Leonardo Sciascia dinanzi ai problemi dell'educazione (meta)linguistica

Il libro Sciascia maestro di scuola di Barbara Distefano, pubblicato da Carocci editore nel 2019, smonta lo stereotipo giornalistico che ha sempre voluto Leonardo Sciascia ‘maestro svogliato’ e che ha relegato l’attività scolastica dello scrittore in un ruolo del tutto marginale rispetto alla dimensione intellettuale e letteraria. L’autrice dimostra invece che non solo i registri scolastici costituiscono addirittura un avantesto delle Cronache scolastiche, ma che l’esperienza scolastica si configura come un laboratorio vero e proprio di riflessioni che confluiranno poi nel percorso letterario, e dunque la scuola, rappresentando quasi un cartone preparatorio di tanti aspetti non solo didattici, viene ricollocata fra i centri di produzione della letteratura italiana contemporanea. Salvatore Claudio Sgroi, nella puntuale disamina, già postata sul blog di Fausto Raso  l’8 luglio scorso, e che qui riproponiamo, mette in luce uno di questi elementi, cogliendo dal testo di Distefano itinerari linguistici e metalinguistici di grande rilevanza.

L'evento editoriale

Il testo di Barbara Distefano Sciascia maestro di scuola (Carocci 2019) è un ghiotto volumetto che permette di conoscere le difficoltà incontrate da Leonardo Sciascia (1921-1989) nel suo lavoro quotidiano di maestro elementare a Racalmuto con alunni poverissimi e per lo più ripetenti, dall'ottobre 1949 al giugno 1957, quando decise di andare in pensione per dedicarsi a tempo pieno alla sua attività di scrittore e giornalista impegnato.

 Le «Osservazioni sulla vita quotidiana della scuola»

L'A. ha infatti trascritto la «Cronaca di vita della scuola» con le «Osservazioni sulla vita quotidiana della scuola» (pp. 137-60) dei Registri che il maestro Sciascia era tenuto a compilare mensilmente.

La difficoltà di categorizzazione della realtà

La difficoltà di categorizzazione della realtà dei suoi alunni con relativa verbalizzazione, il passaggio cioè dai pensieri alle parole, è subito colta da Sciascia quando osserva che

(i) «Capire il tempo che si fa storia e la storia che si fa lingua ─ capirlo, s'intende, nella maniera più elementare e più povera ─ è cosa che sta nettamente al di là di ogni loro capacità» (Registro 1, nov. 1949 p. 137).

(ii) «Non riescono a convincersi che definizioni e fatti appartengono alla terra e agli uomini» (Reg. n. 3, dic. 1951, p. 146).

Sciascia in più luoghi denuncia le deficienze dei suoi alunni, per lo più ripetenti, riguardanti la «lingua», «il linguaggio»:

(iii) «L'insegnamento della lingua è il punto scabroso della nostra scuola ─ dico della scuola dei nostri paesi, dove i ragazzi non leggono mai un giornale (e anche i loro padri), non vanno al cinematografo, non concepiscono che la lingua italiana possa essere strumento di comunicazione quotidiana» (Reg. n. 3, giugno 1952, p. 148).

(iv) «Noto negli alunni una certa disposizione all’aritmetica; ed una assoluta negazione per ciò che riguarda la lingua, la storia, la geografia» (Reg. n. 1, nov. 1949, p. 137).

(v) «Come nello scorso anno, la deficienza capitale di questi ragazzi sta soprattutto nella lingua. Quale strumento ostico è per loro il linguaggio» (Reg. n. 2, nov. 1950, pp. 141-42).

La competenza della lingua parlata e della lingua scritta

Per quanto riguarda i problemi della competenza della lingua parlata e della lingua scritta, ovvero delle quattro abilità (ascoltare, parlare, leggere e scrivere con corretta grafia e in maniera logica, composizioni e riassunti), S. non fa che sottolineare le difficoltà da lui rilevate:

(i) «Nella lettura, tranne due o tre, tutti non riescono a liberarsi da un inceppato sillabare; ed anche quelli che leggono più speditamente, acquistano leggendo tale frettolosità, sorvolando così leggermente sulle parole, da creare una lettura diversa da quella che hanno sotto gli occhi» (Reg. n. 3, nov. 1951, p. 145).

(ii) «Batto sulla tavola pitagorica, tento qualche dettato il cui esito mostruoso mi sconforta» (Reg. n. 3, ott. 1951, p. 145).

(iii) «Lentamente osservo che vanno riprendendosi per quanto riguarda il calcolo, ma restano fermi alle loro mostruosità ortografiche» (ibid.).

(iv) «non accenna a migliorare il loro modo di lettura, la loro ortografia – e non dico delle loro capacità di costruire un pensiero, di riferire su una cosa vista o ascoltata. Ho detto loro di scrivermi quel che avevano visto nella festa, dedicata alla Madonna delle Grazie: l’ho chiesto, prima oralmente, a ciascuno di loro, ho corretto le loro espressioni, altre ne ho suggerito. Ma, allo scrivere, non sono andati oltre un elenco di nomi senza nesso, affastellati sulla pagina in confusione ortografica terribile» (Reg. n. 3, nov. 1951, p. 145).

(v) «Eguale sicurezza non mostrano nel saper ricomporre con parole loro un racconto, un capitolo di storia, etc.» (Reg. n. 3, giugno 1952, p. 148).

(vi) «Mi preoccupa molto, nei ragazzi, l'incapacità a comporre e a riassumere ─ sia oralmente, sia per iscritto ─ i brevi racconti che leggono e rileggono nel nuovo testo. Non così per l'aritmetica [...]. Sempre difficoltoso il rendimento nella storia e nella geografia» (Reg. n. 1, dic. 1949, p. 138)

(vii) «La composizione è sempre difettosa, caotica, sgrammaticata» (Reg. n. 4, nov. 1952, p. 149).

Competenza linguistico-semiotica

Sciascia non si limita allo sviluppo della competenza strettamente linguistica ma fa leva anche su quella più genericamente semiotica:

«Una poesia di Aldo Palazzeschi che ho loro dettata-- 'Rio Bo' ─ è molto piaciuta agli alunni: l'immagine di quel piccolo paese di tre case, un prato, un ruscello, un cipresso e una stella, li ha incantati. Ho detto loro di disegnare, così come lo vedevano ─ il paese di Rio Bo: e si sono appassionati anche a questo» (Reg. n. 1, febbr. 1950, p. 139).

Competenza metalinguistica

Accanto ai problemi della competenza linguistica, ancora più drammatici si rivelano quelli relativi allo sviluppo della competenza metalinguistica, ovvero all'insegnamento della grammatica:

 (i) «nella mente degli alunni un certo rilassamento. Me ne accorgo soprattutto nell'analisi grammaticale, in cui stentano più del solito e rispondono a casaccio, senza convinzione» (Reg. n. 2, gennaio 1951, p. 142).

(ii) «si trovano di fronte alla grammatica come di fronte a una cosa astratta» (Reg. n. 3, marzo 1952, 147).

(iii) «Ugualmente vuoto è per loro lo studio della grammatica. Non dico che siano tutti così: certoqualche elemento si salva» (Reg. n. 4, gennaio 1953, p. 150).

Sciascia sottolinea bene le difficoltà della capacità di astrazione richiesta proprio dallo studio grammaticale, distinguendo tra il riconoscimento delle categorie grammaticali e le loro definizioni:

(iv) «nella pratica applicazione delle nozioni di aritmetica e nel riconoscimento pratico delle parti del discorso finora studiate mostrano una certa sicurezza. E a questo proposito è da notare che, pur riconoscendo senza notevoli incertezze, nomi aggettivi pronomi e verbi nell'analisi di una proposizione, trovano grande difficoltà a dare la definizione di queste parti del discorso» (Reg. n. 7 febb. 1956 classe III, p. 158).

Competenza dialettale

A fronte della scarsissima competenza della lingua nazionale, Sciascia non può non evidenziare la nativa competenza dialettale dei suoi alunni:

«Adoperano il dialetto con spontaneità, con precisione, con ricchezza di espressioni: e vorrei che, non dico la spontaneità, ma almeno la precisione toccasse un po’ alla lingua che faticosamente tento di formare in loro» (Reg. n. 2, nov. 1950, pp. 141-42).

Dal dialetto alla lingua

La competenza dialettale, potenziata dagli stessi programmi scolastici del 1951 nel solco di una didattica otto-novecentesca nota come «Dal dialetto alla lingua», è sfruttata dal maestro Sciascia, che riprendeva l'esperienza del suo maestro delle elementari degli anni '20:

«Cominciando ad introdurre nello svolgimento del programma le innovazioni volute dalla Regione [1951], ho dato ai ragazzi, da tradurre e mandare a memoria, una bellissima poesia del Meli: tre strofette tratte da “L’autunno”. Le novità delle cose e l’immediata comunicabilità del linguaggio, hanno prodotto il loro effetto. L’indomani tutti sapevano la poesia, la recitavano rispettandone – cosa insolita nella recitazione di poesie in lingua – le pause e il tono. L’esercizio di traduzione è poi utilissimo» (Reg. n. 3, gennaio 1952, p. 146).

Scelte linguistiche dei registri sciasciani

Come   evidenzia   l'A.,   gli   «otto   registri   del   maestro   [...]   sono   linguisticamente  [...] stilisticamente già pienamente sciascian[i]», con «incubati temi ─ come la giustizia, la Sicilia e lo Stato. ─ che saranno caratteristici del futuro scrittore» (p. 136). Non pochi sono in effetti i tratti rilevabili propri dello stile sciasciano, a tutti i livelli linguistici nelle 24 pagine qui trascritte (pp. 137-60). Ricordiamo solo l'uso istituzionale di loro rispetto al neostandard gli: «ho detto loro [... ]»(p. 138). L'accordo del part. pass. con l'ogg. post-verbale: «Abbiamo tra l'altro avute le elezioni amministrative» (p. 141), «che abbiano o meno avuta la promozione» (ibid.). Sintagmi retrogradi«agg. + nome»: «letargica indifferenza» (p. 143), «un desolante garbuglio (ibid.), «recriminante invidia» (p. 139), «nostalgiche castronerie» (p. 157). Lessico decisamente colto: «i ragazzi si attardano in campagna» (p. 152), «suole crepate» (p. 158), «servigi familiari» (p. 152). L'idiolettale «letture divagative» (p. 139). E non manca qualche virgola tematica, dopo il soggetto pesante:«L'idea dello spazio infinito e degli astri<,> è cosa che non comprendono» (p. 142).

Rilievi neopuristici

La Distefano trascrivendo i registri sciasciani non sa trattenersi dal ricorrere alla matita rosso- blu punteggiando il testo con dei [sic], che sono invero indizio di atteggiamenti neo-puristici dell'A.

(i) «L'inizio della refezione scolastica per gli alunni più bisognosi, chi sa perché, rimandata [sic]» (p. 142). L'accordo morfo-semantico è invero pienamente giustificato sia dalla distanza sintagmatica tra il soggetto grammaticale («inizio») e il predicato verbale sia dalla semantica (è la«refezione» ad essere «rimandata»).

(ii) Un indicativo pro congiuntivo è solo informale: «soltanto così è stato possibile ottenere l'orario antimeridiano, benché la cosa non ci è [sic] dispiaciuta» (p. 144).

(iii) «Spero, benché non sia del tutto bene, <di> non essere più costretto ad allontanarmi dalla scuola» (p. 149): la presunta omissione della preposizione di è in realtà un uso letterario (cfr. gli ess. nel Battaglia di Pannuccio del Bagno '200, Pulci '400, Ariosto '500, Tansillo '500), e peraltro non isolato:

(iv) «e spero in questo tempo <di> poter definitivamente recuperarli [= gli alunni] alla scuola, e promuoverne una percentuale alta» (p. 150), mentre non è segnalata in

(v) «Spero nel prossimo mese riportare la classe al corso abituale" (Reg. n.1, aprile 1950, p. 140), né in (vi) «tenta travolgere [ ] l'opera educativa» (Reg. n. 1, ott. 1949, p. 137).

In un caso invece la matita rosso-blu non ha colpito, così in (vii) «Il sussidiario, sebbene ben illustrato, non è un buon [sic!] strumento» (registro n. 1, dic. 1949, p. 138 e p. 105 n. 159).

Infine, l'A. tacitamente normalizza (viii) gli accenti gravi di pressochè e perchè in acuti p.e. nel Registro n. 1 (pp. 137, 141).

L'antologia 1981-1982 e l'Educazione Linguistica.

Ai fini di una più piena comprensione dell'idea di educazione linguistica di L. Sciascia, di particolare interesse è l'attenzione riservata dall'A. (pp. 86-89) all'antologia per la scuola media L'età e le età, curata da Sciascia con G. Passarello e S. Siino (Palumbo 1980-1982, 3 voll.), preparata nell'arco di un lustro. Di cui interessa qui evidenziare il fatto che «A intervallare i brani di L'età e le età intervengono regolarmente le rubriche di Educazione linguistica e Lingua e società, nelle quali il lettore ritrova le riflessioni di T. De Mauro sulla pratica 'ingiustificata' del tema d'italiano, quelle di R. Simone [1973] sulle stratificazioni diatopiche dell'italiano, o quelle di Italo Calvino [1965] sull''antilingua'. L'antologia sembra, comunque, mettere in pratica l'idea che 'l'italiano non è l'italiano', e punta soprattutto allo sviluppo delle abilità comunicative e delle capacità di ragionamento» (p. 96).

Un desideratum: il «Piano mensile delle lezioni»

L'A., come detto, ha pubblicato (in 24 pp.) i commenti di Sciascia riportati nei registri, ovvero la «Cronaca di vita della scuola. Osservazioni sugli alunni», ma ha tralasciato di riprendere quanto Sciascia aveva indicato nel «Piano mensile delle lezioni», ovvero il programma che lui prevedeva di svolgere mensilmente. Dati essenziali per avere un quadro più soddisfacente della prassi di Sciascia maestro di scuola, recuperabili, si può sperare, in una seconda edizione del testo. Risulta tra l'altro per   es.   che   gli   «insegnamenti»  o   «materie  (di   studio)»  in   IV   elementare  riguardavano la

«Religione», l'«Educazione morale, civile e fisica», il «Lavoro», la «Lingua», la «Storia e geografia», la «Scienza e igiene», l'«Aritmetica e geometria», il «Disegno e bella scrittura» e il

«Canto».

L'A. peraltro ha trascurato quest'aspetto, avendo in mente l'obiettivo ambizioso di dimostrare che il testo delle «Osservazioni sugli alunni» costituisce addirittura un «avantesto» (p. 124) del racconto Cronache scolastiche, passate nelle omonime Cronache scolastiche de Le parrocchie di Regalpetra 1956. Ma è fin troppo facile obiettare che in filologia l'avantesto è «la fase di elaborazione precedente alla stesura di un testo», mentre le «Osservazioni sugli alunni» sono solo le note richieste dalla burocrazia scolastica a testimonianza del lavoro di un maestro, per quanto d.o.c., svolto in classe.