dal volumetto).
E’ frequente il caso, nei suoi scritti, che uno scrittore, un fatto (magari uno di quei fatti diversi, oggetto di tante Cronache stendhaliane o di Cronachette sciasciane) sia interpretato, infine si riveli nel segno di Stendhal. Emblematici sono i casi di Napoleone e Casanova, le cui vicende sono rilette in chiave stendhaliana. E di Napoleone sia sottolineata l’ammirazione dello stesso Sciascia: tanto poteva l’amore per Stendhal, l’immedesimazione, al punto da ammirare un tiranno.
                Nella concezione che aveva Sciascia della letteratura come sistema di oggetti eterni, Stendhal è posto al centro: come il sole che illumina i tanti diversi pianeti; ovvero gli scrittori, i libri, l’universo sterminato che è la letteratura.


Marcello D’Alessandra

        
Recensione apparsa su “Stilos” del 16 dicembre 2003