Nel paese di Cunegonda. Leonardo Sciascia e le culture di lingua tedesca

a cura di Albertina Fontana e Ivan Pupo, Firenze, Olschki 2019, 256 pp.

La dimensione cosmopolita del pensiero e dell’opera di Leonardo Sciascia è da tempo salda acquisizione dei suoi lettori e degli studiosi: tuttavia, alcune ricerche avviate recentemente, sia nell’ambito della collana «Sciascia scrittore europeo» promossa dagli Amici di Leonardo Sciascia presso l’editore Olschki, a cui appartiene il volume in esame, sia in altre sedi, stanno aprendo nuove prospettive, che consentono di apprezzarne tutta l’«ampiezza policentrica», per usare la felice definizione di Ivan Pupo (p. 108).

Nel paese di Cunegonda esplora l’area, poco indagata fino ad ora, dei rapporti e dell’interesse dello scrittore per la letteratura in lingua tedesca, aggiungendo un rilevante tassello alla conoscenza del suo universo culturale: interesse costante nel tempo, se la scoperta del romanzo di Joseph Roth, La marcia di Radetzky avviene per il vorace lettore quattordicenne già negli anni Trenta e l’attenzione per quel mondo si prolunga nel tempo; rapporti più complessi di quelli con le amate culture francese e spagnole, ma assai articolati e rivelatori. 

Ai due curatori del volume, del resto, va il merito di avere già da tempo aperto la strada agli studi in questo ambito, Albertina Fontana con un’originale e accurata ricerca sulle tracce di una possibile «fraterna vicinanza» tra Sciascia e la Germania,[1] Ivan Pupo con l’identificazione di uno scaffale della biblioteca di Sciascia rimasto precedentemente in ombra, quello degli scrittori austriaci del “crepuscolo di un mondo”, partecipi del mito asburgico studiato da Claudio Magris nel suo celebre libro del 1963.[2]

Tali competenze consentono loro di raccogliere ora un’ampia, articolata  serie di contributi, dovuti alla penna di studiosi di diversa provenienza geografica e di competenze differenziate, in grado di fornire una grande quantità di informazioni, analisi, approfondimenti: il testo, aperto da una densa e acuta prefazione di Bruno Pischedda, Le avventure di un illuminista romantico, che già nell’ossimorica definizione di «illuminista romantico» contenuta nel titolo coglie il complesso equilibrio del pensiero sciasciano, presenta due sezioni, Saggi e Testimonianze. La prima, più ampia, comprende a sua volta due parti, una con sette saggi dedicati alla presenza di riferimenti alle culture di lingua tedesca «nella lente di Sciascia», l’altra composta da sei interventi che vagliano il versante dell’attenzione della pubblicistica germanica per lo scrittore siciliano.

Ciascun contributo meriterebbe di essere citato, per le acquisizioni che contiene, per i diversi punti di vista che vi vengono proposti: a uno sguardo conclusivo, si ha poi l’impressione di un quadro che si definisce progressivamente nell’accostamento di diverse tessere, valorizzate dal reciproco rapporto.

Si proverà, in questa sede, a ripercorrere alcuni snodi centrali: per quanto attiene ai rapporti e all’attenzione di Sciascia per l’intellettualità tedesca, si leggono contributi dedicati a singoli episodi o a testi specifici, ma anche interventi che prospettano ampie direttive di ricerca: nella prima area si collocano i testi di Ulrike Reuter, che si riferisce a La scomparsa di Majorana, di Andrea Schembari,  dedicato a Sciascia lettore di Goethe, di Laura Parola, che indaga sull’interesse di Sciascia per L’Armada, romanzo storico di Franz Zeise, fatto pubblicare da Sellerio, di Giovanni Maria Fara, autore di una nota sull’approfondita conoscenza dello scrittore dell’opera di Dürer incisore, a margine della descrizione del Cavaliere e la morte Che apre il romanzo del 1988, e infine di Alessandro La Monica, che offre una sorta di istantanea di tre contatti importanti di Sciascia, documentati anche da lettere inedite, con Hans Magnus Enzensberger per la traduzione del Teatro della memoria, con Nino Erné ancora in merito a quel testo ma non solo, e con Rudolf Schenda recensore di Feste religiose in Sicilia.

 Particolarmente dettagliato e interessante è il saggio di Ulrike Reuter, «Notevolissime testimonianze a mio favore» (pp. 5-26), che propone inediti scambi epistolari tra lo scrittore e la comparatista italo-tedesca Lea Ritter Santini, autrice di un noto intervento comparso in appendice alla versione tedesca di La scomparsa di Majorana[3] e impegnata a fornire sostegno alle tesi ivi contenute, anche attivando contatti preziosi – di cui è fornita documentazione – con importanti scienziati tedeschi come la chimica Ida Noddack e il padre della fisica quantistica Werner Heisenberg: a emergere è l’intesa intellettuale tra Sciascia e Ritter Santini, che si manifesta nelle lettere intercorse tra i due ed è ancora confermata dall’invito da lei rivolto allo scrittore siciliano a partecipare a un convegno organizzato nel 1983 a Bad Homburg, presso Francoforte. Per inciso, è da una lettera della studiosa del luglio del 1982 che proviene il titolo del volume, Nel paese di Cunegonda: «La immagino nel caldo della Sua campagna, dove certamente canteranno anche di notte i grilli, mentre io guardo cadere le prime foglie ingiallite del mio ciliegio e mi viene in mente una specie di triste ammonimento […] “Austu austu capu inverno” (o quasi!). E qui, nel paese di Cunegonda si sente già leggera e lontana la sua aria» (p. 5), dove il riferimento a Cunegonda, forse non immemore del personaggio del Candide voltairiano, è riportato da Reuter all’imperatrice omonima del sacro Romano Impero all’inizio dell’XI secolo.

Molto articolato e ricco di riflessioni interessanti è anche il contributo di Laura Parola, L’«incubo corrusco del potere». Leonardo Sciascia legge Franz Zeise (pp. 47-65) che, nel ricostruire tempi e modalità della lettura sciasciana di Zeise, individua con acutezza i motivi dell’interesse dello scrittore siciliano per l’ancora poco noto intellettuale tedesco, sottolineandone la condivisa tendenza a scrivere per immagini e il comune fascino per quella componente onirica che, nella narrazione, riesce a rendere ancora più vera la verità stessa.

Sono infine i due saggi che concludono la sezione, dovuti alla penna dei due curatori, a proporre quegli sguardi d’insieme cui si accennava sopra: Albertina Fontana, È possibile una fraterna vicinanza? (pp. 87-98), riprende l’analisi dei contatti si Sciascia con la cultura tedesca ancora poco esplorati – l’interesse per il fotografo Helbig, su cui ritorna, in una delle testimonianze pubblicate nella sezione finale del volume, anche Pino Di Silvestro, ricordando come lo scrittore avesse acquistato il suo volume Sizilien, con una prefazione di Hugo von Hofmannstahl; il rapporto Pirandello – Wedekind, suggerito da Erné e il collegamento, sempre dovuto a quest’ultimo, tra Il teatro della memoria, Come tu mi vuoi e Siegfried di Girardoux. Ne deduce una serie di spunti che, insieme alle analisi di studiosi come Peter Kuon, Tytus Heydenreich e il medesimo Ivan Pupo le permettono di puntualizzare ulteriormente, con esemplare chiarezza le linee portanti del rapporto di Sciascia con le culture di lingua tedesca: se non mancano autori germanici con cui lo scrittore si è trovato in sintonia, come ad esempio Alexander Kluge, è però distante da quanti hanno fatto proprio il concetto di deutsches Wesen, «dai Romantici a Hitler», per riprendere il titolo di un saggio del pubblicista americano Peter Viereck, più volte citato da Sciascia stesso. Invece, lo scrittore ha ripetutamente espresso il proprio interesse e la propria ammirazione per gli autori dell’area mitteleuropea, Werfel, Lernet-Holenia, von Doderer, Schnitzler, Roth, Kafka: predilezione su cui ritorna anche Ivan Pupo nel saggio Nel crepuscolo di un mondo. Sciascia e il mito asburgico (pp. 99-123), approfondendo le analisi avviate nel già ricordato contributo precedente e concludendo che comunque Sciascia, pur affascinato dagli scrittori capaci di testimoniare le prime crepe antecedenti alla crisi destinata a travolgere tutto, sapeva «giudicare con lucidità e disincanto l’Europa paternalistica, non libertaria che il mito asburgico sublimava e che era destinata ad essere travolta dalla moderna realtà delle nazioni» (p. 122).    

Altrettanto ricca di contributi di grande interesse la seconda parte della sezione Saggi, dedicata all’altro versante cui si accennava, l’accoglienza che l’intellettualità tedesca riserva a Sciascia, verificata a vari livelli: l’accostamento ad autori tedeschi affini, nel contributo di Chiara Nannicini Streitberger che rileva le possibili analogie tra lo scrittore siciliano e Heinrich Böll, nel segno di una comune partecipazione «alle vicissitudini del proprio tempo»; il confronto con singoli testi sciasciani, con le approfondite e intense letture del Consiglio d’Egitto da parte di Maike Albath, autrice di un recente commento al romanzo, e dell’Affaire Moro, dovuta a Albrecht Bushmann; la valutazione ad ampio raggio della figura e dell’opera dello scrittore: la sua presenza sulla stampa tedesca, nel contributo di Domenica Elisa Cicala, le analisi decisamente critiche di Werner Raith ripercorse da Martin Hollender, le valutazioni di Ulrich Schulz-Buschaus, seguite nel loro dispiegarsi nel tempo da Albertina Fontana – instancabile nel prodigarsi per la costruzione complessiva del volume: a lei si devono infatti anche le sintesi/traduzioni dei tre contributi in tedesco contenuti in questa sezione.

Dall’insieme di questi interventi, cui va aggiunta la testimonianza di Salvatore Costanza, che ripercorre un episodio importante del rapporto di Sciascia con la cultura tedesca, i suoi contatti con il gruppo di ricerca sulle problematiche emigrazioniste dell’Istituto di Sociologia ed Etnologia dell’Università di Heidelberg,  consolidati anche dalla sua visita nella città tedesca nel 1967, per una conferenza sulla sua «esperienza sociale» di scrittore siciliano, è possibile desumere conclusivamente un diagramma della ricezione dell’opera sciasciana.

Nel complesso, l’interesse degli intellettuali tedeschi risulta costante e convinto, anche se non si configura mai in termini apologetici, ma presenta piuttosto una dimensione chiaroscurale: forte risulta l’attenzione per il polemista, come dimostrano gli interventi di Werner Raith, che pure esprime riserve per le posizioni assunte da Sciascia in diverse occasioni – su Moro, su Dalla Chiesa, sui “professionisti dell’antimafia”. Critico anche il comparatista e romanista tedesco Ulrich Schulz-Buschaus, che ha seguito nel tempo la produzione letteraria sciasciana, attento anche nel rilevarne l’ evoluzione  strutturale, avendo modo di incontrare lo scrittore al convegno di Bad Homburg del 1983, anche questo evento importante nel quadro dei suoi rapporti con la cultura tedesca, seppure in chiave problematica: si configura infatti come l’occasione in cui da un lato Sciascia si è trovato a esprimere con particolare chiarezza «la propria estraneità alla cosiddetta anima germanica» (p. 211), dall’altro Schulz-Buschaus ha preso le distanze dal pessimismo “totale” dello scrittore, una disperazione che gli sembrerà permeare i suoi ultimi romanzi.    

Proprio dal «duplice e reciproco reagente» che discende da queste pagine, «interesse a anche ammirazione da un lato, moderata e talora esplicita diffidenza dall’altro» sembra derivare, in ultima analisi, la «magia» di questo volume, per usare le parole di Bruno Pischedda, nel «perfetto bilanciamento del positivo e del negativo», con la consapevolezza che «i requisiti migliori per una ricerca consistono in una pregiudiziale indeterminazione, che non intende stabilire a priori gli esiti dello scavo» (p. X).

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

[1] Per una presentazione dei primi risultati di tale ricerca, cfr. Albertina Fontana, È possibile una fraterna vicinanza? Sciascia e la Germania, «Todomodo», VIII, 2018, pp. 205-216.

[2] Ivan Pupo, Requiem per la vecchia Europa. Sciascia e il mito asburgico. «Strumenti critici», I, gennaio 2010, pp. 167-186, poi in Id., Passioni della ragione e labirinti della memoria. Studi su Leonardo Sciascia, Napoli, Liguori 2011, pp. 163-183.

[3] Si legge nell’edizione tedesca, comparsa nel 1978; poi tradotto in italiano, Uno strappo nel cielo di carta, e inserito nella riedizione del 1985 di La scomparsa di Majorana presso Einaudi.

                                                                                                                                          Ricciarda Ricorda