Cognomi di scrittori

Molto spesso, per non dire quasi sempre, Francis Scott Fitzgerald viene citato come Scott Fitzgerald. In altre parole, il secondo dei suoi tre nomi – Francis Scott Key – ha finito per diventare, almeno apparentemente, il primo di due cognomi. Sulle copertine dei suoi libri, del resto, lo scrittore è indicato quasi invariabilmente come F. Scott Fitzgerald; e anche lo United States Postal Service, nel 1996, per celebrare il centenario della nascita, a Fitzgerald ha dedicato un francobollo in cui lo scrittore figura appunto come F. Scott Fitzgerald. Forse per rimanere nel filone Scott Fitzgerald, una giornalista italiana ha ribattezzato la moglie dello scrittore – da nubile Zelda Sayre – Zelda Scott Fitzgerald. Preso atto di tutto questo, è bene però ricordarsi che il cognome dell’autore di The Great Gatsby è uno solo, ossia Fitzgerald.
   Per rimanere nell’ambito della letteratura americana, della stessa imprecisione è spesso vittima Edgar Lee Masters, il poeta della Spoon River Anthology, che diventa Lee Masters.
   Passando da questo lato dell’Atlantico, e dalla narrativa e dalla poesia alla saggistica, si può facilmente constatare che il filosofo ed economista inglese John Stuart Mill viene trasformato a sua volta in Stuart Mill. Lo stesso trattamento viene riservato al romanziere Sir Arthur Conan Doyle, padre letterario di Sherlock Holmes, comunemente citato come Conan Doyle. Anche William Somerset Maugham viene quasi sempre indicato come Somerset Maugham, ma l’Encyclopædia Britannica certifica che il cognome è unico, ossia Maugham.


   Un altro autore – ma in questo caso italiano – che subisce la sorte di Fitzgerald, Masters, Mill, Doyle e Maugham è Luigi Foscolo Benedetto. L’illustre filologo e stendhalista, infatti, viene talvolta promosso a possibile lontano discendente, sia pur non diretto, dell’autore dei Sepolcri, con il suo cognome per così dire raddoppiato e rinforzato in Foscolo Benedetto.   
   Da circa una quindicina di anni, ossia da quando, grazie alla Adelphi che ne ha meritoriamente pubblicato varie opere, è diventato noto anche in Italia, un infortunio similare colpisce Patrick Leigh Fermor, scrittore inglese di grandi libri di viaggio.

   Nel suo caso – contrariamente a quanto accade a Fitzgerald, Masters, Mill, Doyle, Maugham e Benedetto – in qualche recensione il suo cognome è stato invece dimezzato. Infatti il Leigh, che costituisce la prima parte del suo doppio cognome, è stato omesso, per cui è rimasto il solo Fermor. (Ed è appena il caso di notare che, nella sezione del sito della Adelphi in cui è possibile cercare gli autori partendo dall’iniziale del loro cognome, Francis Scott Fitzgerald e Luigi Foscolo Benedetto figuravano sotto le lettere S ed F, rispettivamente come Scott Fitzgerald Francis e Foscolo Benedetto Luigi. Ciò avveniva fino all’ottobre 2016, quando ho segnalato le due distrazioni alla casa editrice, che ha provveduto alla rettifica. In compenso, Patrick Leigh Fermor era ed è correttamente presente sotto la lettera L, come Leigh Fermor Patrick.)
  
Anche Leonardo Sciascia incorse in questo tipo di distrazione. In “Duecento anni dopo” – uno dei tre saggi inclusi nella sezione “Stendhal for ever”, che chiude Fatti diversi di storia letteraria e civile, ultima delle sue raccolte saggistiche pubblicate in vita – Luigi Foscolo Benedetto è infatti citato come Foscolo Benedetto. E sempre come Foscolo Benedetto Sciascia lo aveva già citato nel testo di apertura – intitolato “Girgenti, Sicilia” – del saggio “Pirandello”, il più vasto e importante tra quelli raccolti nel 1961 sotto il titolo Pirandello e la Sicilia. (Sciascia era comunque in ottima compagnia: nell’edizione Pléiade Gallimard della Correspondance di Stendhal, infatti, Benedetto è citato come L. Foscolo Benedetto.)
   Sempre in “Girgenti, Sicilia”, Edgar Lee Masters è indicato sia con le sue generalità complete, sia con Lee Masters. Il saggio risale al 1960, e a quell’epoca – come del resto ancora oggi – l’autore della Spoon River Anthology era noto appunto come Lee Masters. Così infatti lo nomina Fernanda Pivano, nell’introduzione alla sua famosa traduzione pubblicata da Einaudi nel 1943, e da allora decine di volte ristampata. E nella stessa imprecisione incorre anche Antonio Porta, nell’introduzione del 1987 alla sua traduzione dell’Antologia di Masters.
   In conclusione, e ritornando per così dire all’inizio, ossia a Francis Scott Fitzgerald: nel suo caso, Sciascia non sbagliò. Il capitolo di chiusura di Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia si apre infatti così:

“La sera me ne andai da Lipp”. Era come un motivo musicale, da canzonetta, che in don Antonio affiorava ogni volta che vi passava davanti; e vi passava più di una volta, in un giorno, poiché era vicino al suo albergo. “La sera me ne andai da Lipp”. Hemingway o Fitzgerald? Forse Hemingway, Festa mobile.

   E si tratta – per quanto ricordo – dell’unica volta in cui Sciascia nomina esplicitamente l’autore del Grande Gatsby e di Tenera è la notte.

Euclide Lo Giudice

 

 

 

Una divagazione su nomi e cognomi

Capita a volte di leggere i nomi di autori o artisti stranieri in versione italianizzata: Guglielmo Shakespeare, Volfango Goethe, Benedetto Spinoza, Riccardo Wagner ecc. Il vezzo mi ha sempre lasciato un po’ perplesso, anche alla luce della prova del rovescio, consistente nell’internazionalizzare i nomi dei nostri autori: John Boccaccio, Alexander Manzoni, Hugh Foscolo, James Leopardi ecc. (E uso soltanto nomi inglesi, e non francesi o tedeschi, per il semplice motivo che l’inglese sta diventando ormai la seconda lingua della penisola. Come è dimostrato anche dal fatto che ormai non si trova più un “Buon Natale” nemmeno a pagarlo – metaforicamente – a peso d’oro, sostituito invariabilmente da “Merry Christmas”: quasi che il vecchio, caro augurio italiano sia diventato segno di provincialismo o passatismo.)
  
In compenso, i cognomi non vengono mai tradotti. E giustamente. Eppure una volta, leggendo Aria di tempesta, uno dei tanti romanzi di quel benefattore dell’umanità che risponde al nome di Pelham Grenville Wodehouse, mi capitò invece di pensare che la traduzione dei cognomi – ma soltanto in appendice –, sarebbe stata opportuna e avrebbe reso più divertente la lettura. I cognomi hanno infatti un loro ruolo nei romanzi di Wodehouse, e sono sicuro che i lettori di lingua inglese comincino a ridere fin dal momento in cui per la prima volta si imbattono nei vari personaggi. Quella volta mi appuntai i nomi di alcuni characters – la parola inglese rende meglio l’idea – e andai poi a verificare sul dizionario alcuni sospetti che avevo avuto. Ecco il risultato di quell’esercizio.

Lord “Pike” Tilbury               Lord “Forcone” Calesse

Sir Galahad Threepwood        Sir Galahad Tarlo-del-legno (thrips / tripide, tarlo)

Lady Julia Fish Threepwood   Lady Julia Pesce (nata) Tarlo

Sir Gregory Parsloe-Parsloe    Sir Gregory Prezzomolo-Prezzomolo (parsley / prezzemolo)

Zio Woggly                              Zio Tremarella (wobbly / esitante, titubante)

Percy Pilbeam                         Percy Raggiopeloso (pile / pelo; beam / raggio)

Gertrude Butterwick               Gertrude Burro-di-fattoria (butter / burro; wick, dairy farm / fattoria)

Monty Bodkin                         Monty Punteruolo

   Per sapere qualcosa di più su cognomi e umorismo non occorre del resto inoltrarsi nelle nebbie di Albione. Basta rimanersene al sole italiano e godersi il divertimento che Totò sapeva prendersi – e offrire al suo pubblico – con il semplice uso e abuso del cognome di qualche malcapitato.
  
Per tornare a Wodehouse: è vero che nei suoi romanzi il sesso è il grande assente. Eppure, leggendo il cognome di Gertrude Butterwick, non si può negare che la fantasia cominci ad agitarsi. Come appunto succede a Monty Bodkin: il quale perde letteralmente la testa, fino al punto di dimenticare i connotati dell’amata, com’è dimostrato nel XVI capitolo di Aria di tempesta.

   Quanto a Sciascia: in Breve storia del romanzo poliziesco, uno dei saggi raccolti in Cruciverba, ci si imbatte in questo passo: “… Si chiama Hercule Poirot. E a proposito di questo nome, Hercule, che Agatha Christie lascia cadere
sul suo personaggio, a non farci mai dimenticare la piccolezza della statura a contrasto della grandezza dell’ingegno, c’è da osservare come l’onomastica abbia nei romanzi polizieschi una certa funzione ironica o simbolica: l’aiutante di Wolfe (wolf: lupo) che si chiama Arcibaldo, Mason che vuol dire muratore, Ellery Queen edera regina (il tenace arrampicarsi dell’edera), e così via; ma è un gioco che vale per chi legge i testi originali e non le traduzioni, ché sarebbe ridicolo tradurre Perry Mason in Pierino Muratore”. Appunto: sarebbe ridicolo. Ma perché non inserire, in appendice alle traduzioni italiane, le traduzioni – che sono anche descrizioni-spiegazioni – delle generalità di certi personaggi? Più avanti, nel suo saggio, Sciascia accenna per esempio alla segretaria di Perry Mason: “… Della Street (street: strada; forse perché le sue domande ingenue a volte aprono a Mason la giusta prospettiva di un caso)…”.