L'udienza

Pietro Milone, L’udienza – Sciascia scrittore e critico pirandelliano, Manziana, Vecchiarelli, 2002, pp. 271, euro 20,66


||La sterminata bibliografia critica sciasciana si arricchisce di un libro davvero di gran pregio, a pieno titolo da inserire tra quei pochi che possono dirsi fondamentali in questo campo – è bene dirlo subito e perentoriamente, a parziale risarcimento di un’attenzione che non è stata pari a quella che il libro avrebbe meritato. Il tema affrontato da Pietro Milone è cruciale, oltre che riepilogativo dell’intera vicenda umana e letteraria dello scrittore di Racalmuto: il suo rapporto con Pirandello, contrastato dapprima, nel tentativo vano di sfuggire a quel pirandellismo di natura nel quale scopriva di vivere, conciliato infine nella serena comprensione delle somiglianze, in un rapporto dallo stesso scrittore paragonato a quello del figlio col proprio padre. L’ininterrotto dialogo sul piano letterario è testimoniato dai suoi primissimi scritti critici, fino al conclusivo Alfabeto pirandelliano, nell’anno della morte. E così nella narrativa, dove i rimandi all’opera dell’illustre conterraneo sono costanti, ora più ora meno scoperti, e fino alla fine, con Una storia semplice. Un tema - e non poteva essere altrimenti - già ampiamente dibattuto dalla critica, tanto più facile, quindi, cadere nel già detto, e per il lettore pensare, ma solo per pigrizia, a questo libro come a un onesto e se va bene dettagliato resoconto. Se non fosse che nessuno al pari di Milone ha dedicato attenzione all’argomento, negli ultimi anni, e questo libro ne è una magistrale testimonianza, fin nelle note, densissime, quasi un testo parallelo.

Il saggio ripercorre le vicende e le fasi della critica pirandelliana e più in generale della scrittura di Sciascia, specialmente dopo la svolta ideologica, estetica e critica registrata alla fine degli anni Settanta, per giungere all’inconcluso, testamentario, “discorso da fare”, abbozzo di un’estetica del paradosso, la cui ricostruzione, secondo Milone, consente di gettare nuova luce sulla conclusiva poetica dello scrittore e sul suo rapporto con Pirandello.

Due cose Milone, preliminarmente, nella Premessa tiene a precisare. La prima: il critico Sciascia, tanto più quando cercava di esserlo “di professione”, si trasformava in personaggio che non si sottraeva ai condizionamenti ideologici dell’epoca; quando invece da scrittore, da uomo solo, egli leggeva Pirandello – in apparenza tendenziosamente, in realtà liberamente – finiva per andare al cuore dell’autore. La seconda: su Sciascia perdura, nonostante alcuni recenti e fondamentali studi, un’incomprensione critica che ha finito per imprigionarlo dentro la Forma di scrittore illuminista, dando corso a uno sciascismo che non è meno tenace del pirandellismo dal quale Sciascia tentava di liberare Pirandello.

La svolta intervenuta nella biografia intellettuale di Sciascia – dall’iniziale concezione di letteratura come rispecchiamento della realtà, secondo il modello gramsciano-lukàcsiano, alla successiva concezione platonica, con la realtà che finisce per essere una copia più oscura e degradata dei suoi archetipi letterari - è stata analizzata da Massimo Onofri, Milone qui la riprende e integra, in rapporto a Pirandello, e su di essa impernia il suo studio.

Tra i suoi meriti maggiori, l’avere sottolineato l’influenza del modello interpretativo di Giovanni Macchia, nella lettura dell’opera pirandelliana, in quella particolare chiave spiritica dei personaggi che consentiva a Sciascia di misurarsi con quell’oltre verso cui si sentiva sempre maggiormente attratto (in compagnia di Borges, di Savinio, e di Pascal).

Si può discutere se l’opera spartiacque, nella narrativa sciasciana, a testimonianza della svolta, sia Todo modo, come da Milone indicato, oppure Il contesto, di qualche anno precedente, dubbi non rimangono invece sulla ricchezza di un libro che tocca un sorprendente numero di temi. Basterà qui rammentare, tra i tanti, quello della concezione di verità per Sciascia, e tra le molte sollecitazioni che il libro offre, particolare attenzione merita quella che suggerisce di studiare i rapporti con Kafka, pressoché inesplorati, ancora oggi, dalla critica sciasciana.

La scrittura come tortura, rileva bene Milone, per lo scrittore Sciascia “ingegnoso nemico di se stesso”, ma c’è anche, al contempo, una felicità dello scrivere, un prendere diletto, nell’autore del Giorno della civetta, tanto che amava richiamarsi al motto di Montaigne, “non faccio niente senza gioia”: l’ennesima antinomia, che bene poteva aggiungersi alle altre, in quell’estetica del paradosso nel libro così bene delineata.

Le conclusioni cui giunge la ricerca di Milone nascono sotto il nome di Manzoni e Pirandello (col conclusivo primato – val la pena ricordare - riconosciuto da Sciascia al secondo): “Sciascia è divenuto pirandelliano perché, manzonianamente convinto dell’esistenza di una verità assoluta, ha colto dell’opera di Pirandello non solo il più appariscente lato scettico-relativista (tendente al nichilismo ontologico sottolineato da Di Grado), ma il, forse più nascosto, lato opposto del rapporto con l’oltre sul quale si può fondare l’affermazione della letteratura come assoluto”.

Marcello D'Alessandra

Recensione apparsa su "Stilos" del 9 settembre 2003