Leonardo Sciascia: Terra e cibo. 3. Da "Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia”

In questa terza puntata parliamo di un altro grande romanzo di Sciascia: “Candido ovvero Un sogno fatto in Sicilia”, pubblicato da Einaudi nel 1977, dove il mondo contadino, la campagna, il cibo tornano alla ribalta, nella storia di Candido Munafò, il protagonista del romanzo, che, appunto, con i suoi candidi pensieri e azioni sconvolge il quieto vivere, l’andazzo conformista e ipocrita delle cose e dei rapporti nella società.

Quel Candido che, orfano di padre e abbandonato dalla madre, viene affidato al nonno generale che ne diventa il tutore. Candido, per una serie di circostanze, si trova con l’essere l’erede di una grande proprietà terriera; e da questo fatto si innescano le azioni di Candido che sconvolgono tutto e tutti.

E la terra la fa da protagonista, a cominciare da don Antonio, prete spretato amico e sodale di Candido, che per il proprio fabbisogno si cimenta per la prima volta nella coltivazione dell’orto di famiglia, ma con scarsi risultati. E proprio quell’orto ricorda a Candido di essere proprietario di terre; così comincia a fare un censimento e rilevarne le colture, gli allevamenti, ecc. Scopre che le terre sono tante, ma che a lavorarci sono rimasti in pochi, solo i vecchi poiché i figli, i giovani avevano preferito emigrare. Candido chiede al nonno generale che vuole occuparsi delle terre, ma in realtà lo fa solo per andarci a lavorare scegliendosi un pezzo di terra da coltivare personalmente. Ma quella presenza quotidiana, tra i contadini crea soltanto astio e diffidenza, la vivono come un modo per controllarli, persino come una irrisione al loro lavoro. E la diffidenza era cresciuta quando Candido cominciò a fare discorsi quali “La terra ai contadini”, “la terra a chi la lavora”; stufi e delusi com’erano dalle passate esperienze, poiché per quel miraggio erano andati dietro al partito comunista.

Ma questo suo disagio e il volersi disfare della terra suscita stupore e diffidenza; chi ha a che fare con lui ormai lo considera un pazzo; ma qualcuno sospetta che in quella pazzia ci fosse del metodo. Persino i contadini, che erano i beneficiati dalle proposte di Candido, avevano fatto capire che non erano interessati, “La terra è stanca e noi siamo più stanchi di lei”, dicevano; e anche i figli sarebbero tornati soltanto per venderla quella terra e poi ripartire. E lo raggelano anche le risposte e le parole del segretario del partito comunista, che considera una provocazione la proposta di Candido di cedere le sue terre ad una cooperativa di contadini e tecnici guidati dal partito.

Possiamo rilevare che questo breve dialogo tra Candido e il segretario vale più di un trattato sulla storia della Sicilia degli ultimi sessant’anni e sul fallimento della riforma agraria e di tanta sociologia e politica che si è fatta sull’argomento.

Candido, dunque, sgomenta e spaventa tutti; i suoi parenti vogliono farlo interdire. Così decide di liberarsi della proprietà delle terre. E a questo punto il libro prosegue con un pezzo su quella terra, sul mondo contadino che è sublime letteratura, apologo della vita.

       Quella terra a cui Candido: “ … Ci si era appassionato, ci aveva lavorato: ma senza alcun senso della proprietà, del possesso; come se il coltivare al meglio la terra, il renderla più produttiva, più ordinata, più netta, appartenesse alla giustezza del vivere e niente avesse a che fare col reddito, col denaro. Qualcosa che somigliava all’amore. All’amore per Paola. E ora che Paola se ne era andata, quel suo lavoro di ogni giorno gli appariva come degradato: fatica, soltanto fatica nel giro sempre uguale delle stagioni; così come sempre era stato per i contadini, mai contenti, sempre a maledire pioggia o sole, grandine e brinate, la fillossera che si attaccava alle vigne e il mal nero che si attaccava al grano …”.

E concludiamo questa ricca panoramica nel romanzo, con alcune chicche enogastronomiche:

          “ … Il capitano se ne commosse: gli mandò a casa latte in polvere, latte condensato, zucchero, caffè, fiocchi di avena, biscotti al malto e carne in scatola. Un bendidio. …”

          “ … Sentì di avere fame. La fame gli si accese in fantasia: pane appena sfornato, spaghetti odorosi di aglio e basilico, salsicce gocciolanti di grasso sulla brace. Trovò del pane raffermo e del burro, cominciò a biascicarne. …”.

          E nel finale, in un caffe di Parigi (ordinarono): “ … Don Antonio un Armagnac … perché a Parigi voleva bere e mangiare secondo letteratura … Armagnac, dunque … Per un siciliano quasi astemio, abituato a bere un mezzo bicchiere di vino rosso sui pasti del mezzogiorno e della sera: come quasi tutti i siciliani. …”.

E terminiamo questa puntata parlando di quegli spaghetti aglio e olio vagheggiati dall’affamato Candido, con la relativa ricetta.

 

Spaghetti con aglio e olio

Un piatto semplice, quanto famoso e diffuso in ogni parte d’Italia, che potrebbe anche sembrare da emergenza, quando non hai altro sottomano o di pronto. Gli ingredienti sono tutti nel titolo.

La vita è piena di casi che fanno derivare virtù da necessità. Infatti, dietro questa sua apparente semplicità e povertà, questo è un piatto molto apprezzato, gustoso, quasi da buongustai. In Sicilia viene anche chiamata “Pasta a la carrittera (carrettiera)”, forse perché era il pasto tipico dei carrettieri che per vari mestieri giravano per i paesi; figure, quelle dei carrettieri, che corrispondono agli attuali camionisti: sempre in giro e dunque costretti a mangiare fuori, nelle trattorie.

Dunque, i carrettieri per questione di costi, per non appesantirsi o per evitare rischi con sughi o altre cose indigeste, prediligevano questa pasta, semplice, gustosa, alla quale hanno finito per dare anche il nome.

 

Preparazione

Mentre cuociono gli spaghetti, a parte in un tegame si mettono due tre spicchi d’aglio e un po’ di olio di oliva (e comunque secondo la quantità di pasta; senza far cuocere, si schiacciano e si sminuzzano gli spicchi d’aglio, si fanno amalgamare con l’olio di oliva e vi si aggiungono un paio di mestoli dell’acqua bollente in cui sta cuocendo la pasta; rimescolare il tutto che in tal modo diventa il nostro condimento. A cottura ultimata, la pasta si scola e si versa nel tegame con il condimento; mescolare tutto per bene, servire nei piatti, redistribuendo il residuo miscuglio brodetto del tegame, con abbondante grattugiata di formaggio pecorino.

Salvatore Vullo