La consegna delle tre incisioni pone fine a un silenzio di quindici anni, anche se nel 1955 Sciascia ha avuto molta parte nella pubblicazione di Io incisore, uscito con le Edizioni Salvatore Sciascia a Caltanissetta come quaderno n. 18 della rivista "Galleria".
Il silenzio, la sorpresa dell'incontro e la spiegazione della stima di Sciascia per Ciarrocchi sono nelle pagine di una rivista e in una lettera.
Nell'agosto del 1971, sul n. 3 - 4 di "Civiltà delle Macchine" appare un testo di Ciarrocchi: Dall'incisione all'acquarello. Scrive: "L'incisione, come la pittura, deve essere ben condotta. Noi abbiamo rilevato nelle stampe di Morandi un sublime controllo dell'azione dell'acido. Non è uno scherzo di cattivo gusto. Il controllo dell'azione dell'acido è un dono di Dio [...]. La poesia nasce da questo ineffabile rapporto di tempi di morsura [...]. Dal 1955 dipingo quasi esclusivamente all'acquarello. È pittura sottilissima come l'acqua di fonte, l'acqua di rose, la rugiada, l'acquavite, il vino bianco. È pittura svelta. Permette di seguire nell'arco di una giornata l'esaltarsi e lo scolorarsi della luce. Segue altresì le variazioni d'umore, il mio, mutevolissimo. Il mio cuore è come una collina su cui l'ombra di una nube passa strisciando. Io sono un pittore di impressioni. Dipingo en plein air, sul motivo.
L'acquarello ha la sua stagione, l'estate, ed in una giornata le sue ore. Si può dipingere la mattina presto. Sono contrarie alla pittura all'acquarello le ore calde perché la carta si indurisce, l'acqua evapora troppo presto ed il colore si incenerisce. Sono altresì sconsigliabili le ore troppo prossime al tramonto perché l'atmosfera è eccessivamente carica d'umidità".
Sciascia legge queste righe e il 10 novembre 1971, da Palermo, fa partire una lettera: "Caro Ciarrocchi, leggo su "Civiltà delle macchine" (una civiltà che non esiste) le tue note (di una civiltà che ancora esiste perché ci sono persone come te). Con grande piacere.
Sono stato sfortunato le volte che sono venuto a Roma: o ti ho cercato e non ti ho trovato, o non ho trovato il tempo di cercarti. Spero ci si possa vedere la prossima volta, tra non molto. Affettuosamente, tuo Leonardo Sciascia".
La civiltà di Ciarrocchi, nei vari aspetti spirituali, sociali e materiali della vita, è la stessa di Sciascia, proprio come la Sicilia e la memoria di Sciascia sono le Marche e la memoria di Ciarrocchi. L'uno si propone di leggere le stampe come libro, viceversa per l'altro che da ideale "amateur" tiene la sua raccolta nel cassetto del tavolino. Ogni tanto, soprattutto in occasione della visita degli amici, apre quel cassetto e trasferisce agli ospiti la lettura di quei tratti sottili, resistenti e spesso invisibili che animano il disegno tracciato sulla lastra e trasferito sul foglio di carta senza perdere quei trasalimenti intimi, quelle organiche pulsioni emotive colte nel motivo che improvvise felicità hanno portato alla forma, al vero che Brandi diceva "interiorizzato e commosso, sottratto all'attimo fuggente e riassorbito nell'attimo vitale".
E non è l'attimo fuggente che, sempre nel 1971, a L'Arco di Via Mario de' Fiori a Roma, ferma Sciascia davanti a Ballets-Minute di Nicolas De Staël con le acqueforti ricavate dai disegni fatti in Sicilia nel 1953? La prima adesione di De Staël alla realtà viene analizzata nella sua essenza nel momento in cui affronta il paesaggio siciliano: qui lo spazio si fa immenso, utilizza forme geometriche purgate di ogni inutile orpello. L'attaccamento al dato naturale e alle strutture organiche dell'immagine segna la conquista di una sintesi formale e di un tono lirico tra i più alti della pittura moderna. Sciascia lo annota leggendo, anche sotto le apparenze, i perpetui giochi di forza usati da De Staël, avvistandone la fragilità "nel senso del buono, del sublime, dell'amore"
Di tutt'altro genere è la fragilità di André Dunoyer De Segonzac che nel dicembre del 1973, sempre a Roma, lo entusiasma con i tagli operati sulla lastra per restituire i contrasti della natura. Quante discussioni, fatte di molti silenzi e di pochi ma precisi commenti sulla frase dell'incisore ritenuto morto dagli stessi francesi che forse continuavano a rinfacciargli il "rappel à l'ordre" in senso espressionistico-naturalistico del lontano 1920, quando insieme a Boussignault, Marchand, Marc e Moreau costituì "la banda nera": "Lo spirito della vera tradizione è di stare alla vita contemporanea come gli antichi stavano alla vita del loro tempo, senza alcuna imitazione o compromesso col passato".
La reazione anticubista di Dunoyer De Segonzac, la sua tensione a voler ricostituire una pittura basata su un naturalismo di derivazione cézanniana che, in un modo o nell'altro contaminava il revival realista del tempo, incuriosisce Leonardo. Un foglio accanto all'altro, cerca riscontri nella serie de Il Morin (1923), de Le spiagge (1935), de Le Georgiche (1947), negli incontri sul ring, nei soldati al fronte, nei nudi e nelle nature morte, in Isadora Duncan, e invece vi trova disinvoltura e freschezza. Il segno è privo di dissonanze, di contrasti, di eccessi, sempre omogeneo, unitario, istintivo, nato da una emozione suscitata da quella sorgente zampillante di impulsi sensibili che è la realtà. Impulsi tradotti in agili arabeschi, in linee austere come il colore delle sue opere a olio ma che del colore hanno assunto la trasparenza, in tratti disposti secondo una gerarchia di ritmi che si fanno ora teneri ora gravi e tendono sempre a riunire i molteplici elementi del paesaggio, in segni scintillanti, esplosivi, sonori ma senza arbitrarietà, che incatenano i piani, secondo un gioco sapiente di chiaroscuro, portando all'integrazione del nudo nel paesaggio, a quei passaggi sapienti disposti tra eccessi di sole e ombre di sottobosco.
La "libertà di mostrare armonie racchiuse", l'ansia di imprigionare l'attimo fragile del presente, la convinzione - aristocratica e popolare - che l'arte è l'immagine della vita interiore, non può non colpire Sciascia che certo la rilegge, anni dopo, nei fogli di Edo Janich pronto, ogni volta, a tradurre l'immaginazione nel disegno steso sulla lastra.
L'ora-luce che il giorno segna sulle cose osservate da Ciarrocchi, da De Staël e da Dunoyer De Segonzac, batte i suoi secondi anche per Janich. Edo si pone al centro di queste lancette che scandiscono il tempo, fa corrispondere queste battiti a quelli del cuore, dispone dei bianchi della carta per depositarvi tesori di fantasia e di scaltrezza, al punto da far emergere ciò che è stato omesso, ciò che è stato modificato o arricchito dall'osservazione del mondo visibile.
L'impianto generale, l'intelaiatura continuano ad avere un'importanza fondamentale nell'incisione di Edo, sia che guardi Roma, Venezia o Palermo. Più il tratto domina lo spazio, più questo aumenta di risonanza e, di conseguenza, l'evocazione dei contrasti di natura, le sue alternative.
Il disegno, in Janich, è la coscienza della forma, anche se racchiusa nella piccola superficie di una lastra di rame che, raccogliendo le energie del pensiero roteante come un pianeta e le considerazioni di Leonardo Sciascia sullo stato attuale della letteratura, ne fa lo specchio della condizione dell'incisione "costretta a starsene fuori: con orecchie intente, sguardo acuto, sospettosa, guardinga, insicura, con soprassalti e freddo nelle ossa". Un'incisione, naturalmente, come piaceva a lui e non lontana dalle qualità della sua scrittura: schiva, lineare, priva di barocchismi, carica di pudori espressivi che sono il segno di ogni linguaggio originale coltivato in solitudine..
Giuseppe Appella
Una lettera
Nello studio di Attardi,che mi ospitava amichevolmente,c'era una scala in ferro con ringhiera,appoggiata ad un muro intonacato a calce in modo grezzo.
Questa portava ad un ballatoio dove il caro Ugo dipingeva.
Salendo questa rampa, a destra c'erano delle incisioni che assecondavano i gradini e
tra queste,due o tre acqueforti che avevo realizzato poco tempo prima.
Un giorno,mentre ero assente, e il fatto era abbastanza raro,il mio amico,che aveva
vinto il premio "Viareggio" con il libro "L'erede selvaggio", mi disse che era passato
Leonardo Sciascia a salutarlo.
In quella occasione egli mi riferì che Leonardo,avendo notato quelle incisioni,avrebbe
avuto piacere di organizzarmi una "personale" a Palermo.
Questa venne inaugurata nel mese di gennaio del millenovecentosettantuno ed in quella circostanza incontrai per la prima volta Sciascia.
Questo,ma non solo questo,era Leonardo,che provava piacere ad aiutare le persone che
reputava dotate :campione di generosità,prototipo umano purtroppo in via di estinzione.
Caro Leonardo ci manchi molto.
Con affetto,
EDO
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Titolo: Lettera 22 Autore: Edo Janich Testo di: Giuseppe Appella Misure Lastra: cm 19,5x21 |
NOTA BIOGRAFICA SULL'ARTISTA
Edo Janich, incisore e scultore, è nato a Valvasone (Pordenone) nel 1943. Sin dal 1962 si interessa alla scultura e solo anni dopo inizierà ad occuparsi di incisione. Riprenderà nel 1976 e negli anni successivi alternerà le due attività. Ha tenuto oltre venti mostre personali in Europa e, nel corso di quasi quarant'anni, realizzato circa quattrocento lastre all'acquaforte, stampate da importanti maestri stampatori e raccolte per lo più in cartelle, tra le quali spicca l'introvabile Les automates (1974), con un testo nel quale Leonardo Sciascia lo elegge a sedere tra i pochissimi incisori veri annotando «Scomparsi Bartolini, Morandi e Viviani, in Italia bastano le dita di una mano a contarli: e magari fermandoci al quarto,che è certamente il giovane Janich». Da oltre trent'anni collabora con l'editore Sellerio di Palermo per il quale ha realizzato dal 1972 al 1987 numerose lastre riprodotte in copertina per la collana "La civiltà perfezionata" illustrata con incisioni originali. Della sua opera hanno scritto, oltre a Sciascia, Enzo Siciliano, Alfonso Gatto, Guido Giuffré, Renzo Vespignani, Ugo Attardi.
COLOPHON
L'acquaforte originale contenuta in questa cartella, dodicesima della serie "Omaggio a Leonardo Sciascia", è pubblicata a cura dell'Associazione degli Amici di Leonardo Sciascia. L'acquaforte su fondino di 195 x 210 mm, con ritocchi a bulino e puntasecca, è stata impressa su foglio di 350 x 500 mm carta Magnani Pescia di 310 grammi, colore naturale, sui torchi di Antonio Sannino nella stamperia Il Cedro, Roma , nel luglio 2006. Dei 119 esemplari tirati, 99 hanno numerazione araba e sono destinati ai Soci, 10 numerazione romana e 10 infine sono prove d'autore riservate all' Artista. I testi di Giuseppe Appella e Edo Janich appositamente scritti per questo "Omaggio"sono stati stampati da Bandecchi & Vivaldi, Pontedera, nel mese di novembre 2006.