Padri e figli

L’intervista a Jean-Noël Schifano Noel Schifano: Io, Sciascia e Guttuso. La mia Sicilia dei maestri di Salvatore Falzone, su “la Repubblica” del 27 luglio 2015, è in realtà una doppia intervista. Potremmo dire, una metaintervista. E nell’incastro tra le domande che il giornalista pone allo scrittore francese di origini siciliane e il ricordo di un’intervista a Sciascia dello stesso Schifano, passa la Sicilia, la sua cultura, il suo retaggio, gli scrittori, gli artisti.

Passano padri e figli, e il passato si fa presente. Schifano, scrittore e traduttore delle opere di Sciascia, racconta il primo viaggio in terra siciliana, nel paese di origine paterna, Serradifalco, neanche a farlo apposta lo stesso di Candido Munafò, e ricorda il primo incontro con Leonardo Sciascia. L’immagine che gli rimane di Serradifalco appare in bianco e nero, sa di creta e di zolfo: il “nero su nero” dei vestiti della zia, proprietaria di un bar, alla quale non si svela subito proprio come Ulisse quando torna a casa, per presentarsi finalmente “Sono il figlio di Totò”; il nero del caffè mancato per via della macchina rotta, e quello del vino che infonde gioia nel cuore; il bianco del latte richiesto che, come un viandante della Grande Grecia - terra che parte da Napoli e arriva a Pachino - avrebbe voluto bere dallo “skyphos”, il vaso di creta che era anche contenitore in cui si vomitava per aver troppo bevuto. Skyphos, schifo, Schifano: le origini attraversano le parole, le cose, la storia, la terra. Ma nel bar della zia non c’è nemmeno il latte. In compenso il pranzo in famiglia (diventata improvvisamente numerosa) e il gusto del Nero d’Avola che lo accompagna si proiettano in una dimensione mitica, e lui si sente ora figlio della creta e dello zolfo. Ma Serradifalco è solo la tappa intermedia per arrivare a Racalmuto, dove “mi aspettava l’umanità fatta scrittura. Fino alla sua morte, Sciascia è stato per me, e fino alla mia morte lo sarà, una indispensabile luce di vita e di lettura e di scrittura”. Il primo incontro con Sciascia era avvenuto già nel 1972 a Roma, Hotel Mediterraneo, piazza Esedra. Sciascia lo attende nella hall, lo accoglie con un sorriso e gli chiede se ha delle domande per lui. Undici per la precisione, scritte, pronte. Il grande scrittore le prende, risale in camera, torna dopo un po’ con un mazzo di fogli intestati dell’albergo: porge le risposte, scritte a mano con inchiostro blu nella sua bellissima grafia, al giovane scrittore, che ancora, dopo tanti anni, si emoziona a ripensarci. Altri incontri poi tra i due avverranno a Parigi, alla Noce, a Roma sotto la statua di Giordano Bruno e sulla scalinata della casa del pittore Fabrizio Clerici. E così a Palermo in Viale Scaduto e nell’atelier di Renato Guttuso, tra una cena preparata dalla signora Maria e una bottiglia di whisky offerta dal pittore.

Sciascia conduce Schifano nel cuore della Sicilia, attraverso i suoi scrittori, le letture, gli artisti. Sciascia, il letterato, troppo letterato per mettersi a giocare con la letteratura, scrittore di cose, non di parole, “secondo padre” di uno scrittore francese, siciliano, alla ricerca appassionata e vitale delle sue radici.

Roberta De Luca